Il rimpianto del signor F.
Il signor F. è alla finestra, la grande finestra della sala, che dà sul lago.
Piove.
È una ferita ogni giorno di pioggia davanti a quella finestra: una ferita mai rimarginata.
Il successo, la breve eppur brillante carriera, i soldi, sono nulla.
Il suo piccolo talento è nulla. Gli ha consentito di immaginare una storia capace di far sognare milioni di lettori, gli ha procurato sostanze che ancora durano, certo, ma tutto questo è nulla.
Tante volte il signor F. si è domandato cosa sarebbe successo se…
Pioveva quel giorno.
Lei gli disse «Vieni con me».
Lui rispose «No».
Lei ritentò una sola volta: «Potrai lo stesso seguire le tue ispirazioni, saremo lontani da qui, ma saremo insieme. Avrai tutto il tempo e il mio lavoro ci darà, ti darà la tranquillità di cui hai bisogno, almeno per incominciare».
Lui ripeté il suo «No».
Sarebbe servito un terzo tentativo di lei? Il signor F. non lo sa. Tante volte se lo è chiesto, fino a smarrire il senso di quella domanda cui, ancora oggi, non sa rispondere.
Non trova la risposta perché la domanda non esiste. Non più.
Lei disse: «Se dici di no è perché non mi ami» e fu un addio.
Ora lui ripensa a quella canzone, così bella e triste che dice:
Lui fu capace di lasciarla andare senza nemmeno quello.
È così che un addio non espresso nelle parole rimane incompiuto nel cuore: da allora il signor F. ha rinunciato ad amare. E dire che ne son passati di anni…
Persino i suoi cani, i tre fedeli cani che lo hanno accompagnato lungo il corso della vita sono nulla. Passatempi sono stati, soci solitari, coinquilini che hanno diviso con lui questa casa, per altro così vuota e fredda. Li ha rispettati, gli ha persino voluto un bene dell’anima, ma non li ha amati. Quando Sharp, l’ultimo di loro, se n’è andato, il signor F. si è reso conto di quanto amore incondizionato erano stati capaci, uno dopo l’altro.
E lui? Cosa ha saputo dare loro oltre alla pappa quotidiana e al permesso di essere amato, accucciati ai suoi piedi, nelle interminabili ore di solitudine?
Non ha più voluto nemmeno la compagnia di un cane, dopo Sharp.
Non ha null’altro che un lontano rimpianto, il signor F.
Per questo riesce a vivere con tanto distacco.
Perché il rimpianto è qualcosa che ti fa un male gentile. Non è la disperazione del meraviglioso che hai posseduto e che non c’è più.
Il rimpianto è una forza maligna ma molto debole che spinge, da qualche parte; è faticosa consapevolezza di un vuoto che non puoi colmare perché mai nulla ha occupato quello spazio. Il rimpianto lascia sopravvivere perché consente di non essere costantemente pensato.
Il rimpianto… Bussano alla porta.
Il signor F. fatica a trarsi da queste riflessioni.
Bussano ancora.
Lui pensa al diavolo, non andrò ad aprire. Non attendo nessuno e nessuno sa che sono in casa. Chiunque sia se ne andrà presto.
Bussano alla porta, ancora: senza insistenza, con la medesima forza.
Ora il Signor F. ha lasciato fuggire i pensieri in cui era assorto e già il rimpianto non è più.
Ecco cos’è il rimpianto: mai potrai pensare di farla finita per un “semplice” rimpianto. Si presenterà ogni volta uguale; tutto il tempo che ha consumato te non ha reso lui meno forte, ma se ne andrà di nuovo, anche se per poco, e tu potrai vivere. Come puoi, ma vivrai; addirittura provando paura al solo pensiero di poterla fare finita.
Bussano alla porta.
Dannazione! Pensa il signor F. e si risolve ad andare ad aprire.
Apre, dunque, e la luce grigia di questo giorno si riversa nell’ingresso sporcando di quel colore spento ogni cosa.
La porta ora è aperta sullo stesso scorcio della finestra a cui il signor F. era fino a un istante fa. Difficile pensare che il tempo avrebbe potuto essere diverso, eppure lui è quasi stupito di quella pioggia. Perché, senza un vetro che lo protegge, gli arrivano il rumore e questo odore, e prova un freddo che è lo stesso di quel giorno, tanto che par di sentire ancora quelle parole:
Piove.
È una ferita ogni giorno di pioggia davanti a quella finestra: una ferita mai rimarginata.
Il successo, la breve eppur brillante carriera, i soldi, sono nulla.
Il suo piccolo talento è nulla. Gli ha consentito di immaginare una storia capace di far sognare milioni di lettori, gli ha procurato sostanze che ancora durano, certo, ma tutto questo è nulla.
Tante volte il signor F. si è domandato cosa sarebbe successo se…
Pioveva quel giorno.
Lei gli disse «Vieni con me».
Lui rispose «No».
Lei ritentò una sola volta: «Potrai lo stesso seguire le tue ispirazioni, saremo lontani da qui, ma saremo insieme. Avrai tutto il tempo e il mio lavoro ci darà, ti darà la tranquillità di cui hai bisogno, almeno per incominciare».
Lui ripeté il suo «No».
Sarebbe servito un terzo tentativo di lei? Il signor F. non lo sa. Tante volte se lo è chiesto, fino a smarrire il senso di quella domanda cui, ancora oggi, non sa rispondere.
Non trova la risposta perché la domanda non esiste. Non più.
Lei disse: «Se dici di no è perché non mi ami» e fu un addio.
Ora lui ripensa a quella canzone, così bella e triste che dice:
Così un uomo ha sedici modi di dire verde
Ed un altro ne ha uno soltanto per dire addio
Lui fu capace di lasciarla andare senza nemmeno quello.
È così che un addio non espresso nelle parole rimane incompiuto nel cuore: da allora il signor F. ha rinunciato ad amare. E dire che ne son passati di anni…
Persino i suoi cani, i tre fedeli cani che lo hanno accompagnato lungo il corso della vita sono nulla. Passatempi sono stati, soci solitari, coinquilini che hanno diviso con lui questa casa, per altro così vuota e fredda. Li ha rispettati, gli ha persino voluto un bene dell’anima, ma non li ha amati. Quando Sharp, l’ultimo di loro, se n’è andato, il signor F. si è reso conto di quanto amore incondizionato erano stati capaci, uno dopo l’altro.
E lui? Cosa ha saputo dare loro oltre alla pappa quotidiana e al permesso di essere amato, accucciati ai suoi piedi, nelle interminabili ore di solitudine?
Non ha più voluto nemmeno la compagnia di un cane, dopo Sharp.
Non ha null’altro che un lontano rimpianto, il signor F.
Per questo riesce a vivere con tanto distacco.
Perché il rimpianto è qualcosa che ti fa un male gentile. Non è la disperazione del meraviglioso che hai posseduto e che non c’è più.
Il rimpianto è una forza maligna ma molto debole che spinge, da qualche parte; è faticosa consapevolezza di un vuoto che non puoi colmare perché mai nulla ha occupato quello spazio. Il rimpianto lascia sopravvivere perché consente di non essere costantemente pensato.
Il rimpianto… Bussano alla porta.
Il signor F. fatica a trarsi da queste riflessioni.
Bussano ancora.
Lui pensa al diavolo, non andrò ad aprire. Non attendo nessuno e nessuno sa che sono in casa. Chiunque sia se ne andrà presto.
Bussano alla porta, ancora: senza insistenza, con la medesima forza.
Ora il Signor F. ha lasciato fuggire i pensieri in cui era assorto e già il rimpianto non è più.
Ecco cos’è il rimpianto: mai potrai pensare di farla finita per un “semplice” rimpianto. Si presenterà ogni volta uguale; tutto il tempo che ha consumato te non ha reso lui meno forte, ma se ne andrà di nuovo, anche se per poco, e tu potrai vivere. Come puoi, ma vivrai; addirittura provando paura al solo pensiero di poterla fare finita.
Bussano alla porta.
Dannazione! Pensa il signor F. e si risolve ad andare ad aprire.
Apre, dunque, e la luce grigia di questo giorno si riversa nell’ingresso sporcando di quel colore spento ogni cosa.
La porta ora è aperta sullo stesso scorcio della finestra a cui il signor F. era fino a un istante fa. Difficile pensare che il tempo avrebbe potuto essere diverso, eppure lui è quasi stupito di quella pioggia. Perché, senza un vetro che lo protegge, gli arrivano il rumore e questo odore, e prova un freddo che è lo stesso di quel giorno, tanto che par di sentire ancora quelle parole:
«Vieni con me»
Sulla soglia, un bambino che «Oggi piove di nuovo», dice.
«Oggi piove di nuovo», ripete il signor F. come se quell’apparizione fosse naturale, ma non abbastanza da non aver bisogno di una conferma.
«Sì, oggi piove di nuovo» ripete ancora F. che necessita di parole semplici e concrete a cui aggrapparsi mentre lo investe l’odore della pioggia d’allora, che ancora scroscia, dal cielo e dal tetto, sopra un bambino che non si bagna.
Come il rimpianto, tante volte questa pioggia è tornata e poi ha di nuovo lasciato spazio a un po’ di sole. Ma, adesso, c’è di più: sa di tegola e d’inverno quest’acqua piovana.
«Vuoi tornare indietro e parlare con lei?» domanda il bambino venuto con la pioggia.
La risposta che preme in F. per un istante si fa desiderio e gioia indicibile per un’opportunità che nemmeno avresti il coraggio di desiderare.
Ma è solo un istante.
«Lo voglio?» chiede il signor F.
«Io non so se lo vuoi» risponde il bambino, «ma affinché accada devi volerlo».
«Basta volerlo?» domanda ancora F.
«Sì: ti basta».
Eppure, F. non crede a quelle parole. Non è possibile avere una seconda possibilità senza un prezzo da pagare.
«Cosa hai da perdere, del resto?», domanda il bambino che sembra conoscere i suoi pensieri.
«Cosa ho da perdere?»
Ripetere quasi macchinalmente consente a F. di dare uno spessore, una forma, almeno verbale, a quella sensazione così irreale. E pensa: Ecco cosa ho da perdere: tutto ciò che non ho avuto. Che è davvero troppo, dal momento che non ho praticamente nulla.
«Non tutto ciò che si può avere è destinato a essere perso», gli dice il bambino che conosce i suoi pensieri.
«Ma tutto ciò che non ho avuto, tutto ciò che non sono stato, non ho dovuto perderlo, in questa mia vita».
«Allora perché ancora ti tormenta?», domanda il bambino. «Vuoi negare che è un vuoto?»
«Non lo nego» risponde F. ma il terrore lo blocca. Quel dolore gentile gli ha consentito di sopravvivere; cosa lo attende, invece, sulla strada che gli è offerta?
L’amore più grande del mondo lo attende, un amore che mai essere umano ha provato e mai nessun altro proverà.
«Sì, hai ragione: lo perderai» gli dice il bambino che vede i suoi pensieri. «Non so dirti quanto potrà durare, ma tu sai quanto grande era il suo amore per te e anche un solo giorno di quell’amore forse varrà l’intera vita».
«No, non è vero» dice F. «Un giorno sarebbe una beffa; cento anni sarebbero il Paradiso che poi termina, ti si sfrolla davanti dopo che l’hai posseduto e quanto più è stato meraviglioso, tanto più sarà un inferno farne a meno anche per un solo giorno, dopo che si sarà fatto macerie».
Il bambino non parla più. Guarda F. con occhi tristi, ma il suo sguardo non lo giudica.
«Vuoi entrare? Parliamo ancora un po’», dice F.
Il bambino fa cenno di no. I suoi occhi sono tristi, ma nel suo sguardo non c’è altro che lo sguardo di un bambino.
F. gli sorride, poi domanda: «Mi basta chiudere questa porta, vero?»
Il bambino che non parla più non è offeso, e lui lo sa. «Ciao», dice infine F. e richiude la porta.
Chiude anche gli occhi, fa un sospiro, li riapre e si guarda intorno: l’aria dell’ingresso è ancora piena di freddo e di grigio e sa di tegola.
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«Oggi piove di nuovo», ripete il signor F. come se quell’apparizione fosse naturale, ma non abbastanza da non aver bisogno di una conferma.
«Sì, oggi piove di nuovo» ripete ancora F. che necessita di parole semplici e concrete a cui aggrapparsi mentre lo investe l’odore della pioggia d’allora, che ancora scroscia, dal cielo e dal tetto, sopra un bambino che non si bagna.
Come il rimpianto, tante volte questa pioggia è tornata e poi ha di nuovo lasciato spazio a un po’ di sole. Ma, adesso, c’è di più: sa di tegola e d’inverno quest’acqua piovana.
«Vuoi tornare indietro e parlare con lei?» domanda il bambino venuto con la pioggia.
La risposta che preme in F. per un istante si fa desiderio e gioia indicibile per un’opportunità che nemmeno avresti il coraggio di desiderare.
Ma è solo un istante.
«Lo voglio?» chiede il signor F.
«Io non so se lo vuoi» risponde il bambino, «ma affinché accada devi volerlo».
«Basta volerlo?» domanda ancora F.
«Sì: ti basta».
Eppure, F. non crede a quelle parole. Non è possibile avere una seconda possibilità senza un prezzo da pagare.
«Cosa hai da perdere, del resto?», domanda il bambino che sembra conoscere i suoi pensieri.
«Cosa ho da perdere?»
Ripetere quasi macchinalmente consente a F. di dare uno spessore, una forma, almeno verbale, a quella sensazione così irreale. E pensa: Ecco cosa ho da perdere: tutto ciò che non ho avuto. Che è davvero troppo, dal momento che non ho praticamente nulla.
«Non tutto ciò che si può avere è destinato a essere perso», gli dice il bambino che conosce i suoi pensieri.
«Ma tutto ciò che non ho avuto, tutto ciò che non sono stato, non ho dovuto perderlo, in questa mia vita».
«Allora perché ancora ti tormenta?», domanda il bambino. «Vuoi negare che è un vuoto?»
«Non lo nego» risponde F. ma il terrore lo blocca. Quel dolore gentile gli ha consentito di sopravvivere; cosa lo attende, invece, sulla strada che gli è offerta?
L’amore più grande del mondo lo attende, un amore che mai essere umano ha provato e mai nessun altro proverà.
«Sì, hai ragione: lo perderai» gli dice il bambino che vede i suoi pensieri. «Non so dirti quanto potrà durare, ma tu sai quanto grande era il suo amore per te e anche un solo giorno di quell’amore forse varrà l’intera vita».
«No, non è vero» dice F. «Un giorno sarebbe una beffa; cento anni sarebbero il Paradiso che poi termina, ti si sfrolla davanti dopo che l’hai posseduto e quanto più è stato meraviglioso, tanto più sarà un inferno farne a meno anche per un solo giorno, dopo che si sarà fatto macerie».
Il bambino non parla più. Guarda F. con occhi tristi, ma il suo sguardo non lo giudica.
«Vuoi entrare? Parliamo ancora un po’», dice F.
Il bambino fa cenno di no. I suoi occhi sono tristi, ma nel suo sguardo non c’è altro che lo sguardo di un bambino.
F. gli sorride, poi domanda: «Mi basta chiudere questa porta, vero?»
Il bambino che non parla più non è offeso, e lui lo sa. «Ciao», dice infine F. e richiude la porta.
Chiude anche gli occhi, fa un sospiro, li riapre e si guarda intorno: l’aria dell’ingresso è ancora piena di freddo e di grigio e sa di tegola.
Il signor F. è pronto; torna in sala, alla finestra.
Lei e il bambino si stanno allontanando tenendosi per mano.
Nessuno dei due si volta.
La pioggia non li bagna.
Lei e il bambino si stanno allontanando tenendosi per mano.
Nessuno dei due si volta.
La pioggia non li bagna.