“Sei sicura?”
“Sì, certo, qui finisco io, vai pure”.
“Ok, divertiti. Ci vediamo domani”
 Ascoltò i passi che si allontanavano, si rimboccò le maniche e si accomodò per qualche secondo al suo posto dietro la scrivania. Giusto un attimo di pausa per raccogliere le idee. L’orologio del computer segnava le diciannove precise, doveva fare in fretta se voleva prendere l’autobus delle diciannove e cinquanta e arrivare a casa a un orario decente. 
La bibliotecaria sorrise soddisfatta. Aveva progettato quell'iniziativa ormai tre anni prima, era sempre andata bene, ma quella volta le adesioni avevano superato le aspettative più rosee. La Notte dei Pupazzi in Biblioteca possedeva le sfumature del gioco, ma secondo lei aveva anche una valenza educativa. I piccoli partecipanti dovevano lasciare in biblioteca per una notte un loro pupazzo e riprenderlo la mattina seguente. Poi era tutta una questione di creatività; durante la serata si potevano disporre i pupazzi in giro per la biblioteca e poi scattare un sacco di fotografie fingendo che si comportassero proprio come i loro proprietari. La bibliotecaria aveva già in mente una sequenza di scatti in cui immortalare gli animaletti, da mostrare poi a bambini e genitori la mattina seguente. La valenza educativa di quell’attività risiedeva invece nel fatto che i bambini imparavano il senso del distacco, anche solo per una notte, da quello che spesso era il loro oggetto di conforto dalle paure (sciocche, ovvio, ma non lo puoi mica dire, lo devi tenere per te) e quindi imparavano a cavarsela da soli. 
Il pomeriggio era stato un andirivieni continuo di bambini, genitori, etichette colorate con il nome del proprietario e del pupazzo, saluti e rassicurazioni di ogni tipo. Al momento di chiudere la biblioteca, i pupazzi che avrebbero passato lì la notte erano ben diciassette, di tutte le forme e dimensioni. 
La bibliotecaria sapeva per esperienza dalle edizioni precedenti che in due avrebbero impiegato meno tempo: una poteva disporre i pupazzi a costruire scenari divertenti mentre l’altra scattava le fotografie per i bambini. Quella sera però la sua collega aveva chiesto di uscire subito per andare in centro a sentire un certo DJ Boyler che si esibiva non si sa bene dove. Insomma, c’era molto da fare e poco tempo per farlo.
Quando la bibliotecaria iniziò a disporre i pupazzi sulle postazioni usate di solito dagli studenti il pomeriggio, il sole del tramonto sfolgorava dietro le finestre della sala di lettura. Ciascun pupazzo aveva un libriccino davanti a sé e tutti erano disposti come se fossero molto concentrati nella lettura. Soprattutto il più grosso, un porcellino bianco e rosa con una zampa grigio chiaro, dal suo posto in seconda fila aveva l’aria di uno che il giorno dopo deve essere interrogato in latino e non ha idea di cosa sia l’ablativo assoluto.
La bibliotecaria scattò una fotografia panoramica, poi girò attorno ai tavoli e si avvicinò di più per qualche dettaglio che mettesse in risalto i libri. Dopo avere scattato altre tre fotografie alzò lo sguardo e contò mentalmente i pupazzi.
Sedici.
Ne mancava uno.
Per la precisione mancava un piccolo polipo fucsia, che si riconosceva facilmente proprio per il suo colore.
Era sicura di averlo appoggiato nella postazione dietro a quella del porcellino. Invece no, non c’era.
Si guardò intorno qualche secondo, poi lo vide sul secondo ripiano degli scaffali riservati ai vocabolari, vicino a un dizionario italiano-russo e russo-italiano.
“Devo essere proprio stanca” si disse ridacchiando. “Vai a capire come l’ho messo lì”.
Prese il polipo, un dalmata bianco e nero e un Winnie The Pooh in una mano, un unicorno dalla coda arcobaleno, una tartaruga blu e viola nell’altra e iniziò a disporli in ordine di grandezza vicino al frigorifero. Voleva metterli tutti di fronte all’elettrodomestico e fingere che i pupazzi avessero fatto una gara a chi aveva il sedere più bello. Poi li avrebbe portati davanti al monitor del computer, avrebbe cercato una scena di Coco e li avrebbe fotografati mentre sembrava che i pupazzi fossero immersi nella visione del film. Poi, ancora qualche fotografia in fila sul pavimento della biblioteca (la tartaruga doveva essere un po’ più indietro rispetto agli altri pupazzi, ovviamente), infine tutti sulle poltrone come se stessero per andare a dormire, e la Notte dei Pupazzi era fatta.
Un gioco da ragazzi.
Dispose i primi pupazzi in fila di fronte al frigorifero e scattò un’altra fotografia. Poi tornò alla sala di lettura per prendere il porcellino, che doveva essere il vincitore della gara.
Non c’era.
Si guardò intorno mentre lo sconcerto iniziava a prendere il sopravvento.
Era a metà strada fra lei e l’emeroteca, girato di spalle a fissare il portariviste di legno chiaro dove avevano appena messo il nuovo numero di Musica Jazz.
“Che sciocca sono! Pensavo di metterti da una parte e invece ti stavo mettendo da un’altra, eh?” si disse a voce alta per fronteggiare lo sconcerto crescente. Un’occhiata all’orologio le confermò che aveva ancora quaranta minuti prima di chiudere la biblioteca e uscire. 
Si avviò verso il frigorifero tenendo il porcellino sotto il braccio destro. Fece per posizionarlo all’estremità della fila dei pupazzi.
Che erano disposti in cerchio.
Tutti e sedici.
Anche la tartaruga blu e viola. 
Il porcellino cadde per terra mentre la bibliotecaria fissava sedici paia di occhi da pupazzo e sedici sorrisi sintetici. Abbassò lo sguardo alla sua sinistra per specchiarsi nei bottoni neri tondi che facevano da occhi al porcellino. Il più grande di tutti i pupazzi.
“Sono solo pupazzi. Non possono farti niente”.
Una parte della sua mentre le imponeva di essere razionale.
“Scappa. Scappa! Scappa!!!”.
Un’altra parte della sua mente le urlava questo comando.
Loro però furono più veloci.
Il porcellino si appoggiò alle sue gambe mentre il polipo, il dalmata e un tigrotto scattavano in aria e le atterravano sul torace. Per la sorpresa la bibliotecaria cadde all’indietro, a pochi centimetri dalla tartaruga. Cercò di rialzarsi, ma Winnie The Pooh e un Pippo senza cappello le salirono sopra le braccia e le bloccarono le mani.
La schiacciavano come macigni.
La bibliotecaria sentì qualcosa di pesante e peloso che le si arrampicava addosso. Alzò a malapena la testa e vide il porcellino ormai a pochi centimetri dal suo mento. Aprì la bocca per urlare, ma il porcellino le ficcò la zampa grigia in bocca.
Provò a muovere le gambe.
Le sentì appesantite e rigide come blocchi di marmo. Qualcosa di fluido e leggero le scivolava ritmico sulla gamba sinistra.
La sensazione che potrebbe suscitare una coda arcobaleno di un unicorno.
Provò a scalciare con la gamba destra, l’unica parte del corpo che sembrava ancora provvista di autonomia, ma fece in tempo a intravedere un lampo marrone chiaro che partiva dalla sua destra e le atterrava sulla gamba.
Probabilmente era la volpe.
Cercò di mordere la zampa che il porcellino le aveva ficcato in gola, ma il pupazzo continuò a fissarla con i suoi bottoni neri e il suo sorriso sintetico.
Con la coda dell’occhio la bibliotecaria capì che gli altri, quelli che non la stavano tenendo ferma, si stavano avvicinando lentamente.
La tartaruga fu la prima. Si piazzò esattamente sopra il diaframma, aprì la bocca in tutta la sua grandezza e lacerò con due morsi la maglietta.
Poi iniziò a scavare dentro di lei.
La bibliotecaria si contorse mentre le lacrime iniziavano a offuscare la vista. Poteva solo grugnire e contorcersi, ma le forze la stavano già abbandonando.
Il porcellino si spostò come per cercare una posizione più comoda e iniziò a premerle il sedere sul collo. 
Provò a voltare la testa annaspando alla ricerca di un refolo d’aria con cui riempire i polmoni.
E fece in tempo a vedere Pippo senza il cappello che aveva preso il suo cellulare, caduto chissà quando.
Le stava scattando una fotografia. Quella che mancava per completare la serie. 
      
                  
            [H 25] La zampa grigia
1Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)
      
      
      
                  
    "Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)