[H25] Delirio
1Arturo.
“Sei proprio una testa dura, vuota e con la merda al posto del cervello! A te è inutile dire parole, ci vogliono i gesti. Sei per caso una scimmia? Uuuu! Se vuoi ti mando allo zoo così impari anche tu a gesticolare. Ma cosa devo fare ancora con te? Cosa fare per farti capire come ti devi presentare ogni mattina all’alza bandiera? Ma porca puttana, ma li guardi bene in faccia i tuoi compagni come ogni mattina si presentano? Oggi li vedi diversi? Hai bisogno degli occhiali per caso? E voi finitela di ridere se ci tenete al vostro culo! Allora, Arturo Ciullo, per questa volta voglio darti l’ultima possibilità di capire come ti devi presentare al sottoscritto. Adesso gira la faccia da carciofo che ti ritrovi e guarda bene il tuo compagno di fianco. Ti do giusto tre secondi e non di più. Contali bene perché per ogni secondo in più ti toglierò una libera uscita. Levami lo sguardo di dosso e dimmi cosa vedi!”
Tenente Mario Ispido.
Ti ricordi quando tu mettevi in mano alle reclute quel rasoio co.ci.na , assieme a sapone e lamette settimanali? “Questo rasoio è come il tuo fucile, lo devi trattare come un amico”. Per usare correttamente la coramella, devi tenere il rasoio a contatto con la pelle del cuoio piatto e muoverlo con un movimento continuo, alternando la direzione del passaggio per non rovinare il filo. Fissa la coramella a un supporto, tendila e usa un movimento scorrevole dall'alto verso il basso. Assicurati che la lama sia sempre ben aderente e che la tensione sia sufficiente per evitare avvallamenti. Non avere fretta, prenditi il giusto tempo. Passa e ripassa, con il giusto ritmo. Ascolta l’anima della lama, guarda il luccichio sotto la luce, l’abbaglio sugli occhi. Quando sollevi la mano e la stacchi dal cuoio falla librare per un attimo, prova a tagliare la luce, la stessa aria. Non devi sentire nessun attrito, la devi sentire libera e pronta. E oggi sei apparso senza neanche riconoscermi: come potevi. Mi hai chiesto come mai Antonio non ci fosse in salone ad accoglierti. Non ti aveva mai rimandato un appuntamento per il settimanale taglio della barba. Ti ho detto che aveva avuto problemi e che io lo sostituivo per la emergenza. Ti ho chiesto di fidarti dato che Antonio aveva lasciato indicazioni su come servirti. Dopo di che, ti sei seduto sulla poltrona e ti sei messo comodo, hai sbottonato la camicia, sicuramente una quarantaquattro, tanto mal conteneva il tuo grasso collo. Ti ho detto di rilassarti mentre reclinavo lo schienale, di chiudere gli occhi e lasciarti servire. Hai detto quattro parole prima di stare zitto “Antonio ha una mano sorprendente. Non credo che tu la possa eguagliare. Staremo a vedere alla fine” ed io ho continuato a tranquillizzarti, “Antonio mi ha messo in guardia di quanto sei esigente. Vuoi il sapone ben passato, senza fretta.. le mani si devono muovere leggere nel massaggio”. E lo so bene. Per una rasatura impeccabile ci vuole una buona preparazione della pelle. Questa si deve ammorbidire e distendere. I peli devono cedere, arrendersi e lasciarsi andare. E vedo che la preparazione ti sta piacendo, i lineamenti del tuo viso si allargano in segno di soddisfazione. La lama del rasoio scorre sicura senza scampo per i peli. Tu neanche lo senti scorrere sulla pelle tanto è affilato, spietato.”
Orazio.
Quanto ho dovuto aspettare per averti qui, tra le mie mani. E non posso fare a meno di ricordarti di quello che sei stato. Tu invece non avevi aspettato oltre i tre secondi e subito avevi impartito la punizione.
“Porca puttana, Ciullo! Ti ho dato i secondi sufficienti anche per un sottosviluppato mentale. E tu ancora non hai capito!” E lui, agnello tra i lupi non aveva spiaccicato parola. Si vergognava di aver paura delle lamette, gli davano soggezione. Cosa ne potevi sapere tu, porco schifoso, che nutriva una avversione tale che dovetti fargli io la barba ai primi dei suoi diciotto anni, una settimana prima che partisse per la leva; che finisse nella tua maledetta caserma. Poi tu avevi rincarato la dose: “Non voglio vedere peli sulla tua faccia, lo vuoi capire o no? La pelle deve essere pulita e liscia come il culo di tua madre; se non sai com’è chiedile di mostratelo. A meno che anche lei abbia il pelo fuori dalle mutande da quanto è lungo. Il culo di un neonato, così deve apparire la tua faccia e sinché non la vedrò tale non uscirai dalla tua stanza: adesso togliti dalle palle”. E lui così aveva fatto, uscendo a testa bassa dalla fila, sotto il ridacchiare di tutti. E adesso è venuto il momento atteso per anni. Ora ti ho passato il rasoio attorno le guance e la bocca. Ho rifinito il contorno di naso e bocca. Mi è rimasto pulire il collo. Il cuore ha preso a battere forte e ti guardo sereno mentre i pensieri prendono veloci a scuotere i ricordi. “Un uomo con la barba non è un uomo, è un debole debosciato”. Così amavi ripetere e chi non passava l’ispezione finiva in punizione. Ma Arturo si era rifiutato e non aveva avuto il coraggio di confessare il suo disagio verso i rasoi... Questo è il momento giusto. Ora anche il collo è pulito e alzo il rasoio verso l’alto. Mi getto sulla sua testa bloccandogliela. Gli prendo la mascella con la mano sinistra e tiro con forza verso di me. Lui ha una reazione improvvisa e mi afferra il braccio con le mani cercando di sfuggire alla presa. Ma il mio rasoio ha già tagliato l’aria, la luce dietro di sé. L’abbaglio della lama è potente, impatta sul suo collo, incide la carne senza incontrare resistenza. So che devo tenerlo fermo, tre secondi basteranno al sangue che sgorga a fiotti per defluire dalle vene. Ti divincoli inutilmente, ormai il mio rasoio ha fatto il suo lavoro. Sento dal tuo fiato che stai cedendo. L’aria che cerchi di respirare direttamente dalla trachea aperta emette un soffio lento, sempre più lento. Adesso le tue mani allentano la presa e perdono forza. Anch’io posso mollare la presa e guardarti morire sbigottito, con gli occhi sbarrati dal perché. Ti raddrizzo lo schienale e ti guardo farfugliare mentre gli ultimi zampilli di sangue seguono quelli che si sono riversati sul telo: quello alla vecchia maniera, di cotone bianco, oramai imbrattato di rosso.
Il perché? Lo vuoi sapere, capisco. Semplice, giurai che ti avrei tagliato la gola prima di morire. Ho dovuto cercarti e aspettare che te ne andassi in pensione. Che tu tornassi a essere un civile e uscissi dal tuo bunker nel quale ti sentivi al sicuro. Ti ho pedinato per mesi e ho capito in quale posto e momento potevo fartela pagare. Ho dovuto uccidere Antonio che non c’entrava nulla, ma non gli andava di prendermi a lavorare con lui; diceva che ero vecchio. E così adesso è senza vita dentro allo sgabuzzino. Ti ricordi di Arturo? Magari no. Quanti nei hai fatto soffrire come lui? Arturo.. sul tavolo dell’obitorio pensai a quale coraggio avevi avuto per tagliarti la gola con una di quelle maledette lamette con cui il tenente ti tormentava. Ma poi avevo realizzato che non era stato il coraggio a muoverti, ma solo la disperazione. Povero figlio mio. Il figlio di un barbiere con la fobia delle lamette e rasoi. Ti prendeva il terrore anche quando venivi in salone a trovarmi. Avevo cercato di farti passare la paura, ma evidentemente, avevo peggiorato la situazione. Fu stupida l’idea di insegnarti persino il mestiere. Io ti giurai che gli avrei fatto fare la stessa fine, che lo avrei scannato. E adesso che sai non ti resta che guardarti allo specchio. Devi dirmi se sei soddisfatto della barba fatta. Ma non ti darò tre secondi per rispondermi. Prenditi pure tutto il tempo che vuoi.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
Io malata in fuga.https://www.facebook.com/raffaele.manca.90/
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