L'ora di chiusura

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Passava tutte le sere e sempre sull’ora di chiusura. 
Era il trucco innocente per averla tutta per se, almeno, per uno striminzito quarto d’ora. Uno dei tanti avventori. Un uomo solo con qualche soldo messo via, niente di più frequente in quell’umanità languida e trasognante costantemente impilata con un bicchiere in mano dietro al bancone. Non era così trascurato considerata la condizione di solitudine e l’età adulta: alto, dinoccolato, con la pelle appena squamata, forse aveva un colorito un po’ troppo cinereo; che lasciava pensare a delle analisi del sangue mai fatte o mai ritirate, questione questa, ben compensata dall’abbigliamento dentro il quale sempre abitava: ottimi abiti di raffinata sartoria italiana. La cosa che dava subito all’occhio di Gianpietro era che ti accorgevi che era un ombroso che si sforzava di apparire brillante. Nascondeva con cura un carattere algido, certamente ti avrebbe messo addosso un temperamento faticoso da sopportare, che presto o tardi con qualche confidenza di troppo sarebbe venuto fuori; con tutte le preoccupanti incognite del caso. Un’ultima peculiarità urticante di quell’uomo, si manifestava nel millantare con modi quasi compulsivi un ceto sociale e uno stile di vita dal quale era chiaro che fosse del tutto estraneo: amava raccontarsi se non ricco altamente agiato.
Alina viveva ormai da dieci anni in Italia e in quel periodo stava prendendo consapevolezza che non era stato un grande affare il trasferimento definitivo a Brescia. Passare inoltre dal lavoro come badante a quello di barista aveva nettamente peggiorato le cose: ora era tutto a carico suo, doveva pagarsi l’affitto e perfino da mangiare; il tempo libero tanto sognato, nelle notti insonni al servizio delle sue nonne, non si stava manifestando proficuo come sperava. Dopo il lavoro non aveva una vita privata e non aveva nemmeno conosciuto un uomo degno di un qualche pensiero immateriale. Il bancone del bar non era quel pulpito di opportunità che aveva tanto sognato; e che a tante ragazze come lei aveva regalato una vita migliore. Quel bar seppur ben frequentato era lo spazio di un’umanità infima, gente ciondolante tra i tempi persi della vita, uomini perennemente di passaggio tra il bancone, la sala scommesse e il supermercato: ignavi naviganti nei grigiori dell’esistenza umana. I clienti erano sempre loro a parlare, raccontando le proprie miserie economiche e familiari: il mutuo da pagare, la moglie ingrassata e traditrice, il figlio tossico o peggio omosessuale; i drammi della provincia eterna. I pochi che ascoltavano Alina con interesse portavano negli occhi la speranza di un secondo fine: un rapporto veloce e brutale. La barista aveva sempre un ché di peccaminoso per alcuni clienti, quest’aspetto spingeva alcuni avventori, i più coinvolti dallo stereotipo in proposte equivoche, spesso oscene, e ogni tanto del tutto palesi venali; proposte che Alina respingeva talvolta con garbo, talvolta con disprezzo, sempre con rassegnazione.
    
-         Ma chi si vede! Gian, sai che mi stavo preoccupando, che ti faccio?
-         Long Island, se non stai per chiudere ovviamente. Hai visto l’agenzia immobiliare di Omar?
-         Tempi duri mio caro, mica siamo tutti fortunati come te.
-         Ti faccio vedere che venderà anche il BMW a breve … . Io non posso avere certi problemi: so farmi i conti, non punto mai una situazione così          aleatoria. Questo mio sorriso non me lo gioco ai dadi.
-         Purtroppo per farsi una bella vita come si deve oggi bisogna prendersi qualche grosso rischio.
-         Voler campar bene è un’aspirazione legittima. Ma il rischio è una cosa che bisogna sempre aver il coraggio di misurare.
-         Tu misuri sempre ogni rischio?
-         Certo, sempre: per esempio il mio rischio più grande oggi è essere qui con te.
-         Addirittura! Sarei così pericolosa?
-         Potresti, chi lo sa.
Gianpietro aveva ereditato un paio di appartamenti e qualche soldo dal padre prematuramente morto. Gli appartamenti li aveva messi in affitto a persone fidate del luogo, e una parte dei soldi li aveva vincolati in un libretto postale decennale a tasso garantito: si era così tirato fuori così un mensile senza dover far nulla o quasi. Niente di geniale. Diremmo una gestione piccolo borghese del denaro; accurata e avara. Girava a bordo di vecchia Porsche Boxster del novantadue, di un blu ormai slavato e con tutti i fregi sbiaditi, un’auto della quale conosceva ogni aspetto, più per un interesse personale a controllarne le spese che per un’autentica passione motoristica, portava poi sempre al polso lo stesso orologio da anni, un magnifico Rolex dal quadrante nero; sempre un’eredità del padre. Era facile incrociare la sua vita, frequentava più di qualche bar e a volte anche prima dell’ora di pranzo: attraversando il corso principale potevi scorgere la sagoma di Gianpietro in abiti di lino, perfettamente stirati, appena dietro la tenda di un qualsiasi locale. E notare con lui un bicchierone rosso carminio strapieno di ghiaccio, che tra le sue mani ricordava più un accessorio di uso abituale che una bevanda alcolica. Per il resto non aveva vizi strani, niente macchinette mangia soldi o gioco d’azzardo, non frequentava escort o centri massaggi, e non aveva mai un raffreddore fuori stagione: era plausibile che fuori paese coltivasse qualche tresca con qualche donna della sua età non proprio raffinata né di bell’aspetto, della quale preferiva non far conoscere le generalità all’interno della propria cerchia abituale di conoscenze. Viveva certamente intrappolato nella classica routine maniacale delle persone sole, potevi dire dopo averlo conosciuto che era un uomo buono, molto educato ma al quale non avresti mai aperto la porta di casa. Apparteneva a quella categoria di individui che vanno bene fino a un certo punto e confinate in un certo contesto: questo lui lo sapeva e quel ruolo per molti anni gli era andato perfino bene.
Compiuti i cinquant’anni il deserto che hai attorno ti piaccia o meno lo senti tutto: e i drink, le amicizie effimere, la palestra, il mensile che ti sei costruito non sono sufficienti ad allontanarlo; non per tutti almeno. Quando dormire otto ore per notte per Gianpietro divenne un mestiere, i suoi occhi incontrarono nello sguardo di Alina una via d’uscita: lì era germinato il suo amore per la barista.
Alina sentiva anche lei e perfino più di lui tutto il peso del tempo trascorso, i suoi quasi quarant’anni li vedeva nudi davanti allo specchio mutilati di tutti i traguardi non tagliati. La terra natia solo apparentemente ormai straniera non l’avrebbe abbandonata mai: i familiari, i doveri, la cultura contadina, non volevano saperne di cedere il passo a una vita diversa. Alina era certa che il proprio retaggio culturale non le avrebbe dato scampo: non poteva vivere e gioire da donna sola e senza figli, quelle convinzioni erano troppo radicate lei: e non voleva farci i conti a perdere per il resto della vita.
Questi incontri erano a tratti silenziosi e malinconici, dominati da un’aria singolare che pareva prodursi dalle pieghe di quei tendaggi da bar, nei quali l’ombra si raccoglieva tristemente e che parevano sempre un poco  muoversi, come dagli atteggiamenti diversi e del pari significativi dei due, la stanza in quell’arco temporale che segnava la fine del giorno era piena di un’aria di malinconica festosità e di incomprensibile disagio.
Gianpietro con garbo ci provava, metteva in scena tutte le sere questa esibizione, claudicante ingenua e provvisoria, perché in cuor suo era certo che di quel poco che lui potesse offrire, Alina si sarebbe alla fine accontentata. Si trattava solo di raccontarla bene, e di mantenere la posa giusta, e di continuare ancora per un po’ questo sgraziato balletto.
-         Domenica faccio un giro al lago, ti ho già detto che ho una barchetta?
-         No Giampietro, che bello hai una barca, chissà come ti diverti.
-       Per essere onesti non è mia, ma sono dettagli, preferisco non intestarmi più nulla. Ti andrebbe di venire? Però solo se ti piace mangiare all’aperto,  voglio cenare in un ristorante che ha una terrazza sul lago, un posto dove si vede tutto il promontorio di Sirmione.
-       Magari potessi, sarebbe bellissimo. Purtroppo ho già un impegno, devo fare compagnia a una delle mie nonne: ho promesso che avrei passato la  domenica in casa con lei.
-        Faremo un’altra volta. Ti prego chiedimelo ancora più avanti.
-        Certo cara, ci riusciremo presto. Ora ti lascio chiudere.
Gianpietro sorrideva, e virava con uno sguardo vuoto verso il Long Island; ormai ridotto al ghiaccio. Alina avrebbe trascorso la domenica come sempre: in pigiama dentro casa, a fare i conti con le bollette troppo alte e a video-chiamare i parenti e gli amici in Romania. In giornata avrebbe bussato alla sua porta il corriere - "Bogdan", un amico d’infanzia, che di lavoro faceva la spola tra Brescia e Timisoara: gli avrebbe consegnato un pacco per la madre, oppure portato qualche regalo, qualcosa da mangiare o magari da vestire, certamente qualcosa di carino proveniente da un pacco smarrito e mai reclamato; forse avrebbero perfino fatto l’amore: ma era un dettaglio, una cosa che Alina diceva di fare a tutela della propria salute.
L’odore degli stenti Alina lo aveva inalato da piccola e non lo voleva più sentire, così come aveva brutalmente imparato che i rapporti umani non si costruiscono sulle necessità materiali. Gli era bastato registrare un dettaglio tra i tanti per capire chi era Gianpietro. E anche Gianpietro aveva ben capito chi era lei.
Quella recita continuava serenamente nell’errata convinzione di entrambi che solo uno dei due avesse visto tutte le carte dell’altro.
Alina stava accarezzando l’idea che nonostante tutto, un giorno o l’altro, avrebbe detto di sì a Gianpietro e sarebbe diventata la sua donna. Avrebbe accettato di abboccare a tutte quelle balle e a tutto quello che sarebbe venuto poi: magari a carte scoperte la vita non sarebbe stata poi così male; avrebbero mangiato fuori la sera ogni tanto, facendo un po’ attenzione al costo del menù, e sarebbero perfino andati qualche giorno in ferie, lui l’avrebbe presa dentro casa, dopo un po’ magari, e lei l’avrebbe a poco a poco riempita di colori forti quella casa, cercando di strappare di quel grigiore che l’uomo spargeva naturalmente dietro di se. Sapeva che si sarebbe occupato di lei almeno con la stessa cura che riservava alla Porsche - il pensiero lusingandola la faceva ridere. Dopo qualche mese di certo lo avrebbe insultato per le promesse tradite, le  bugie raccontate, per la vita modesta e per i suoi troppi bicchieri bevuti. Sarebbe stato necessario. Non poteva fargli credere che era una stupida facendo finta di niente. La magia stava tutta là dentro, sapeva che sarebbero arrivati nodi, il tempo mediano è il tiranno di tutti i rapporti, e lo si attraversa con le urla di una coltellata allo stomaco, con un colpo viscerale e profondissimo: avendo il coraggio un attimo dopo di curarla quella ferita inferta, con la massima compassione e generosità, per poterla poi dimenticare per sempre.
-         Guarda che la barca non mi serve più.
-         La porti a lavare lo stesso però; ci ho pescato i lavarelli giovedì e per lasciartela a Sirmione sotto la trattoria non ho fatto in tempo al lavarla io,    puzzerà di pesce marcio ormai.
-         Non preoccuparti vado domattina e faccio un ottimo lavoro, la lucido anche. Grazie sei stato un amico.
Mancava ancora qualche mese al compleanno di Alina e quei rifiuti, quelle sospensioni, quei rinvii, gli riempivano il cuore. Erano il regalo più grande che potesse farsi.

Re: L'ora di chiusura

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Ettore Navarra wrote: per averla tutta per se,
Ettore Navarra wrote: costantemente impilata con un bicchiere in mano dietro al bancone
Stai parlando degli avventori, che stanno "davanti" al bancone ("dietro" ci sta il barman): se me la metti così confondo il punto di vista, mi fai pensare che la focalizzazione del racconto sia quella del(la) barista, cosa che non sarà.
Ettore Navarra wrote: Non era così trascurato
Preferirei il termine "trasandato" (sebbene sia una questione da poco, perché in effetti "trasandato" significa di aspetto trascurato. Vabbé, abbi pazienza, sono un po' pignolo e, come vedrai, mi appresto a farti le pulci... :asd: )
Ettore Navarra wrote: Nascondeva con cura un carattere algido, certamente ti avrebbe messo addosso un temperamento faticoso da sopportare, che presto o tardi con qualche confidenza di troppo sarebbe venuto fuori; con tutte le preoccupanti incognite del caso.
Allora, qui ho una questione sempre di pignoleria, ma (forse) un po' più sostanziale: intanto, ti viene "messo addosso" uno stato d'animo, come conseguenza di un comportamento. Qui salti un passaggio. Potremmo considerarla una trovata retorica (non sarebbe nemmeno male, narrativamente), però secondo me rischia di funzionare non troppo bene. Poi c'é altro: stai descrivendo una situazione ipotetica che è importante per la caratterizzazione del personaggio, mi poni un (utile) "problema" di interpretazione che, a mio avviso, rende non banale (nel senso di "meritevole di approfondimento") la decrizione, e poi (non) risolvi, lasciando al lettore un luogo comune ("con tutte le preoccupanti incognite del caso": quali incognite? quale caso?). No, perdonami, ma per me non va: questo personaggio, questa storia, ti anticipo che mi si riveleranno belli, veri, molto tristi e umani. L'introduzione di Giampietro merita uno sforzo particolare da parte tua: molto più di quanto hai fatto qui.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmLa barista aveva sempre un ché
"un che" (non accentato)
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmquest’aspetto spingeva alcuni avventori, i più coinvolti dallo stereotipo in proposte equivoche, spesso oscene, e ogni tanto del tutto palesi venali; proposte che Alina respingeva talvolta con garbo, talvolta con disprezzo, sempre con rassegnazione.
"palesemente" (evviva gli avverbi in "mente", quando ci vogliono! :lol: )

Buona introduzione, direi. Al netto di qualche nota che ti ho esposto, inquadra bene situazione, ambiente e personaggi.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmViveva certamente intrappolato nella classica routine maniacale delle persone sole, potevi dire dopo averlo conosciuto che era un uomo buono, molto educato, ma al quale non avresti mai aperto la porta di casa. Apparteneva a quella categoria di individui che vanno bene fino a un certo punto e confinate in un certo contesto: questo
(A me piace la virgola prima degli avversativi: li rafforza.)

Però, arrivato a questo punto trovo che questa forte categorizzazione imposta dalla voce narrante, come dire?... mi allontana. Gradirei un narratore più neuto e meno moralista... Voglio dire che è stata fatta una descrizione abbastanza chiara di Giampietro, e io traggo le mie conclusioni, che non sono per nulla quelle che la voce narrante sembra volermi imporre ("Apparteneva a quella categoria di individui che vanno bene fino a un certo punto e confinate in un certo contesto", e prima, addirittura:  "al quale non avresti mai aperto la porta di casa"). Ma perché? Non è questo che passa dalle descrizioni precedenti del personaggio. Io, almeno, mi son fatto un'idea completamente diversa. Non aprirei mai la porta di casa a un poco di buono e Giampiettro è tutt'altro che tale. Va bene, con personalissimi difetti caratteriali, pesante, magari borioso, fatuo. Ma non un poco di buono (e non basta far trapelare qualche mistero su incontri con mercenarie, per fare di un uomo uno a cui non apriresti la porta di casa).
Il problema non è solo di gusti miei personali, qui c'è proprio il fatto che la voce narrante, così moraleggiante nelle sue conclusioni, stona parecchio. Perché è chiaro che vorrebbe essere neutra, nel complesso del racconto, ma con queste "affermazioni" non ci riesce proprio, e forza conclusioni che non sono coerenti con le descrizioni precedenti del personaggio.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmCompiuti i cinquant’anni il deserto che hai attorno ti piaccia o meno lo senti tutto: e i drink, le amicizie effimere, la palestra, il mensile che ti sei costruito non sono sufficienti ad allontanarlo;
Un altro dettaglio, perdonami (ma la buona narrazione è fatta di cura dei dettagli) e le immagini che usi sono buone ed espressive, ma (naturalmente secondo me, potrai anche non condividere, com'è ovvio) alcune richiedono un po' di messa a punto. In questo caso: non si allontana il deserto, sei tu che devi allontanartene (sottintendendo che lo si lascia per zone meno "desertiche"). Quindi la frase, a mio, parere funzionerebbe meglio con "per allontanartene". D'accordo, siamo esseri in movimento, e allontanare il deserto è, secondo la focalizzazione sul personaggio, proprio "allontanarsene". Ma nel racconto usi una focalizzazione zero e personalmente preferirei vedere un "deserto fermo" e il personaggio che cerca di lasciarlo.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pm
quelle convinzioni erano troppo radicate lei
manca la preposizione
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmQuesti incontri erano a tratti silenziosi e malinconici, dominati da un’aria singolare che pareva prodursi dalle pieghe di quei tendaggi da bar, nei quali l’ombra si raccoglieva tristemente e che parevano sempre un poco  muoversi, come dagli atteggiamenti diversi e del pari significativi dei due, la stanza in quell’arco temporale che segnava la fine del giorno era piena di un’aria di malinconica festosità e di incomprensibile disagio.
Bello. Ma (e ti pareva che non ti tirassi fuori un "ma"? :asd: ) per il rittmo della frase, consiglierei questa ortografia:
Questi incontri erano a tratti silenziosi e malinconici, dominati da un’aria singolare che pareva prodursi dalle pieghe di quei tendaggi da bar, nei quali l’ombra si raccoglieva tristemente, e che parevano sempre un poco  muoversi come dagli atteggiamenti diversi e del pari significativi dei due. La stanza, in quell’arco temporale che segnava la fine del giorno, era piena di un’aria di malinconica festosità e di incomprensibile disagio.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmGianpietro con garbo ci provava, metteva in scena tutte le sere questa esibizione, claudicante, ingenua e provvisoria,
Anche qui ci vuole una virgola (magari eliminando quella dopo "esibizione"?)
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pm
-       Magari potessi, sarebbe bellissimo. Purtroppo ho già un impegno, devo fare compagnia a una delle mie nonne: ho promesso che avrei passato la  domenica in casa con lei.
-        Faremo un’altra volta. Ti prego chiedimelo ancora più avanti.
-        Certo cara, ci riusciremo presto. Ora ti lascio chiudere.
Qui c'è una piccola svista: cambi battuta, ma non dovresti, perché è sempre Alina che lo dice.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmQuella recita continuava serenamente nell’errata convinzione di entrambi che solo uno dei due avesse visto tutte le carte dell’altro.
Non congiuntivo, ma condizionale, altrimenti la frase non funziona, secondo me.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pmAlina stava accarezzando l’idea che, nonostante tutto, un giorno o l’altro, avrebbe detto di sì a Gianpietro
"nonostante tutto" lo vedrei come inciso. Potresti obiettare che però così metti due incisi consecutivi. E io ti chiedo: perché no? La frase, così, prende un ritmo che mi piace e che trovo espressivo.
Ettore Navarra wrote: Fri Aug 30, 2024 1:34 pm cercando di strappare di quel grigiore che l’uomo spargeva naturalmente dietro di se.
"strappare un po' di quel grigiore". Oppure: "strappare quel grigiore". Anche qui: dettagli da pignoli? Niente affatto, secondo me: la differenza è significativa per determinare quanto Alina speri, creda, desideri (e si consideri)... È consapevole che più di "un po'" non riuscirà ad ottenere da quel rapporto (e quindi dalla vita)? Oppure, fra le sue ambizioni c'è almeno quella di spazzare quel grigiore? (tutto, almeno quello?). Eh, fa la sua differenza, per mostrare com'è Alina...

Eh, bel racconto: mi è davvero piaciuto. Il finale è una chicca: essenziale, desolante, perfettamente calzante. Definisce, per chi non ci fosse arrivato da sé, chi è Giampietro. E lo fa, finalmente, senza moralismi, semplicemente mostrando il personaggio e il suo modo di essere, perso nel proprio egoismo.

Due personaggi, Alina e Giampietro, molto soli e tristi, per i quali non traspare alcuna possibilità di riscatto. Perfettamente credibili, se trascuro alcune forzature della voce narrante, che ti ho fatto notare.

A rileggerti.

Re: L'ora di chiusura

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Ettore Navarra wrote: Era il trucco innocente per averla tutta per se, almeno, per uno striminzito quarto d’ora.
va scritto con l'accento e dopo "almeno" va tolta la virgola
Ettore Navarra wrote: niente di più frequente in quell’umanità languida e trasognante costantemente impilata impalata  con un bicchiere in mano dietro al bancone.
toglierei "costantemente"; dicono che sia meglio sfrondare gli avverbi
Ettore Navarra wrote: Non era così trascurato virgola considerata la condizione di solitudine e l’età adulta: 
Ettore Navarra wrote: che lasciava pensare a delle analisi del sangue mai fatte o mai ritirate, questione questa, ben compensata dall’abbigliamento dentro il quale sempre abitava
dopo "ritirate" matterei i due punti esplicativi; dopo questione, metterei una virgola, per chiudere l'inciso 
Ettore Navarra wrote: certamente ti avrebbe messo addosso un temperamento faticoso da sopportare un carattere insopportabile
suggerimento
Ettore Navarra wrote: Un’ultima peculiarità urticante di quell’uomo, si manifestava nel millantare virgola con modi quasi compulsivi virgola un ceto sociale
quella virgola dopo "quell'uomo" non ci va, perché separa il soggetto (la peculiarità) dal verbo
Ettore Navarra wrote: Il bancone del bar non era quel pulpito di opportunità che aveva tanto sognato; e che a tante ragazze come lei aveva regalato una vita migliore. 
escluderei quel punto e virgola superfluo
Ettore Navarra wrote: Quel bar virgola seppur ben frequentato virgola era lo spazio di un’umanità infima, gente ciondolante tra i tempi persi della vita, 
qui noto una contraddizione in termini: come fa un bar a essere "ben frequentato" se gli avventori sono di un'umanità infima? Forse volevi dire
che la clientela era numerosa? Allora, ti suggerisco:
Quel bar aveva una clientela numerosa, ma purtroppo dava spazio a un'umanità infima: gente ciondolante tra i tempi persi della vita...
Buona quest'ultima espressione!
Ettore Navarra wrote: La barista aveva sempre un ché di peccaminoso per alcuni clienti,
si dice "un che" senza l'accento
Ettore Navarra wrote: quest’aspetto spingeva alcuni avventori, i più coinvolti dallo stereotipo in proposte equivoche, spesso oscene, e ogni tanto del tutto palesi venali;
Secondo me, dovresti rivedere con più chiarezza la frase sopra
Ettore Navarra wrote: Ma chi si vede! Gian, sai che mi stavo preoccupando, che ti faccio?
Ah, è detto in senso ironico. Forse potresti anche "mostrarlo"
Ettore Navarra wrote: -         Ti faccio vedere che venderà anche il BMW a breve … . Io non posso avere certi problemi: so farmi i conti, non punto mai una situazione così          aleatoria. Questo mio sorriso non me lo gioco ai dadi.
Qui sta parlando Gian. Non capisco l'ultima frase. O volevi scrivere: Questo tuo sorriso non me lo gioco ai dadi?
Ettore Navarra wrote: -         Purtroppo per farsi una bella vita come si deve oggi bisogna prendersi qualche grosso rischio.
Ti suggerisco:
Purtroppo, per fare una bella vita, oggi come oggi, bisogna assumere qualche rischio, e grosso.
Ettore Navarra wrote: Girava a bordo di una vecchia Porsche Boxster del novanta
Ettore Navarra wrote: si era così tirato fuori così un mensile senza dover far nulla o quasi. Niente di geniale. Diremmo una gestione piccolo borghese del denaro; (meglio i due punti) accurata e avara. Girava a bordo di vecchia Porsche Boxster del novantadue, di un blu ormai slavato e con tutti i fregi sbiaditi, un’auto della quale conosceva ogni aspetto, più per un interesse personale a controllarne le spese che per un’autentica passione motoristica, (meglio un puntoportava Portava poi sempre al polso lo stesso orologio da anni, un magnifico Rolex dal quadrante nero; sempre un’eredità del padre.
C'è un "così" di troppo all'inizio
Ettore Navarra wrote: Viveva certamente come intrappolato nella classica routine maniacale delle persone sole, (meglio il punto e virgola) potevi dire dopo averlo conosciuto che era un uomo buono, molto educato ma al quale non avresti mai aperto avresti preferito non aprire la porta di casa.
suggerimenti
Ettore Navarra wrote: Compiuti i cinquant’anni virgola il deserto che hai attorno ti piaccia o meno lo senti 
Ettore Navarra wrote: Questi incontri erano a tratti silenziosi e malinconici, dominati da un’aria singolare che pareva prodursi dalle pieghe di quei tendaggi da bar, nei quali l’ombra si raccoglieva tristemente e che parevano sempre un poco  muoversi, come dagli atteggiamenti diversi e del pari significativi dei due, la stanza in quell’arco temporale che segnava la fine del giorno era piena di un’aria di malinconica festosità e di incomprensibile disagio.
Che belle immagini! Bravo!
Ettore Navarra wrote: perché in cuor suo era certo che virgola di quel poco che lui potesse offrire, Alina si sarebbe alla fine accontentata. 
per aprire l'inciso
Ettore Navarra wrote: Si trattava solo di raccontarla bene, e di mantenere la posa giusta, e di continuare ancora per un po’ questo sgraziato balletto.
Ben detto, però non capisco perché hai usato l'aggettivo "sgraziato". A me Gian ha dato l'idea di avere intenzioni serie con Alina.
Ettore Navarra wrote: Gli era bastato registrare un dettaglio tra i tanti per capire chi era Gianpietro. E anche Gianpietro aveva ben capito chi era lei.
Se lo ha ben capito, che lei è disincantata e dai sentimenti avvizziti, perché continua a farle la corte?
Ettore Navarra wrote: Quella recita continuava serenamente nell’errata convinzione di entrambi che solo uno dei due avesse visto tutte le carte dell’altro.
Eppure continuano?
Ettore Navarra wrote: Alina stava accarezzando l’idea che nonostante tutto, un giorno o l’altro, avrebbe detto di sì a Gianpietro e sarebbe diventata la sua donna.
Ma non ci mette molto, dopo, a rinunciare a una gita in barca offerta da lui con fervore e da lei rifiutata (per un motivo valido, d'accordo) ma senza riprogrammarla. 
Ettore Navarra wrote: avrebbero mangiato fuori la sera ogni tanto, facendo un po’ attenzione al costo del menù, e sarebbero perfino andati qualche giorno in ferie, lui l’avrebbe presa dentro casa, 
Un domani di coppia ordinario, ma che, da parte di lui, sarebbe stato gradito.
Ettore Navarra wrote: Mancava ancora qualche mese al compleanno di Alina e quei rifiuti, quelle sospensioni, quei rinvii, gli riempivano il cuore. Erano il regalo più grande che potesse farsi.
Non capisco il finale... Come "gli riempivano il cuore"? E se il compleanno è di lei perché Gian parla di un regalo a se stesso?
E come può essere un regalo che più grande non potesse farsi? Gli basta così poco?

Grazie della lettura interessante, @Ettore Navarra   :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: L'ora di chiusura

4
@queffe 
 
Grazie mille per la cura con cui hai letto il mio racconto, farò tesoro dei tuoi suggerimenti, lì ho trovati intelligenti e opportuni specie quello sulla voce narrante.
E.

Re: L'ora di chiusura

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Ettore Navarra wrote: Era il trucco innocente per averla tutta per se
refuso: sé 
Ettore Navarra wrote: un po’ troppo cinereo;
direi colorito “cereo”, cinereo è un aggettivo che si adatta di più alla luce della Luna, per esempio.
Ettore Navarra wrote: il tempo libero tanto sognato, nelle notti insonni al servizio delle sue nonne, non si stava manifestando proficuo come sperava
In generale trovo un uso della punteggiatura non troppo adeguato. Il risultato è una lettura piuttosto faticosa. Per esempio non trovo corretto l’inciso (nelle notti insonni al servizio delle sue nonne). Tutta la costruzione del periodo è poco fluida (non si stava manifestando è una forma pesante, puoi alleggerire la frase complessiva senza che il risultato cambi).  
Ettore Navarra wrote: Il bancone del bar non era quel pulpito di opportunità che aveva tanto sognato; e che a tante ragazze come lei aveva regalato una vita migliore.
altra punteggiatura da modificare. Perché usare il punto e virgola?  Inoltre “tanto”  e “tante” sono troppo ravvicinati… magari potresti sostituirlo con molte, per esempio.
Ettore Navarra wrote: Quel bar seppur ben frequentato era lo spazio di un’umanità infima, gente ciondolante tra i tempi persi della vita, uomini perennemente di passaggio tra il bancone, la sala scommesse e il supermercato: ignavi naviganti nei grigiori dell’esistenza umana.
periodo eccessivamente lungo, affetto da una punteggiatura non sempre corretta. Inoltre c’è un’incoerenza di fondo: non mi pare si possa parlare di un bar “ben frequentato”. 
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Quel bar seppur ben frequentato era lo spazio di un’umanità infima Ecc. Qui c’è un inciso da mettere tra virgole. “Quel bar, seppur ben frequentato, era alo spazio ecc. “[/font]

Ettore Navarra wrote: La barista aveva sempre un ché di peccaminoso per alcuni clienti, quest’aspetto spingeva alcuni avventori, i più coinvolti dallo stereotipo in proposte equivoche, spesso oscene, e ogni tanto del tutto palesi venali; proposte che Alina respingeva talvolta con garbo, talvolta con disprezzo, sempre con rassegnazione.

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Punteggiatura che rende quasi illeggibile la frase.  Per esempio potresti un po’ asciugare il periodo. [/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]La barista, per alcuni clienti, aveva un non so che di peccaminoso; quest’aspetto li spingeva a farle proposte equivoche, spesso oscene che lei respingeva ecc. [/font]
Ettore Navarra wrote: -         Ma chi si vede! Gian, sai che mi stavo preoccupando, che ti faccio?
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Se utilizzi il trattino per i dialoghi, ricordati che c’è un solo spazio da mettere. Anche in questa frase di dialogo la punteggiatura mi pare traballante. Magari potresti mettere dei punti di sospensione dopo “preoccupando” anziché mettere la virgola.[/font]

Ettore Navarra wrote:
-         Ti faccio vedere che venderà anche il BMW a breve … . Io non posso avere certi problemi: so farmi i conti, non punto mai una situazione così          aleatoria. Questo mio sorriso non me lo gioco ai dadi.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]I puntini di sospensione non devono essere preceduti dallo spazio.  C’è poi il solito errore degli spazi un po’  naïf dopo il trattino iniziale del dialogo.[/font]

Ettore Navarra wrote: Gli appartamenti li aveva messi in affitto
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]semplificherei: li aveva affittati[/font]

Ettore Navarra wrote: Diremmo una gestione piccolo borghese del denaro; accurata e avara.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]qui utilizzerei i due punti al posto del punto e virgola dato che si spiega come è la gestione piccolo borghese del denaro.[/font]

Ettore Navarra wrote: Girava a bordo di vecchia Porsche Boxster
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]manca l’articolo (di una vecchia Porsche)[/font]

Ciao @Ettore Navarra non pensare che, viste le “segnalazioni” che ti ho fatto, il racconto non mi sia piaciuto! Hai saputo caratterizzare molto bene i tuoi personaggi, il finale è davvero azzeccato, per me è la parte più riuscita della narrazione.
Certo c’è molto da lavorare sulla scrittura e sulle regole. La punteggiatura è tutta da sistemare, i periodi sono spesso farraginosi e da asciugare.
C’è una eccessiva (e fastidiosa) ingerenza del narratore onnisciente che con la sua “morale” disturba durante la lettura e distoglie l’attenzione dai personaggi. Anche i dialoghi (graficamente) sono da revisionare. 
In totale è un bella bozza di un bel racconto che, una volta rielaborato e corretto, può diventare bellissimo.








Re: L'ora di chiusura

7
Buongiorno Ettore, commento il tuo racconto che ho letto per interno.
Più che sulla punteggiatura, mi soffermerei sulla costruzione della vicenda.

Hai deciso di aprire con questa frase: 
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Passava tutte le sere e sempre sull’ora di chiusura. [/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Purtroppo, dal mio punto di vista, non è una buona scelta poiché non dice al lettore dove siamo, quando e soprattutto chi compie l'azione.[/font]
Per questo motivo, trovo molto più riuscita l'apertura su Alina:
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Alina viveva ormai da dieci anni in Italia e in quel periodo stava prendendo consapevolezza che non era stato un grande affare il trasferimento definitivo a Brescia.[/font]
Qui sappiamo subito dove ci troviamo, chi stiamo seguendo nella narrazione e contiene anche un piccolo conflitto, ovvero le aspettative non esaudite di un trasferimento.

Per questa ragione, io avrei invertito le due sezioni: avrei iniziato con Alina, che subito detta le coordinate narrative, e poi avrei inserito l'introduzione di Gianpietro.

Proseguendo noto molto la presenza di un narratore che racconta. Dopo queste due introduzioni "raccontate", perché non mostrare le insicurezze e i pensieri dei due personaggi con dei dialoghi? Magari descrivendo un po' di gestualità tra i due, rivelatrici dei loro blocchi emotivi.
Hai introdotto una routine dove lui si palesa a lei verso la chiusura. Mostriamo una linea di dialogo dove si parla del più o del meno, ma con una sferzata finale suggerita che lascia sospesi entrambi. 
"Si sta facendo buio" provò a buttare lì Gianpietro, ruotando con finta indifferenza il suo solito Long Island.
"Già". Alina gli disse solo questo, mentre contava le monete in cassa. Le stesse monete che aveva già contato poco prima.
"Senti..." proseguì lui. "Vuoi che, magari eh, senza strane idee... Ecco, potrei accompagnarti a casa".
La donna, sempre con le stesse monete in mano, gli rispose con un sorriso. "Ma no Gianpietro, vai pure. Io ne avrò per un po' qui". 
Posò le monete poi proseguì. "E poi dovrebbe passare Bogdan, un mio vecchio amico".

Così introduciamo Bogdan prima della spiegazione del suo ruolo e creiamo una tensione triangolare tra Alina, Gianpietro e l'altro. Diventa molto più efficace il racconto.

In generale, ragionando in questo modo, alla fine si arriva anche ad un colpo più forte sul finale: l'affanno di Gianpietro, di ottenere una barca prestata da un amico per far bella figura con l'amata, acquisisce più valore e diventa un pugno nello stomaco fortissimo, capace di farci empatizzare con lui.

In questo senso si intensifica un climax con un ben congegnato dialogo rivelatore sulla reale proprietà della barca.

Un altro esempio di questo concetto.
Alina si culla nell'idea di dire sì a Gianpietro, un giorno. Mostriamolo.
"Ti vedo spenta oggi" disse Gianpietro, abbassando lo sguardo sul bancone in marmo.
"Sì, scusa so che dovrei sorridere..."
"Non preoccuparti, non sono uno di quelli che vogliono le belle bamboline" si affrettò a rispondere lui. "Se sei triste, con me puoi esserlo".
Gli occhi di Alina si addolcirono, quando le disse così. "Sei un uomo gentile. Non come..."
"Come chi?" chiese Gianpietro.
"No, nulla". Alina tornò triste.
Non come Bogdan, concluse lui, dentro di sè. So per cosa ti usa lui.
Ma queste parole gli rimasero dentro, non doveva, anzi, non voleva esprimersi. Che diritto avrebbe avuto, in fondo?

In bocca al lupo Ettore, il racconto ha un altissimo potenziale emotivo e mi ha sinceramente smosso. Manca solo un pochino di tecnica, che sicuramente è alla portata di tutti acquisire! Non demordere!

Un saluto

Re: L'ora di chiusura

8
Grazie @Black01 mi piace come vi siete, un po' tutti, affezionati a questi due personaggi. Proverò a riportarli in scena ancora.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Ho apprezzato molto i tuoi consigli e ne farò tesoro. [/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]E.[/font]

Re: L'ora di chiusura

9
La prima cosa che mi ha colpito del tuo racconto è stata la scelta del titolo, è a mio avviso in realtà il perfetto riassunto della vicenda narrata.  Gianpiero ed Alina diventano i simboli dell'uomo mediocre che si limita a venire a patti con la realtà che lo circonda. Se Alina, che ha cercato di cambiare, che ha voluto provare a sognare, ricorda i vinti della letteratura di Verga, Gianpiero trova ispirazione nella figura dell'inetto tratteggiato da Svevo. Alina non perde completamente contatto con la realtà e non si lascia vincere dagli eventi, anzi pianifica la sua sconfitta in modo che non  faccia troppo male, mentre Gianpiero si lascia vivere in una realtà parallela che ha ben pochi punti di contatto con la verità, se non nel non riuscire ad accettare l'irreversibile solitudine dei suoi giorni. Per quanto riguarda lo stile lo trovo misurato ed adatto al racconto della vicenda e dei personaggi che, anche se non sono descritti minuziosamente, hanno una loro personalità e non restano relegati al ruolo di maschere. A livello grammaticale devo dire, come tutti coloro che mi hanno  preceduto che effettivamente la punteggiatura è un po' da rivedere e te lo dice uno che ha il tuo stesso problema. Comunque è un racconto di gradevole lettura , realistico e spero di rileggerti ancora.   

Re: L'ora di chiusura

10
Altri prima di me hanno fatto il pelo alla grammatica e alla sintassi. 

Mi soffermo sul quel trasognante. Che vuol dire fantasticare. E quindi perché umanità trasognante? Può essere trasognante Giampietro, nel suo desiderare Alina, o Alina nel suo desiderare una vita agiata, ma l'umanità perché?

Il punto è il lessico. Alle volte si inseriscono termini che suonano bene, ma il loro significato è però fuorviante rispetto al contesto.
Riflettere bene su ogni termine dunque.  

La storia è quella minima di due solitudini, che si incontrano, o faticano a incontrarsi, sullo sfondo di un bar, di una città di provincia,  di un locale dove la protagonista lavora e dove il protagonista si trova a passare il tempo o a perdere il suo tempo, sembra suggerire l'autore.
Si incontrano perché sono soli, perché non hanno prospettive, o pensano di non poterle avere, perché hanno entrambi una certa età, perché non hanno fiducia in loro stessi, perché l'autore ha voluto costruire quest'aura malinconica e questo senso di inutilità intorno alle loro esistenze. Sembrano un po' i personaggi di Senilità di Svevo, ma quel romanzo riesce a dare ai poveri protagonisti un altro spessore. 
Qui lo spessore si riduce a una vita vuota, che l'autore volutamente descrive in questo modo e sembra quasi un giudizio morale su questo tipo di vita. Sembra che l'autore abbia creato i personaggi per poi disprezzarli. 
Ma anche, soprattutto, i protagonisti di una vita vuota possono avere dei sentimenti e la consapevolezza della loro pochezza. Forse potevi descrivere questa e farli incontrare e stare bene perché sanno che hanno poco e sono poco e chi è veramente ricco sa farsi bastare anche il niente. 
Il finale lo lasci aperto, ma è la mancata chiusura pare una finzione anche questa, che lascia l'amaro in bocca. 
Io l'avrei intitolato l'ora dell'apertura per lasciare intatta la speranza.   

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