[Lab 18] Aurora

1
La neve scendeva sul terreno in vortici sospesi, coprendo le tracce del gatto delle nevi, vecchie di due settimane. Strano: non passava mai qualche giorno senza che consegnassero i viveri. Da dentro il suo cubicolo riscaldato, Adam spense il riflettore sull’esterno e sospirò, tornando alla lettura del libro. Per il momento non aveva di che preoccuparsi. Avrebbe dovuto andare a coricarsi, invece, ma proprio non riusciva a dormire o a concentrarsi sulla lettura.
“Non dormi nemmeno tu, Eve?” chiese ad alta voce.
Non è nemmeno notte, gli rispose lei.
Già, gli venne da pensare: a quella latitudine, in inverno, non c'era luce per quasi tutto il giorno. E poi la solitudine gli aveva fatto perdere fin dall’inizio il senso del tempo, assieme alla presunzione di essere utile a qualcosa. Da quanti anni lavorava lì?
“Non lo so più nemmeno io,” rispose, mettendo da parte il libro. Gli era passata la voglia di leggerlo.
Dietro la stanza di osservazione, in cui si trovava ora, c’era un appartamentino: cucina, bagno, una stanza per dormire. Ancora più dietro si accedeva al primo locale con i sensori di temperatura e pressione per l’azoto liquido, più tutti i comandi. Da lì ancora una porta blindata si affacciava sulle scale. E tramite queste si andava giù nella Volta. 
Quello era tutto il suo mondo. Nessun contatto con l’esterno se non per gli sparuti rifornimenti. Nessuna radio. E il tutto mantenuto in vita da uno strano marchingegno.
Non sai, vero, cosa sia veramente, nonostante te lo abbiano spiegato così tante volte?
Eve gli sorrise, divertita.
In realtà, alla fine, lo sapeva bene: molto al di sotto del silos c’era una camera magmatica, utile per ottenere energia geotermica; elettricità e calore rendevano tutto indipendente. Soprattutto non c’erano computer o apparecchi elettronici. Soltanto meccanica e l’elettricità per far funzionare tutto. 
E sì: c’era parecchia roba là sotto. Era per quello che non riusciva a dormire quella notte? O per quel libro che stava leggendo? Se avesse dovuto scegliere di nuovo quel lavoro, lo avrebbe fatto. Era pagato bene, e la solitudine… beh, quella poteva essere un problema, ammise, ma ci si era abituato.
“Vero, Eve?” le chiese, sottovoce.
Lei non rispose, non stavolta. Forse non voleva parlargli. 
Attraversò tutto l’appartamento e andò sul retro: doveva controllare la strumentazione. La pressione dell’azoto liquido doveva essere costante e, negli ultimi tempi, una valvola era difettosa. La individuò subito: la lancetta che danzava attorno alla posizione di sicurezza, sul limite della zona verde.
“No, non andiamo bene così,” mormorò, picchiettando sul vetro esterno, mentre la lancetta si impennava verso la zona rossa, per poi tornare indietro.
Non andiamo bene per niente, commentò Eve. Eccola tornata.
“Vero,” confermò, “hai proprio ragione.” Da qualche parte aveva lasciato gli strumenti che gli servivano. Solo che ora gli toccava scendere nella Volta e stringere il dado di ingresso alla valvola. A volte capitava che il contatto con l’azoto liquido contraesse il metallo, allentandolo. 
Sempre che si trattasse solo di questo, pensò. Rabbrividì: il freddo gli entrava nelle ossa al solo pensiero che potesse essere un guasto peggiore. Niente, doveva proprio controllare. Recuperò la chiave adeguata, assieme al cappotto pesante sull’appendino di fianco alla spessa porta d’acciaio. Entrò nella Volta. Lì le luci erano sempre accese nel perenne ronzio dei dispositivi di sicurezza. Con calma scese le scale, un gradino alla volta. Le valvole erano tutte in alto, mentre la stazione di pompaggio si trovava a centinaia di metri di profondità. Certo che era veramente freddo là dentro.
Coraggio, sopporta. Non ne hai ancora per molto: il libro ti aspetta al caldo.
La sempre affidabile e premurosa Eve. Le sorrise, ma non alzò lo sguardo per vedere se lo ricambiasse. Ne era certo. Incastrò la chiave nel dado e, con delicatezza, provò a stringerlo.
Chissà cosa succederebbe se mi sfuggisse di mano ora, si chiese, allarmato.
Un brivido di insensibilità gli attraversò il braccio come una scarica elettrica, facendo contrarre la mano. Scattò indietro, insensibile, come se si fosse scottato, e perse la presa. La chiave scivolò giù. La sentì cadere più volte, sbattendo sulle scale metalliche. Sempre più giù. Poi tacque. MALEDIZIONE.
Non è proprio quello che hai appena pensato? Lo riprese Eve, con derisione.
“Vuoi che me la prenda anche con te?” esclamò Adam, sfregandosi le mani con forza sui pantaloni, per riacquistare la sensibilità. Avrebbe dovuto bestemmiare a voce alta, ma sapeva che non sarebbe servito.
Ora doveva andarla a cercare, anche se gli ci sarebbero volute ore per recuperarla. Non ne aveva un’altra uguale e non poteva aspettare che gliene fornissero una copia con i rifornimenti. Sarebbe passato troppo tempo: avrebbe dovuto attendere che tornassero per ordinarla e poi… aspettare ancora.
Scese piano, attento a non farsi male. Era sicuro che Eve lo seguisse passo passo con lo sguardo, ma pur sempre a distanza. La chiave era finita molte rampe di scale più sotto, incastrata di traverso nel pavimento metallico a rete saldata. La raccolse. Sentiva la mano ancora un po’ insensibile. A dire il vero lo era sempre di più negli ultimi tempi. Ritornò su, pestando forte sui gradini: dai piedi veniva una forte eco, che lo distraeva dai suoi dubbi.
Dovresti proprio farti vedere, osservò Eve.
Lui sbuffò: “E a cosa servirebbe? Sono io il responsabile di questa struttura: mi pregherebbero di rimanere qui, ad aspettare un sostituto.”
Vero.
Gli era già capitato un’altra volta; sapeva come andavano quelle cose. E poi la Volta era troppo importante. Quell’enorme silos in profondità, nascosto in un arcipelago sconosciuto delle isole artiche. All’interno tonnellate di azoto liquido che defluivano in basso e, vaporizzando, mantenevano costante la temperatura interna.
-196°C
Avevano pensato proprio a tutto, vero, Adam? Gli chiese Eve.
In effetti sì. C’erano le riserve di azoto, la ridondanza dei sistemi di sicurezza e l’elettronica ridotta al necessario. Nessun computer o intelligenza artificiale che potesse guastarsi o sabotare il progetto. Il solo punto debole era lui: una sentinella a guardia di una fortezza nel deserto ghiacciato. Là fuori neve e permafrost. Qui dentro un silos.
La struttura tremò all’improvviso.
“Eve. L’hai sentito anche tu?” chiese.
Non farla troppo tragica. C’è quella giunzione da stringere per bene prima, se non vuoi che la valvola si rompa.
Attento a stringere la chiave in mano, per non farla cadere di nuovo, serrò con decisione il dado. Ci metteva forza, ma non troppa: il giusto. Non voleva correre il rischio di romperlo. E poi l’appartamento lo aspettava, come una culla calda in cui crogiolarsi. Magari dopo si sarebbe appisolato per un po’. Oppure poteva riprendere a leggere quel libro.
Ti farebbe bene dormire. Dormi troppo poco, gli consigliò Eve.
“Certo, magari la pianterei di parlare da solo,” le rispose, ridendo. Non si aspettava che gli rispondesse. Sapeva che su questo argomento era meglio tacere con lei.
La struttura tremò di nuovo, più forte, facendogli accelerare il passo sulle scale. Cosa stava succedendo? Arrivò con il respiro corto nella stanza dei sensori: la lancetta ora era fissa sul verde. Affidabile. Adam sorrise compiaciuto. 
E anche stavolta ce l’abbiamo fatta.
Solo che i sensori della temperatura esterna erano completamente sballati: le lancette ballavano tutte insieme impazzite. Adam le fissò, inerme. La struttura vibrava ancora, a tratti. In caso di emergenza, il silos veniva separato dall’esterno e sprofondava ancora più in basso. Ma perché trema? Per un’eruzione vulcanica qui vicino?
Il libro lo aspettava ancora al suo posto: la costola verso l’alto a tenere il segno. Ma lui si precipitò a guardare verso la finestra esterna: non trovò il buio, ma una strana luce, un bagliore diffuso, che non aveva mai visto prima.
Adam cercò di guardare meglio cosa fosse, attraverso quel vetro. Il buio era stato sostituito da una pallida luminosità. 
Ma non poteva nemmeno essere l’aurora boreale, non era la stagione giusta, quella. 
“Eve, vieni qui a vedere anche te. È impressionante.” Cercò di tenere un tono disinvolto. Non voleva farle capire che era preoccupato; ma lo era eccome.
Eve non emise suono. Non l’aveva mai fatto, in realtà. Non poteva nemmeno vedere da lì dove stava lui. Sapeva che era soltanto una concessione alla follia, in quell’interminabile solitudine. Anche se a volte gli sembrava così reale nella testa, non esisteva davvero.
Fuori la luminosità cresceva: un vento forte sbatteva a ondate contro la vetrata, facendola vibrare a scatti. Adam sentì un secco rumore metallico: il dispositivo di sgancio che faceva sprofondare il silos, isolandolo. Ecco, era fatta.
“Eve?” la chiamò. “Non ti sembra un po’ ridicolo che l’unica soluzione all’estinzione dell’umanità sia una bella bara in profondità nei ghiacci?” 
Con qualche milione di embrioni umani congelati all’interno, sigillati dietro la porta blindata.
Appoggiò la mano sul vetro. E la tolse di scatto.
Era caldo, scottava. Il permafrost si liquefaceva in fango scuro sotto i suoi occhi.
Non era l’aurora quella. Eve, aggrappati forte a qualcosa, se puoi, pensò. Appena prima che la luce mutasse in onda d’urto. Polverizzava tutto ciò con cui veniva in contatto lungo la sua corsa. Adam non riuscì a formulare molti pensieri, prima che arrivasse su di lui.
Peccato, avrei voluto proprio finirlo quel libro. Dov’ero arrivato? Si chiese.
Fu Eve accanto, anzi, dentro di lui, a suggerirglielo:
“...Eppure il tempo soffiava; senza curarsi degli uomini passava su e giù per il mondo, mortificando le cose belle, e nessuno riusciva a sfuggirgli, nemmeno i bambini appena nati, ancora sprovvisti di nome…”*
Polvere e pietrisco ancora si depositavano sul terreno, quando Eve prese coscienza di sé. Era sola: non sentiva più Adam. Era viva. Ancora nell’aria rimaneva il ronzio dei pistoni che avevano fatto sprofondare la Volta là sotto.
Ora toccava a lei.
*Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati

Re: [Lab 18] Aurora

2
Strikeiron wrote: Da quanti anni lavorava lì?
“Non lo so più nemmeno io,”
corretto, la domanda fatta con il pensiero in corsivo e la risposta a se stesso fatta ad alta voce con le virgolette. Perché non hai usato le caporali? la risposta credo stia nel prosieguo del racconto.
Strikeiron wrote: E sì: c’era parecchia roba là sotto. Era per quello che non riusciva a dormire quella notte? O per quel libro che stava leggendo? Se avesse dovuto scegliere di nuovo quel lavoro, lo avrebbe fatto. Era pagato bene, e la solitudine… beh, quella poteva essere un problema, ammise, ma ci si era abituato.
perché in corsivo, come per i pensieri? qui è l'autore a parlare, il corsivo non serve.
Strikeiron wrote: Non andiamo bene per niente,
qui hai dimenticato le virgolette
Strikeiron wrote: Niente, doveva proprio controllare.
per coerenza (visto che hai usato il corsivo, si suppone sia un suo pensiero) al posto di doveva potevi scrivere devo: Niente, devo proprio controllare.
Strikeiron wrote: La sempre affidabile e premurosa Eve. Le sorrise, ma non alzò lo sguardo
il punto tra Eve e Le sorrise non ci va.
Strikeiron wrote: Un brivido di insensibilità gli attraversò il braccio come una scarica elettrica, facendo contrarre la mano. Scattò indietro, insensibile,
Questa frase non suona bene (almeno alle mie orecchie). Sarebbe sufficiente lasciare Un brivido gli attraversò il braccio con una scarica..., suggerisce già che qualcosa sta accadendo al  braccio, subito dopo spieghi che il motivo del brivido  è l'insensibilità, una malattia già in corso da tempo.
Strikeiron wrote:
 Sarebbe passato troppo tempo: avrebbe dovuto attendere che tornassero per ordinarla e poi… aspettare ancora.
Anche qui, perché in corsivo?

Strikeiron wrote: . Il solo punto debole era lui: una sentinella a guardia di una fortezza nel deserto ghiacciato. Là fuori neve e permafrost. Qui dentro un silos.
Anche qui corsivo, perché?

Strikeiron wrote: “Eve. L’hai sentito anche tu?” chiese.
Rifacendomi al bel complimento che mi hai fatto sulla gestione dei dialoghi, ti suggerisco di eliminare "chiese", si percepirà meglio l'urgenza della domanda: "Eve... l'hai sentito anche tu?" Anche il punto fermo mi pare che interrompa l'enfasi, vedo meglio i puntini di sospensione.

Strikeiron wrote:
Ti farebbe bene dormire. Dormi troppo poco, gli consigliò Eve.
questa frase andrebbe riscritta così: "Ti farebbe bene dormire", gli consigliò Eve e concluse "Dormi troppo poco."  Come l'hai scritta tu sembra che gli consigli di dormire troppo poco.  
Strikeiron wrote:  In caso di emergenza, il silos veniva separato dall’esterno e sprofondava ancora più in basso. Ma perché trema?
Perché in corsivo?
Strikeiron wrote: Ma non poteva nemmeno essere l’aurora boreale, non era la stagione giusta, quella.
Non occorre il corsivo

Strikeiron wrote: ma lo era eccome.
serve la virgola dopo era, e anche un punto esclamativo dopo eccome non sarebbe male (facoltativo, ovviamente).
Strikeiron wrote: Eve non emise suono. Non l’aveva mai fatto, in realtà. Non poteva nemmeno vedere da lì dove stava lui. Sapeva che era soltanto una concessione alla follia, in quell’interminabile solitudine. Anche se a volte gli sembrava così reale nella testa, non esisteva davvero.
Qui arriviamo alla scoperta: Eve non esiste. Anche se...

Dopo avere fatto le pulci al tuo racconto, passiamo al commento vero e proprio. Il testo, che fa l'occhiolino alla fantascienza, mi ha ricordato il libro La trilogia della città di Kappa nel quale non si sa se una certa coppia di gemelli sia esistita veramente, oppure se dei due sia esistito solo uno o l'altro (un vero rompicapo). Detto questo, ho trovato il tuo lavoro originale, sebbene l'idea non sia del tutto nuova; è risaputo che in una situazione di estrema solitudine si sente il bisogno di un interlocutore, in questo caso Eve. 
Mi hai ricordato il film Cast Away con Tom Hanks, dove un pallone diventa l'amico immaginario di un naufrago.
La tua conclusione però ribalta la situazione, Eve esiste. Ma chi è? A me sembra la si possa identificare con l'intelligenza artificiale che si impadronisce del futuro del mondo. Ho capito bene?

Fermo restando che serve uniformare il testo tra corsivo e virgolette, a me è piaciuto.  (y)

Re: [Lab 18] Aurora

3
@Adel J. Pellitteri Dopo ti rispondo con più calma, ma ci tengo a chiarire una cosa che purtroppo non sono riuscito evidentemente a comunicare bene nel racconto (mea culpa).
Nella prima parte è un flusso di pensiero, ovvero lui ha creato un'amica immaginaria con la quale comunica e dialoga. E' sempre lui a immaginare i botta e risposta, le espressioni, i silenzi. Dopodiché avviene l'evento di rottura e a quel punto Eve diventa reale e viva. E' come se si fosse distrutto e annullato tutto, ma l'ultima azione di Adam sia stata proiettare la sua coscienza al punto di... darle vita. 
I corsivi quindi sono sia i pensieri di Adam che le battute di Eve (che sono a loro volta i suoi pensieri) e che diventano un unico pensiero alla fine, in quel "Era viva"; pensiero in cui lei ha preso coscienza della propria esistenza.

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