[H25] L'ultima ora del dittatore

1


L’ultima ora del dittatore

Ti muovi tra le tubature arrugginite, il muso che sfiora la polvere. L'aria è densa, impregnata di muffa e funghi. Ogni passo lascia un'impronta leggera sul fango umido che ricopre il pavimento. 
Conosci questi cunicoli: sono la tua tana, il tuo regno, lo hai conquistato, è tuo. Eppure stanotte qualcosa è diverso.
Il silenzio non è il solito silenzio. È più pesante, come se le pareti stessero trattenendo il respiro. Ti fermi, i baffi tesi, e ascolti. Un gocciolio lontano scandisce il tempo. 
Plic… ploc…
Poi, un rumore. 
Non il gemito sottile di fibre che si spezzano nella terra, non il passo distante degli uomini sopra di te o il lieve scroscio di granelli che cedono sotto il tuo peso: è un raschio lento, unghie che scavano nella pietra. Ti immobilizzi. Il cuore accelera. I baffi fremono, l'aria annusata a scatti. Ti giri, annusi, cerchi l'odore degli altri, il passo rapido del branco. Niente. Solo buio. Un verso ti sale in gola, breve, strozzato, un richiamo che nessuno raccoglie. 
Le zampe battono a vuoto sul fango. Sei solo e il silenzio ti pesa addosso come pietra.
Ti infili in un corridoio angusto, le pareti ti sfiorano i fianchi. 
L'odore cambia: avverti qualcosa di dolciastro, nauseante. Carne marcia. Il miasma è già paura, ti ricorda le trappole, i corpi in decomposizione. Ma questo effluvio non viene da una trappola. C'è solo terra intorno a te. Non riesci a fiutare altro, la paura sovrasta i tuoi sensi. Un lampo di memoria ti attraversa il cervello: sei col tuo branco, le corse notturne tra i rifiuti, i tuoi fratelli che ridono con i denti sporchi di sangue. Poi il ricordo si spezza: davanti a te le trappole, il rumore secco del metallo, i piccoli corpi che si contorcono. L'odore che senti ora è lo stesso.
Un soffio d'aria ti sfiora il dorso. Ti giri di scatto, ma dietro di te nient'altro che oscurità. Silenzio. Eppure sai che non sei più solo.
Le zampe anteriori sospese a mezz'aria, il corpo irrigidito. 
Quel raschio continua, regolare come un artiglio che scava la pietra. Non è il rumore di un altro ratto: tu conosci i tuoi simili, i loro passi rapidi, i denti che rosicchiano. Questo è diverso. È più profondo, sembra far parte della terra.
L'odore dolciastro si fa più intenso. Ti brucia le narici, ti riempie la bocca di saliva amara. 
Ti muovi, il corpo basso, i baffi che sfiorano la roccia viscida. Ora lo senti più chiaro, il pelo si rizza: non è il tuo ansimo, ma un mantice lento, cavernoso, che gonfia e svuota l'aria intorno a te.
Poi li vedi: punti pallidi, sono decine, sospesi nel buio. Sono occhi. Non brillano come quelli dei tuoi simili. Questi sembrano stelle cadute. Occhi che non chiedono, non fuggono: fissano e basta, ma ogni sguardo è una ferita che non si chiude. Un sussurro ti entra nelle ossa:
«Noi ti vediamo.»
Corri. Le zampe graffiano la pietra, ma ogni balzo sembra riportarti indietro. I cunicoli si piegano, si stringono. L'aria diventa più calda, più densa. Ti infili in un passaggio troppo stretto. Le pareti ti graffiano i fianchi, ti strappano il pelo. Avanzi a fatica, il muso costretto a radere la pietra. Il fiato ti manca. Dietro di te, il sussurro si fa più vicino:
«Non puoi scappare.»
Un altro ricordo ti assale: corpi intrappolati, gli occhi spalancati, i movimenti sempre più deboli. Li hai guardati contorcersi finché non sono rimasti immobili. Ora sei tu quello incollato al buio.
Con un ultimo sforzo ti lanci in avanti. Le costole stridono, la pelle si lacera.All’improvviso sei fuori dal cunicolo, ansimante, coperto di sangue e polvere. Ti ritrovi in una cavità più ampia. Il respiro si allunga, meno spezzato. I baffi non fremono più, si abbassano. Annusi l’aria: solo terra e muffa. Nessun odore di predatori. Ti accovacci, il corpo che trema ma si placa in cerca di un po' di riposo. 
Per un istante credi di avercela fatta.
Nell'aria immobile, e pesante, avverti un movimento che porta con sé un odore che ti fa vibrare i denti: carne putrefatta, ossa.
Gli occhi si abituano lentamente. Ci sono resti dappertutto. Non sono di ratti. Piccoli scheletri, dita, zampe spezzate, ossa che spuntano dalla terra come bianche radici. Alcuni crani hanno ancora brandelli di pelle, altri sono solo gusci vuoti.
Dal soffitto pendono corde marcite, filamenti gonfi di umidità che si sfaldano al minimo tocco. Da una di esse oscilla il corpo rinsecchito di un topolino, pelle tesa sulle ossa, la bocca spalancata in un urlo che non ha più voce.
Ti blocchi. L'immagine ti trafigge. Riemerge un ricordo che non volevi evocare. È lo stesso spettacolo che avevi spiato dall'alto, quando eri fuori, libero. Guardavi senza emozione, convinto che quella fossa appartenesse ad altri, che non ti riguardasse. Ti eri illuso che fosse un confine, un orrore destinato a restare distante. Ora, invece, ci sei dentro.
Quegli occhi ritornano, questa volta tutto intorno a te. Non si muovono. Ti fissano, immobili, come se avessero atteso soltanto il tuo arrivo.
«Ti aspettiamo.»
Le zampe affondano nella melma. Ti divincoli, ma il terreno ti trattiene. Un ultimo lampo riaffiora: la volta in cui li avete rincorsi e intrappolati in un bidone, le pareti erano troppo lisce; i piccoli correvano in tondo graffiando i bordi senza appiglio. Ogni salto più basso del precedente. Alla fine restavano fermi. Ora la stessa impotenza ti assale.
Qualcosa ti afferra. Vieni trascinato indietro. Il buio ti inghiotte. Le pareti si stringono, il soffitto scende. Lo spazio diventa un sarcofago. Non importa quanto corri, non importa quanto scavi. Non c'è via d'uscita.
Il tuo regno, la terra conquistata non è un luogo. È una bocca. E tu sei già tra i suoi denti.
Le zampe cedono. Ti accasci. Il buio ti avvolge come una pelle nuova. E nell'ultimo istante lo sai: non sei mai stato inseguito. Non sei mai stato intrappolato.
Sei sempre stato con loro.

Freddo. 
Un gocciolio regolare.
Plic… ploc…
Apri gli occhi. Le mani ti restituiscono i tratti del tuo viso. La grata sul muro ti riporta alla realtà. È ancora buio, guardi l’orologio nel corridoio, non hai dormito nemmeno un’ora. Il rubinetto gocciola, lo stesso ritmo del sogno inesplorato che svanisce. Ti alzi, stringi i palmi sulle sbarre gelate.
Fuori, una luna stracciata galleggia in una pozzanghera nera. Da sopra il muro di recinzione un grosso ratto ti scruta.
Lo guardi. “Immondo. Portatore di malattie, parassita che infesta i luoghi dove l'uomo ha smesso di vigilare”. Dovresti essere tu a disgustarlo, eppure, lui, sta lì, impettito sul suo muretto di mattoni crepati, come se avesse diritto di giudicare. Come se fosse lui il custode e tu il recluso.
Ti viene da ridere, ma è un suono secco, senza gioia.
"Dovrebbero sterminarli," mormori tra te. "Tutti. Gas, trappole, veleno. Non serve tenerli vivi. Sono inutili."
Il ratto non si muove. Continua a fissarti con quegli occhi neri, tondi, vuoti. C'è qualcosa nella sua immobilità che ti infastidisce. Non scappa. Non distoglie lo sguardo. Resta fermo come se aspettasse qualcosa da te. Come se volesse dirti qualcosa.
Ma è solo un animale. Una bestia. Non sa niente.
Ti allontani dalla finestra. 
Torni al letto, ti siedi sul bordo. La branda cigola sotto il tuo peso, lo stesso cigolìo che senti ogni notte da quando ti hanno messo qui dentro. Un suono che ormai fa parte di te.
Guardi l'orologio: mancano ancora ore all'alba. Il silenzio della prigione ti preme addosso. Senti il passo di una guardia che percorre il corridoio. 
Passi regolari, meccanici. “Anche loro sono prigionieri,” pensi. “Prigionieri della loro mediocrità, della loro funzione servile.” Tu invece sei qui per un errore. Per il tradimento di chi non ha compreso la grandezza delle tue azioni. La Storia ti assolverà. Lo sai.
Prendi il bicchiere d'acqua dal tavolino. È tiepida, sa di ruggine. La bevi comunque. Anche questo è una forma di resistenza: accettare l'indegno senza lasciarsi abbattere.
Eppure, mentre posi il bicchiere ti accorgi che le mani tremano. “È il freddo,” ti dici. “È Solo il freddo.”
Ti stendi sulla branda, fissi il soffitto screpolato. Le crepe formano figure, labirinti di intonaco staccato che si ramificano come vene. 
Le hai studiate mille volte, ma stanotte sembrano diverse. Più fitte. Più strette. Come un labirinto di cunicoli.
Scuoti la testa. “Sono solo crepe. Niente di più.”
Chiudi gli occhi. Il buio dietro le palpebre non è vuoto: ci sono ombre che si muovono, forme che si addensano. Le scacci con un respiro profondo. 
Il rubinetto gocciola.
Plic… ploc…

Le palpebre si fanno pesanti. Il respiro rallenta. E proprio mentre stai per cedere, un pensiero ti attraversa la mente: cosa succederebbe se non ti svegliassi più?
Lo scacci subito. Sciocchezze. Ti sveglierai. Ti svegli sempre.
Il buio ti avvolge.
Plic… ploc…
E da qualche parte, lontano, senti di nuovo il raschio. Unghie sulla pietra. Un sussurro che sale dal profondo:
«Il tuo tempo è compiuto. Ora sei con noi»
Ma tu non ci sei già più e nei cunicoli, il ratto correrà per l’eternità.

 E poi ci sono ulteriori tre punti ingiustizia un po’ meno ingiusti, perché riguardano la vostra misera scrittura:
  • Scrivere un racconto dal punto di vista di un ratto = 1 punto
  • Scrivere un racconto in seconda persona singolare = 1 punto
  • Scrivere un racconto che si svolge in un’ora = 1 punto   
Ho voluto strafare, ne sono consapevole, ma i tre punti uno dietro l'altro sembravano una traccia e all'improvviso mi è esplosa nel cervello, l'ho presa come una sfida con me stessa, e questo è il risultato. 

@Stregone,   abbia pietà, sono una sconsiderata, lo so!




Re: [H25] L'ultima ora del dittatore

2
Ciao Albascura,
anzitutto ti becchi della sciagurata per esserti accaparrata un bel po' di punti ingiustizia  :lol:

Scherzi a parte, il tuo racconto mi è piaciuto molto.

Qualche dettaglio.
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amL'aria è densa, impregnata di muffa e funghi.
Deviazione professionale, la mia: lavoro nel mondo dei microrganismi. Le muffe sono dei funghi, quindi l'espressione mi convince poco – un po' come dire "di maglie e vestiti".
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amUn gocciolio lontano scandisce il tempo. 
Plic… ploc…
Poi, un rumore. 
A quell'ultimo rumore aggiungerei un aggettivo, per distinguerlo: il gocciolio plic ploc, di per sé, è già un rumore.
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 aml'aria annusata a scatti.
Giù il cappello: immagine perfetta!
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amI baffi fremono, l'aria annusata a scatti. Ti giri, annusi,
Ahah, sono carota e bastone! Dopo averti fatto un complimento, segnalo una piccola ripetizione (aria annusata / annusi).
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amL'odore dolciastro si fa più intenso. Ti brucia le narici,
Non mi convince l'associazione dolce - bruciore. Di solito a bruciare sono odori o aromi diversi, più acidi e pungenti.
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amla pelle si lacera.All’improvviso
Manca uno spazio (sì, sono noioso).
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amla bocca spalancata in un urlo che non ha più voce.
Molto bello questo passaggio. Mi ha ricordato un vecchio Barnum, quello in cui si parla di Ultima fermata a Brooklyn di Selby Jr. 
C'è un'intervista con Lou Reed in cui riflettono sui termini esatti da usare. Selby forse ti avrebbe proposto: "il muso spalancato in un grido che non ha più bocca". Ma va bene così – l'immagine è fortissima.
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amPlic… ploc…
Ne metto uno su tutti: mi piace l'onomatopea che ritorna nel testo. Tante volte mi perdo a cercare il suono giusto, e questo tuo plic ploc è azzeccato e dà un ritmo molto efficace al racconto.

Mii è piaciuto molto. Brava! 

Re: [H25] L'ultima ora del dittatore

3
Cara Albascura, hai sapientemente fatto enplein... Ti sei lasciata guidare dai suggerimenti di quel maledetto stregone, dando vita a un racconto scorrevole e per nulla scontato. L'atmosfera è bella inquietante e mi ha ricordato un Dylan Dog, di cui non ricordo il titolo ma ricordo il numero, 20... Come funziona male il cervello... Ciò che più mi è piaciuto è l'uso della seconda persona singolare, sei riuscita a tenere il ritmo con incredibile naturalezza, non era facile. Brava!
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [H25] L'ultima ora del dittatore

4
@Gustavo_Van_Pelt e @NanoVetricida Aspettate che… hai visto mai i punti ingiustizia siano solo un acconto per ricevere una sacca di piscio, magari prossimamente  consegnata da un drone direttamente sulla mia capoccia?
Non mi fido di @Stregone , io non esco di casa fino a Natale.  :disco: Comunque grazie  del passaggio ricambierò al più presto.

Re: [H25] L'ultima ora del dittatore

5
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amL'odore cambia: avverti qualcosa di dolciastro, nauseante. Carne marcia. Il miasma è già paura, ti ricorda le trappole, i corpi in decomposizione. 
Secondo me, l'odore che descrivi è nauseante per l'uomo, non per un topo di fogna.
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amCon un ultimo sforzo ti lanci in avanti. Le costole stridono, la pelle si lacera.All’improvviso sei fuori dal cunicolo, ansimante, coperto di sangue e polvere. Ti ritrovi in una cavità più ampia. Il respiro si allunga, meno spezzato. I baffi non fremono più, si abbassano. Annusi l’aria: solo terra e muffa. Nessun odore di predatori. Ti accovacci, il corpo che trema ma si placa in cerca di un po' di riposo. 
Per un istante credi di avercela fatta.
Nell'aria immobile, e pesante, avverti un movimento che porta con sé un odore che ti fa vibrare i denti: carne putrefatta, ossa.
Gli occhi si abituano lentamente. Ci sono resti dappertutto. Non sono di ratti. Piccoli scheletri, dita, zampe spezzate, ossa che spuntano dalla terra come bianche radici. Alcuni crani hanno ancora brandelli di pelle, altri sono solo gusci vuoti.
Non riesco a capire di chi sono quei resti. Non capisco se tu ti rivolgi ancora al ratto o all'uomo che poi si sveglierà...


Albascura
  wrote:Ti blocchi. L'immagine ti trafigge. Riemerge un ricordo che non volevi evocare. È lo stesso spettacolo che avevi spiato dall'alto, quando eri fuori, libero. Guardavi senza emozione, convinto che quella fossa appartenesse ad altri, che non ti riguardasse. Ti eri illuso che fosse un confine, un orrore destinato a restare distante. Ora, invece, ci sei dentro.
Quegli occhi ritornano, questa volta tutto intorno a te. Non si muovono. Ti fissano, immobili, come se avessero atteso soltanto il tuo arrivo.
«Ti aspettiamo.»
Bel pezzo! Quello che non capisco è il presente di aspettare. Perché non hai usato: "Ti aspettavamo"? Il ratto è già sottoterra, coi suoi simili.
Oppure, se parli dell'uomo, vale la stessa considerazione.
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amQualcosa ti afferra. Vieni trascinato indietro. Il buio ti inghiotte. Le pareti si stringono, il soffitto scende. Lo spazio diventa un sarcofago. Non importa quanto corri, non importa quanto scavi. Non c'è via d'uscita.
Il tuo regno, la terra conquistata non è un luogo. È una bocca. E tu sei già tra i suoi denti.
Le zampe cedono. Ti accasci. Il buio ti avvolge come una pelle nuova. E nell'ultimo istante lo sai: non sei mai stato inseguito. Non sei mai stato intrappolato.
Sei sempre stato con loro.
Freddo. 
Un gocciolio regolare.
Plic… ploc…
Quindi? Era il narratore onnisciente che prima si rivolgeva a un ratto e adesso si rivolge a un uono, senza soluzione di continuità?
Scusami, Alba, ma è troppo difficile seguire questo brano, per me...
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amApri gli occhi. Le mani ti restituiscono i tratti del tuo viso. La grata sul muro ti riporta alla realtà. È ancora buio, guardi l’orologio nel corridoio, non hai dormito nemmeno un’ora. Il rubinetto gocciola, lo stesso ritmo del sogno inesplorato che svanisce. Ti alzi, stringi i palmi sulle sbarre gelate.
Fuori, una luna stracciata galleggia in una pozzanghera nera. Da sopra il muro di recinzione un grosso ratto ti scruta.
Lo guardi. “Immondo. Portatore di malattie, parassita che infesta i luoghi dove l'uomo ha smesso di vigilare”. Dovresti essere tu a disgustarlo, eppure, lui, sta lì, impettito sul suo muretto di mattoni crepati, come se avesse diritto di giudicare. Come se fosse lui il custode e tu il recluso.
Ti viene da ridere, ma è un suono secco, senza gioia.
Quindi, adesso il narratore si rivolge all'uomo come prima si rivolgeva al ratto? 
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amLe palpebre si fanno pesanti. Il respiro rallenta. E proprio mentre stai per cedere, un pensiero ti attraversa la mente: cosa succederebbe se non ti svegliassi più?
Lo scacci subito. Sciocchezze. Ti sveglierai. Ti svegli sempre.
Il buio ti avvolge.
Plic… ploc…
E da qualche parte, lontano, senti di nuovo il raschio. Unghie sulla pietra. Un sussurro che sale dal profondo:
«Il tuo tempo è compiuto. Ora sei con noi»
Chi si rivolge così all'uomo?
Scusami, Alba, ma si vede che, oltre a non saperli scrivere, io non so neanche leggerli, gli horror.  :facepalm:
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amMa tu non ci sei già più e virgola nei cunicoli, il ratto correrà per l’eternità.
Peccato per quella virgola ad apertura inciso, che ti è rimasta nella penna.

:ciaociao:

Di certo hai scritto un grande horror, ma io l'ho capito solo a metà e vorrei mi spiegassi quello che non ho "visto" né con gli occhi del topo né con gli occhi dell'uomo. Grazia, @Albascura   :sss:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [H25] L'ultima ora del dittatore

6
Poeta Zaza wrote: Sat Nov 01, 2025 5:50 pmSecondo me, l'odore che descrivi è nauseante per l'uomo, non per un topo di fogna.
Hai ragione, da un punto di vista strettamente realistico un ratto di fogna non reagirebbe all’odore di carne marcia come farebbe un essere umano. Nel mio testo però non volevo rendere un comportamento naturalistico, non è un documentario sui ratti, ma un effetto simbolico: quell’odore non è cibo, è un segnale di pericolo e di memoria della morte. Per questo l’ho reso “nauseante”: non come percezione oggettiva del ratto, ma come traduzione narrativa di un istinto di allarme.
Il narratore dice: Il miasma è già paura, e si sa che tutti gli animali hanno paura della morte, io credo che ne avvertano l'odore. 
Poeta Zaza wrote: Sat Nov 01, 2025 5:50 pm
Non riesco a capire di chi sono quei resti. Non capisco se tu ti rivolgi ancora al ratto o all'uomo che poi si sveglierà...
Grazie per avermelo segnalato! In quel punto volevo rendere l’effetto di un’illusione di salvezza che si spezza subito: il ratto crede di essere uscito dal pericolo, ma la cavità in cui arriva è in realtà un luogo di morte. I resti che descrivo non sono di altri ratti, ma di creature diverse (dita, ossa, zampe spezzate lo scheletrino appeso): servono a far capire che quello spazio non è un rifugio, bensì una fossa comune, un ventre che custodisce la memoria della morte. Il ratto si illude di essere al sicuro, ma l’odore e i resti lo tradiscono subito, rivelando che è finito in un luogo ancora più minaccioso.
Riconosce alla fine quel luogo, Lo ha visto quando era libero, fuori da quella fossa:
Albascura wrote: Sat Nov 01, 2025 2:11 amTi blocchi. L'immagine ti trafigge. Riemerge un ricordo che non volevi evocare. È lo stesso spettacolo che avevi spiato dall'alto, quando eri fuori, libero. Guardavi senza emozione, convinto che quella fossa appartenesse ad altri, che non ti riguardasse. Ti eri illuso che fosse un confine, un orrore destinato a restare distante. Ora, invece, ci sei dentro.
Lui ha visto morire i topolini dall'alto di quella fossa. Quelle morti invece lo riguardano perché è lui il responsabile. In tutto il racconto semino indizi,  e quando è braccato dagli occhi/stellecadute che lo fissano e lo aspettano rivive estratti dei suoi misfatti. Nel sogno il dittatore non può sfuggire ai rimorsi della coscienza, anche se lui li ignora fino alla sua fine.
Poeta Zaza wrote: Sat Nov 01, 2025 5:50 pm
Bel pezzo! Quello che non capisco è il presente di aspettare. Perché non hai usato: "Ti aspettavamo"? Il ratto è già sottoterra, coi suoi simili.
Oppure, se parli dell'uomo, vale la stessa considerazione.
 Lo aspettano, il dittatore non è morto, è vivo in una cella. Il sogno è più chiaro della realtà, nel cervello del dittatore. Ma quando si sveglia non rimane nulla dei messaggi che il suo inconscio gli manda. Nonostante tutto il dittatore muore convinto di essere nel giusto.  Continuerà per l'eternità a correre come un ratto nei labirinti della sua mente malata. 
 
Comunque è sempre una sconfitta dover spiegare una trama, perciò credo che tu abbia ragione sulla mancata chiarezza da parte mia.

Per le altre tue perplessità ti spiego come ho impostato il punto di vista e il narratore:
    Parte del ratto (seconda persona): immersiva, sensoriale, claustrofobica. Qui il lettore avrebbe dovuto sentirsi  il ratto, senza bisogno di pensieri umani. Pensavo di essere stata chiara e coerente.
    Parte del dittatore (terza persona limitata): più riflessiva, con auto‑giustificazioni e illusioni. Qui il lettore entra nella mente del prigioniero. I due piani si intrecciano (il gocciolio, il raschio, il ratto nei cunicoli) e alla fine la condanna si compie.
Questa alternanza, che ritenevo abbastanza coerente: è un gioco di specchi Il ratto è corpo e istinto, il dittatore è voce e autoinganno. Alla fine si fondono e lui nella sua ultima ora resta un ratto. 
Il ratto sul muretto lo fissa. Questo è il gioco, il dittatore non riconosce se stesso nell'animale, il ratto, invece si, riconosce nel dittatore se stesso: non ha paura, non distoglie lo sguardo. 
Spero di averti aiutato a dipanare la matassa ingarbugliata che ingombrava la mia mente mentre scrivevo.
Grazie per il commento.  <3  

Return to “Contest di Halloween”