Una rosa per Martina Pt.8

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Una rosa per Martina Pt.8



Mentre seguivo questi pensieri sconfortanti, fui distratto dal rumore che indicava stesse frugando nella borsetta, forse cercava delle salviette per detergere il sudore.
- Le va una salvietta umidificata per rinfrescare il viso? - mi chiese, porgendomi nell'oscurità il pacchetto.
Ne presi a tentoni un paio dalla confezione, un aroma di aloe vera mi salì fresco alle narici.
- Grazie. Ci vorrebbe ben altro per i litri di sudore che sto versando, ma almeno è un palliativo profumato.
Le passai sul viso, il collo e continuai sul petto.
Dai fruscii percepiti, ricavai che anche lei facesse altrettanto.
- Lo sa, Grimaldi, quello che più mi dà sui nervi della situazione è l'inattività forzata a cui sono costretta. Odio sprecare il tempo.
"Certo!" pensai. "Qui non c'è nessuno da buttare fuori dall'azienda o a cui fare un pompino per salire di grado nell'organigramma."
La stanchezza e il caldo mi rendevano cinico e bilioso.
- Temo che dovrà farsene una ragione, - dissi stancamente. - Finché non si accorgono della nostra assenza, non c'è che pazientare.
- Le confesso che, non avendo impegni nel pomeriggio, ero tentata di continuare il lavoro almeno fino alle diciassette. Lo avessi fatto, ora non sarei chiusa qui, ma il caldo mi ha fatto desistere dal proposito.
- Capisco, - risposi. - Pensi che io avrei dovuto uscire alle tredici e involarmi per il mare, ma ho deciso di fermarmi per terminare il lavoro. Fossi stato meno zelante, ora sarei in viaggio verso la Liguria per raggiungere la mia famiglia che mi attende.
Il raffronto dei rispettivi approcci al problema non dovette piacerle, perché si zittì e il silenzio tornò a inghiottirci.
Il tempo pareva fermo, i minuti erano divenuti ore, l'aria e il caldo più soffocante.
Signetti si mosse: cambiò posizione, la sua insofferenza era elettricità pura che agitava le molecole della tenebra.
Quell'energia elettrica, se fosse stata utilizzabile, avrebbe agevolmente fatto ripartire quell'ascensore sospeso nel vuoto.
- Lei non sente crampi alle gambe, Grimaldi?
- È il caldo, - dissi. - Provi a sollevarsi in piedi e batta con forza i talloni al pavimento, dovrebbero passare.
La sentii levarsi e fare ciò che avevo suggerito: gemeva a ogni botta del piede.
- Bene! - disse al termine con sollievo. - Va molto meglio, grazie.
- Si figuri, è un trucco del nostro allenatore di calcetto, è molto efficace con questo genere di crampo.
- Lei gioca a calcetto? Uhm... Non sapevo fosse uno sportivo.
- Niente di che, mi creda. Qualche tiro amichevole con amici, una o due volte al mese, poi ci si fa una birra, nulla di serio.
- Lei è un uomo con aspetti sorprendenti, sempre pieno di risorse, - fece un risolino.
Il tono suonava ambiguo, come si riferisse a qualcosa che la divertiva: provai fastidio, odiavo questo suo modo allusivo di fare.
- Non ho nulla di sorprendente, Signetti. Sono semplice e trasparente come una bottiglia d'acqua minerale non gassata.
- Accidenti! Non mi parli di acqua minerale, gassata o no. Con la sete che sento, rischio una crisi isterica, - rise sommessamente.
Forse era la prima volta che la sentivo ridere spontaneamente per una banalità.
- È paradossale 'sta cosa: bloccati qui a causa dello zelo per il nostro lavoro. Siamo due dispersi, naufraghi nel mare dell'afa cittadina, - disse con amarezza filosofica.
- Dispersi è il termine esatto. - commentai - Lo ricorda il film della Wertmüller con quei due sperduti nell'azzurro mare d'agosto?
- Ahahah!... Certo che lo ricordo. Anche se, nella sfiga, loro avevano qualche buona idea per trascorrere il tempo, - rise del sottinteso.
Pareva incredibile che in quella sorta di rettile a sangue freddo albergasse del rilassato umorismo.
La tensione si allentò e anch'io mi lasciai andare.
Lo stimolo a mingere si faceva più insistente, cercavo disperatamente di ignorarlo.

Si era distesa al mio fianco, stiracchiandosi e poggiandosi alla parete di specchio alle nostre spalle.
Ormai mi abituavo a percepirne i movimenti attraverso i fruscii e il labile fluttuare dell'aria smossa, come sanno fare i non vedenti.
Era certamente solo un'impressione, ma averla così accanto dava l'idea che la temperatura fosse ulteriormente cresciuta.
Di certo era solo la mia ipersensibilità a farmelo credere.
Rivoli di sudore mi correvano dalla nuca al fondoschiena, la camicia era fradicia, grondavo letteralmente.
- Mi scusi, Signetti, - dissi a quel punto, - ma io mi levo la camicia. Perdonerà la poca eleganza del gesto, ma non riesco più a tenerla addosso bagnata così.
- Faccia pure. Non mi formalizzo certo per così poco. Del resto, per quello che si vede qui, fossimo anche nudi, non se ne accorgerebbe nessuno.
Mi liberai della camicia, ne feci un fagottino e la posai al mio fianco.
- Sa che c'è, Grimaldi? Sto morendo di caldo anch'io, - disse con un sospiro. - Data la situazione, possiamo permetterci qualche libertà. Quindi, se me lo consente, mi alleggerisco anch'io.
Emise uno sbuffo esasperato e iniziò a muoversi.
Gli occhi coglievano solo l'impronta nera della sua sagoma in leggero movimento: compresi che stava sbottonando la parte superiore del vestito, alla fine si assestò tornando a poggiare le spalle alla parete di specchio.
È incredibile come il nostro corpo reagisca in maniera del tutto autonoma anche nelle situazioni più estreme.
L'idea di ciò che era avvenuto in quel buio, ovvero che fosse rimasta con il solo reggiseno, mi procurò un certo rimescolio interno.
- Cosa c'è, Grimaldi, la sento nervoso? - la solita nota divertita nella voce.
- Nulla, non si preoccupi, è il caldo, solo il caldo.
Temevo percepisse le variazioni tachicardiche nel mio petto, o che leggesse i miei pensieri, quella donna possedeva una sensibilità diabolica.
- Sì, fa troppo caldo. Non le nascondo che avrei la tentazione di spogliarmi del tutto, - aggiunse a bassa voce.
Il suo profumo mi stordiva e quelle parole azzerarono la mia salivazione: dovetti deglutire per regolarizzare il respiro, mio malgrado stavo subendo un'erezione.
Mi sentivo imbarazzato e colpevole senza ragione, con un riflesso puerile portai le mani a coprire l'inguine, ero grato che l'oscurità nascondesse il mio turbamento e anche il resto.
- Ma non abbia timore, non lo farò, - aggiunse. - Lei è sempre così sulle sue, non vorrei scandalizzarla troppo.
Seguì una sonora risata: mi stava chiaramente provocando.
- Ma chi, io? Scandalizzarmi? Tranquilla, faccia come crede. Anzi, se non si sente a suo agio, lo dica: mi volto dall'altra parte.
- Ahahah!... - altra scrosciante risata. - Ma con questo buio che si volta a fare? Avrà mica lo sguardo a infrarossi? Questa sì che sarebbe una sorpresa.
- Ma no, era per dire… - risposi, sentendomi cretino.
- Ok! Quindi non si turba? - riprese con tono tranquillo. - Volevo ben dire. Ma mi dica: è sempre così controllato nelle sue cose?
- Un po' di discrezione mi sembra doverosa, non crede?
- Sì. La trovo molto discreto, sa? Altri al suo posto, in questa situazione, col buio e una donna seminuda al fianco… beh, forse non sarebbero così discreti.
Potevo immaginare l'espressione beffarda che aveva in volto.
- Non è che mi sarà un po' timido con le donne, Grimaldi? - replicò.
Eravamo allo sfottò dichiarato, ma non ne capivo lo scopo, o meglio, temevo di capirlo.

- Signetti, che dire, se ci pensiamo, la nostra situazione non è dissimile dallo stare in spiaggia, - dissi, buttandola su qualcosa di neutro.
- In spiaggia al mare?… Ahahah! Bella idea: già mi figuro noi a giocare con secchiello e formine sulla sabbia.
- Qui o al mare, nella sostanza cosa cambia? Stare mezzi nudi è identico. Ciò che cambia è solo una questione di convenzioni sociali, di un senso del decoro a cui siamo abituati.
- Grimaldi, ma lo sa che lei è anche filosofo? Doveva capitare questo imprevisto perché lo scoprissi.
Trovava la cosa spassosa, poi riprese: - Quindi, mi faccia capire. L'idea di noi due, soli al buio, seminudi... La lascia indifferente? È così?
Stava quasi sussurrando: un tono di voce suadente, di cinque gradi più caldo dell'aria in cui stavamo immersi.
Giocava, era evidente, il gioco del gatto col topo.
- Sì! Cioè, no. Ecco, volevo dire: lei è una bella donna. Davvero lo dico, ma anche se si denudasse, io non mi permetterei mai. Cioè, ho il massimo rispetto… ecco, questo...
Mi sforzavo di fare un discorso sensato, ma mi pareva di camminare sui carboni ardenti, sudavo, quasi balbettavo, mi stava mandando nel pallone.
- Peccato, - riprese con un tono spiaciuto. - Pensavo che tra noi ci fosse un po' di simpatia. Non dico confidenza, ma che in qualche modo non le fossi del tutto indifferente. Evidentemente mi sbagliavo, vero, Grimaldi?
Ora giocava a fare la vittima: ero certo che, se non fossimo stati in quelle tenebre, mi avrebbe mostrato il broncio.
- Ma no! Che dice, Signetti? Lei non mi è indifferente, tutt'altro. Poi, ripeto, è sicuramente una donna splendida. Ma io ho sempre guardato a lei come a una collega di lavoro, anzi, un mio superiore.
- Via, Grimaldi, siamo alla fine del ventesimo secolo, c'è stata la Rivoluzione d'Ottobre, lo sa? Abbiamo lo Statuto dei Lavoratori e lei mi pare che ragioni ancora con categorie sociali del secolo scorso. Qui ora non ci sono superiori, lei ne vede qualcuno? Si rilassi, su. Da bravo. - rideva!
Mi stavo innervosendo. Cazzo aveva da ridere?

Era chiaro che mi pungolava. Cosa si era messa in testa?
Era un modo di passare il tempo quel farmi sentire un coglione?


(Continua)

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