Boa: Cacca finta.
="Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c'è un'alba che ci aspetta" Khalil Gibran"]
A Stinky era successo. E non se lo meritava. Non dopo tutto quello che aveva passato.
Vita solitaria la sua, dietro un cesso chimico sempre rotto, accanto al chiosco di Sam.
Sentiva l’odore e pensava fosse casa. Del resto, ognuna ha il suo, tornate alla vostra dopo un po’ di tempo e ve ne accorgerete.
La roba di Sam era veleno annegato in un olio scuro e denso come il fango. Se glielo chiedevi, ti friggeva pure il culo. La birra faceva il resto.
Lo obbligarono a mettere il cesso. Ne trovò uno in un cantiere abbandonato e lo piazzò in modo che si vedesse dal parcheggio. Che funzionasse era un’altra faccenda. Ma bastarono un paio di salsicce, quattro birre e smisero di rompergli le scatole.
La gente ci arrivava barcollando dopo essersi sfondata di qualsiasi cosa. Non tutti facevano in tempo. Scuotevano la maniglia dello sportello, tiravano qualche calcio e finiva che la mollavano dove capitava.
Stinky era arrivato così, almeno da un mese. Quelli come lui non durano tanto, specie con la brutta stagione. Basta una pioggia e se ne vanno. Ma lui era uno tosto. Non come me, ma quasi.
Era il tipo che tutti scansano. Ti vedono e girano la testa dall’altra parte, ti pestano e bestemmiano. E quando ti trattano così, alla fine, vedi le cose nello stesso modo. Dispiaceri, insulti, umiliazioni, ci vivi dentro come se al mondo non ci fosse nient'altro. Senza lamentarti, senza bisogno di spiegare niente.
Per questo diventammo amici. Succede a quelli come noi.
E se non dico lei, sebbene fosse una cacca, è perché i modi e il carattere di Stinky erano quelli di un lui e come tale andava trattato. Me ne accorsi subito, questione di sensibilità.
Non avevo un nome prima di incontrarlo, le mosche si chiamano tutte Vattene. E non lo aveva nemmeno lui, le cacche si chiamano tutte Cheschifo, specie quelle che si appiccicano alla suola delle scarpe. Ma un nome è importante, l’ho capito un mattino che c’era vento tiepido.
«Tu non voli» mi disse.
«Come sarebbe a dire?» feci un po’ risentito. Cabrata, picchiata, volteggio: «Non volo, eh?»
«No. Tu sei il volo.»
E a quelle parole mi venne da battere più forte le ali, mentre avvampavo di imbarazzo e felicità. Anche le mosche arrossiscono, solo che non si vede.
«Vedi che ho ragione?» insisteva «Nessuno è come te. Tu dipingi l’aria.»
«È il tuo odore. Mi fa venire voglia di ridere, di fare capriole, di ballare!»
«E allora fallo. Balla, balla per me, Fly!»
Quindi io Fly e lui Stinky, per via di quel tipo che arrivò davanti al cesso con la bottiglia in mano e le braghe a mezz’asta.
«Stinky shit» biascicò, fece un suono col sedere e poi: «Stinky world» e stramazzò per terra.
È strano come nascono i nomi. Quello che so è che ti fanno sentire speciale.
Te lo regalano quando vieni al mondo e te lo porti appresso anche dopo, quando si ricordano di te, ammesso che succeda. E Stinky non te lo puoi scordare. Almeno non io.
Col tempo s’era indurito come una foglia secca, ma dentro gli era rimasto il cuore tenero. Tosto di fuori e delicato dentro. Pieno di sentimenti. E sogni. Soprattutto sogni, che forse erano ricordi, va a sapere, la memoria delle cacche è una specie di magia. In fondo sono fatte di memoria, solo con una forma diversa.
«Dai, raccontami una storia» disse un giorno.
Avevo sempre desiderato che qualcuno me lo chiedesse. Ne avevo a dozzine, ma non c'era mai nessuno che volesse sentirle e così avevo finito per raccontarmele da solo. Perché, sia chiaro: le mosche non ronzano, si fanno compagnia.
«Più forte, non ti sento» diceva Stinky ridendo.
Picchiate, volteggi, cabrate, raccontavo e volavo, volavo e raccontavo.
«Più forte!»
Andavo e venivo e, dio se ero felice! Le mosche si danno un gran da fare a sembrarlo, ma quella volta era vero perché finalmente a qualcuno importava di me, della mia storia, che era straordinaria, meravigliosa, un piccolo capolavoro. Intendiamoci, le mie storie lo sono sempre, ma quel giorno, ah quel giorno!
Avrei potuto cominciare con C’era una volta, ma non lo faccio mai, troppo banale. E poi dà l’idea di una cosa lontana. «Immagina» gli dissi invece, e subito apparvero maioliche e asciugamani, tappeti soffici e flaconi splendenti, spugne e scopini. E poi acqua, tanta acqua, a cascate, con la schiuma che sapeva di fiori.
Stinky ascoltava incantato: «Ma esiste davvero un posto così?»
«Non mi credi?»
«Certo che ti credo. E poi non me ne importa se te lo sei inventato. L’hai fatto per me.»
«È il paradiso delle cacche dure. Sei una cacca dura, tu?»
«Beh, non lo so… È una cosa buona?»
«Buono, cattivo, che senso ha? Ognuno è fatto a suo modo e, se per te va bene, è sicuramente una cosa buona.»
«Dici davvero?»
«Certo, sono uno che ha viaggiato, vuoi che non lo sappia? E comunque, a guardarti, direi proprio che sei una cacca dura. Ieri di meno, ma oggi di più. E sarà così ogni giorno che passa.»
«Quindi il paradiso…»
«È il posto per te, Stinky. Ci andrai, ne sono certo.»
Arrivò sgommando davanti al chiosco di Sam. Uno di quei macchinoni presi di nascosto a papà per far colpo sulla fighetta di turno.
Scesero insieme sbattendo le portiere e urlandosi contro.
«Era per farsi due risate» diceva lui. «Solo una cretina come te non lo capisce!»
«Ma come ti è venuto in mente?» gridava lei e andò verso il chiosco.
L’altro sbuffò, scagliò qualcosa per terra, sferrò un calcio e poi le corse dietro.
Cinque minuti dopo ridevano, masticavano e bevevano appoggiati al cofano come non fosse successo niente.
Niente e tutto, difficile da credere, ma sono cose relative.
Uno sbuffo, un calcio, per come erano andate le cose a quei due, cose da niente.
Non per Stinky. Per lui, da quel momento, il mondo non fu più lo stesso.
Quel calcio gliela aveva fatta rotolare proprio davanti ed era rimasta lì. Acciambellata. Splendida. Adorabile.
«L’hai vista?» balbettò.
«Ma sì, una come tante.»
«Oh, no! Lei è unica.»
Mi bastò un giretto di ricognizione, nemmeno in planata: «Ti assicuro, niente di speciale, le fanno tutte così, oggi.»
«Tutte così, ma come puoi dirlo?»
« Guardala bene.»
«Non faccio altro da quando è arrivata» sospirò rapito.
«Ti sei accorto che ha un colore solo? Senza un grumo, una macchiolina, niente, marrone e basta, come l’avessero verniciata.»
«E che significa? Si vede che è una che ci tiene. E poi il colore è una cosa personale, non ce n’è uno migliore di un altro.»
«Sì, però non ha odore, non parla. Ti sembra una cosa normale?»
«Perché è di carattere riservato.»
«Oh cavolo, ma allora proprio non capisci! Lei non è come pensi!»
Ma Stinky ormai non pensava.
Ci sono cose che fanno quest’effetto, una di queste è l’amore, che non è un sentimento, piuttosto un proiezionista. Ti arriva dentro coi suoi aggeggi misteriosi, sgomita per prendersi tutto il posto e occuparlo con i film che si è portato appresso. E tu non puoi farci niente. Anzi, non vuoi perché, pure se non te ne sei mai accorto, quei film sono esattamente quello che avresti voluto vedere.
Tutto il resto non conta, non c’è più spazio.
Eppure dovevo dirglielo: «Stinky, dammi retta, lei non è…»
«E certo, lei non è! E se lo dici tu che hai viaggiato, dev’essere così per forza» fece acido. «Non come me, povero scemo, che me ne sto qui a sentire le tue cazzate!»
«Ma no, perché te la prendi in questo modo? Io volevo solo…»
«Volevi solo riprenderti il tuo posto, questa è la verità! Perché nella mia vita devi esserci solo tu! Perché non sopporti l’idea che qualcun altro possa farmi felice. Sì felice!» E nel dirlo fece una cosa che davvero non mi aspettavo: cominciò a piangere. O magari no, era solo un’impressione, magari era solo la pioggia, che all’improvviso aveva preso a ticchettare sui cespugli.
«Non me la merito anch’io un po’ di felicità?» singhiozzava.
«Ma certo, Stinky, nessuno più di te» dissi e mi accoccolai accanto a lui, sotto una foglia.
Restammo per un po’ così, ad ascoltare le gocce cantare col vento.
Lei era lì. Scintillava sotto l’acqua che le colava addosso.
«Guardala, Fly» sussurrò, come temesse di disturbarla. «Sembra una regina.»
«Sì, è molto bella.» Avrei voluto aggiungere qualcos’altro, ma avevo già detto abbastanza. Un amico capisce quando è il momento di esserci e basta.
La pioggia incalzava. Apriva pozze sempre più grandi con gli stessi colori delle luci del chiosco. Voci, schiamazzi, tramestio di piedi che corrono al riparo. Io me ne stavo al calduccio, tra il cespuglio e Stinky che contemplava la sua regina specchiarsi nell’acqua.
Accadde all’improvviso. Una raffica gelida, uno scroscio potente e fu subito fango. Fango dappertutto che si mischiava alle pozze, che trascinava ghiaia, foglie secche, rami.
E lei. Che cominciò a traballare e poi ad affondare, prima da un lato, poi dall’altro.
«No!» urlò Stinky. «Fai qualcosa!» implorò.
Cercai di alzarmi, ma il vento mi ricacciò indietro.
Un attimo e lei non c’era più.
Mi avvicinai a Stinky sfiorandolo appena. «Tutto bene?»
«Se n’è andata» sussurrò con un filo di voce.
Lo vidi accasciarsi e scolorire mentre l’acqua cominciava a sciogliere i bordi.
Prima o poi doveva accadere. Ma non così. Non adesso.
«Resisti, sei uno tosto tu!»
«Che vale?» sospirò «Lei non mi ha voluto.»
«No, ti sbagli.» E intanto con le zampe cercavo di recuperare almeno le briciole, di rimetterle al loro posto, ma non c’era verso, quello che mettevo da una parte, l’acqua se lo riprendeva da un’altra. «Resisti, resta con me!»
«Se n’è andata» ripeteva con la voce sempre più fioca.
Mi fermai a guardarlo, ridotto ormai a meno della metà. Non potevo lasciarlo andare così.
«No, Stinky, non ti ha abbandonato» gli sussurrai dolcemente. «È solo andata avanti a scegliere il posto migliore. Per tutti e due, capisci?»
«Dove?» fece con sospiro.
«Nel paradiso delle cacche dure. Dove sennò?»
«Dici davvero?»
«Certo. Tra maioliche, tappeti soffici, flaconi splendenti e scopini delicati.»
«Oh sì, è…bellissimo» mormorò.
«Te l’avevo detto che ci saresti andato.»
«Già, tu queste cose le sai, perché hai viaggiato.» E mentre lo diceva gli si aprì una crepa, tale e quale a un sorriso. Poi un’altra, un’altra ancora, finché di Stinky non rimase che una chiazzetta.
Poi nemmeno quella.
Tornai alla mia foglia esausto. E solo. Non c’ero più abituato.
Mi lasciai avvolgere dall’ombra del sonno, dolce come una carezza, lieve come un sussurro: «Immagina» diceva. E a poco a poco apparve Stinky, che sguazzava felice nella schiuma profumata, accanto alla sua regina.
Evidentemente in paradiso c’è posto per tutti.
Anche per le cacche finte.