Un uomo senza volto, il cappuccio calato come se l’avesse inghiottito, allungò una mano verso di noi.
La sua voce, rabbiosa e lontana, rimbalzò nella nebbia: “Oraa!”
Era l’inizio del torneo.
Non conoscevo i miei vicini di banco, soltanto qualche nome. Quasi tutti ci nascondevamo dietro pseudonimi: nessuna età, nessun volto, nessun sesso. Nomi finti e parole vere.
Credo fossimo una decina, ma non potrei giurarci. La nebbia era così bassa da inghiottire tutto, e la luce così fioca da consentirmi appena di guardarmi attorno. In lontananza tutto si perdeva in un chiaroscuro incerto, come se la realtà stessa esitasse a mostrarsi.
Attorno a me si muovevano voci confuse, un brusio sommesso. Da qualche parte un corvo gracchiò – animale maledetto, condannato a restare corvo per sempre. Abbassai lo sguardo: la mia ombra si era raggomitolata fra le gambe e sembrava tremare.
La voce lontana ripeté: “Oraa! Comincia il contest di Halloween!”
Sul banco – un vecchio tavolino di formica verde con il foro da calamaio – avevo una piuma di corvo e un vasetto d’inchiostro più scuro del nero.
Dovevamo scrivere un racconto che facesse paura.
Non sapendo come cominciare, scelsi il mio solito metodo: quando i pensieri s’ingarbugliano, muovi le mani, muovi-le-mani… il fare in contrapposizione al pensare. Annullare i pensieri per innescare le azioni. Qualche volta funziona.
Mi toccai la testa, pesante più del solito, poi portai le mani alla bocca, respirando in fretta, per rassicurarmi di essere ancora vivo. Sembrava di essere in una cantina: odore di muffa, aria spessa, umidità che si appiccicava alla pelle.
Intinsi la piuma e lasciai che la mano sputasse parole: Halloween, contest, orrore, cari mostri, Lizzie, Shirley. Rabbia. Rabbia. Paura. Zolfo. Ancora rabbia. Ancora paura.
Le parole fuoriuscivano sconnesse, cercando un punto di avvio, quando una voce alla mie spalle si sostituì alla nebbia: “Finito.”
Neppure il tempo di reagire che un sibilo mi sfiorò l’orecchio sinistro.
Fissssssssss.
Mi voltai di scatto. Un urlo. Il mio cuore mi martellava nel petto. Qualcuno aveva lanciato un sasso: un tonfo sordo, poi il colpo secco, e infine il silenzio.
“Na-no-ve-tri-ci-da… eliminato. Sempre il primo a completare...” disse una voce antipatica “...e oggi sei anche il primo a prendertele!”
Era un concorrente, un mio rivale. Nanovetricida. Lo sentii singhiozzare e poi crollare a terra, sconfitto, perduto.
Una risata odiosa fece da eco alle sue lacrime.
Mi pentii di essermi iscritto. No, io non sono fatto per gareggiare. Ho paura del giudizio. Ho troppa paura…
Un altro fischio. Fisssssss.
Un secondo sasso. Un altro urlo.
“Zaza, Poeta sciagurata! Tutta di catrame è la vita. E-li-mi-na-ta.”
Lei provò a ribattere, a protestare… ma di bocca le uscirono soltanto parole abbozzate, senza direzione, e alla fine crollò, dolorante e in lacrime.
Quel riferimento al catrame non lo capii.
Uno dopo l’altro, i miei avversari sparivano nella foschia. Non riuscivo a capire se fosse un torneo o un gioco sadico di quell’individuo senza volto.
Intanto, non mi riusciva di scrivere nulla.
Altre urla del giudice, fredde come una lama tagliente, questa volta erano dirette a una donna che protestava in sostegno del regolamento:
“Smettila, Kikki! Va a chiamare i tuoi Disobbedienti, se non ti piace il mondo degli adulti. Vai, vai!”
Un nuovo silenzio. La nebbia sempre più gonfia, il respiro del buio.
E poi un altro sasso.
“Questa è per te, Tosciri!”
“Ouch!” lo udii inginocchiarsi a terra, e poi soccombere. Tosciri… quel nome lo ricordavo: era stato uno dei primi a darmi il benvenuto sul forum. Ora la sua voce scompariva, risucchiata da un crepaccio invisibile.
Poi, non vidi più nulla. Né sentii altri sassi. Era passata meno di un’ora, e il silenzio aveva invaso tutto.
Fu in quel momento che lo sentii, dietro di me.
L’uomo col cappuccio. La cosa senza volto. Il giudice.
Quel cappello lo faceva sembrare un membro di una setta dimenticata.
Portai le mani davanti agli occhi, d’istinto.
“Non hai scritto nulla” disse. “Fai schifo, lo sai? Ma sei l’unico sopravvissuto… quindi ti meriti il premio.”
Un grosso ragno gli zampettava sulla manica, producendo un fruscio leggero, come di unghie sulla stoffa. Saltai su dalla sedia come un tappo di spumante, terrorizzato che quel ragno potesse toccarmi.
Sentii mani afferrarmi alle spalle: le anime dei miei avversari, svuotate, mi spingevano a sedermi.
"Apri" disse il giudice, con voce calma.
Finsi di non capire.
"La bocca! Aprila! Lo devi mangiare!!" urlò. Gli occhi erano gialli come il fuoco.
Scossi la testa, tentai di divincolarmi, ma fui costretto a obbedire. Un’anima mi prese per il mento, un’altra per la fronte. Una donna raccolse la bestia e me la infilò in bocca.
Era caldo. Lo sentivo muoversi sulla lingua, sfiorare il palato, quel suo corpo gonfio, sporco. Vivo.
Mi chiusero la bocca, tenendomi stretto alla sedia con mani avvinghiate. Il sapore. Zolfo e ferro. Tossii, gli occhi disperati. Cercavo di liberarmi, ma ero bloccato. Li sentivo ridere, sgraziati, e non riuscivo a respirare.
Poi venne il conato. Il vomito. Il buio.
Mi svegliai di colpo.
La maglietta incollata alla schiena, la fronte lucida, il cuore che batteva storto. In casa non c’era nessuno. L’aria nella stanza era fredda – come avevo potuto dimenticare la finestra aperta in una notte d’autunno?
Mi tirai su lentamente, cercando di ricucire il respiro.
Solo un sogno. Un maledetto incubo.
Chiusi la finestra. Andai in bagno per sciacquarmi il viso. Lo specchio rifletteva un volto stanco, che sembrava non appartenermi: i capelli schiacciati, la pelle bianca.
In cucina aprii il rubinetto per un bicchiere d’acqua: avevo una gran sete.
Stavo per bere quando mi parve di vedere, con la coda dell’occhio, una zampetta nera sporgere dalle labbra. Poi una seconda.
Mi portai la mano al viso… niente. Suggestione. Solo suggestione.
Provai a bere, ma non mi riuscì. Tossii, sputando nel lavandino.
Un groviglio scuro giaceva sul fondo.
Era un ragno, appallottolato.
Giaceva immobile. Ma il ventre pulsava ancora.
alle Gare del CdM!