[Lab17] Equilibrium

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Il bunker era insonorizzato per non far passare nulla. Né onde, né voci, né incertezze. Aveva scelto lui ogni dettaglio: l’illuminazione filtrata, il silenzio totale, la poltrona troppo rigida per essere comoda. Sulla quella poltrona non cercava comodità, ma un promemoria costante: il potere non era mai una concessione; era una forma di resistenza. A cominciare da sé stesso, Levan Ramek, Primo Ministro di Velkania.
La parete digitale proiettava una mappa satellitare della capitale. Punti rossi lampeggiavano a intervalli precisi, segnalando disturbi, interferenze, piccole anomalie.
Aveva mandato in onda il suo falso rapimento: voleva sapere cosa lei avrebbe fatto. E lei era fuggita dalla sua prigione dorata. Era una previsione calcolata. Una provocazione necessaria. Ma era a un passo dal suo obiettivo, e doveva sapere.
Si voltò verso il tavolo. C’era un fascicolo aperto con fotografie e documenti allineati con cura. Volti. Nomi. Informazioni. Persone da far tacere. Enti e istituzioni soppressi. Ogni voce barrata con la sua penna.
Non era repressione. Era contenimento. Prevenzione.
Il popolo non aveva bisogno di sapere tutto. Solo ciò che lo teneva in equilibrio: minacce, promesse, sicurezza. Il resto era caos. E il caos andava evitato, a meno che non fosse necessario. Per questo aveva dato l’ordine di annientare la squadra comandata da Kai Vorn: il comandante troppo carismatico per essere gestito, troppo popolare per essere eliminato apertamente, quello che aveva già disertato una volta. La colpa sarebbe ricaduta sulla resistenza, i ribelli. E il popolo, allarmato, avrebbe approvato una maggiore sorveglianza. Il caos temporaneo era l’arma più antica. E la più efficace per giustificare il controllo.
Avevano tenuto Kai Vorn lontano, con una piccola unità mal equipaggiata, in modo che non potesse realmente minacciare l’equilibrio. Fino a ora.
Perché adesso con lui c’era quella variabile imprevista.
Arisa. Sua figlia.
Non sapeva come si fosse introdotta nella base, le milizie erano interdette alle donne: forse era diventata la puttana di Vorn, forse di tutta l'unità. Ma lui aveva sempre saputo dov'era. Sempre. Fin da bambina, dopo l'impianto del RFID, che lei non sapeva di avere. L'ordine era di riportarla viva: dopo l’attacco sarebbe stato più facile piegarla, costringerla a riprendere il proprio posto.
Aprì una seconda cartella, contrassegnata da un sigillo bianco. “Unità di dissuasione”. Erano state intercettate due trasmissioni illegali. Niente di realmente pericoloso, ma il principio era ciò che contava. Se passava una crepa, la pressione dall’esterno l’avrebbe allargata. E lui non lo avrebbe permesso: controllava i media. I flussi. Le autorità locali. Tutto.
Sospirò pesantemente.
Perché nonostante questo, qualcosa era andato storto. L'unità di Kai Vorn si era salvata: un aiuto dall’esterno li aveva lasciati in gioco.
Stava già pensando a un piano alternativo, quando fu chiamato.

Nella piccola stanza c’erano schermi ovunque. Codici, sequenze visive, flussi di dati. Ogni informazione aveva un posto. Al centro dello schermo principale, una figura in movimento. Corpo snello e andatura decisa. Le telecamere e i data base avevano impiegato quasi mezz’ora per confermare l’identità.
Alek Seran. O almeno quello era il nome del cadetto nei registri. Levan lo osservava in silenzio. Non era sorpresa. Era delusione.
Arisa. Ecco come si era introdotta nella base.
Non era morta. Non era stata spezzata. E quel volto che ora appariva nelle registrazioni di sorveglianza, taglio militare, assetto mimetico, postura da combattente, non era più una degenerazione emotiva. Era la prova vivente della sua teoria: il caos poteva alimentare minacce o generare forza. Era quasi uno spreco doverla piegare.
Gli occhi si strinsero. Sapeva dove stava andando. L’avrebbe intercettata lui stesso.

Il rumore delle pale copriva le voci ma non i suoi pensieri.
Non aveva cresciuto Arisa. Non l’aveva mai voluta realmente. Ma era stata utile. Una figura da esibire. Figlia perfetta. Nessuna incrinatura apparente. Una storia familiare a supporto del nuovo volto politico della Repubblica. Soprattutto dopo che la madre era morta... un altro ostacolo del quale si era dovuto occupare.
Le aveva permesso di mantenere i suoi puerili segreti, finché la sua immagine non ne avesse risentito. Ma se quell’immagine cedeva, se proprio lei parlava, tutto il resto vacillava. Davanti a documenti, fondi deviati, centri di contenimento, protocolli di “rieducazione sociale”, allora anche i più ciechi avrebbero alzato gli occhi.
Il volto riflesso nel vetro rimase impassibile. Ma la decisione, dentro, si consolidò. Doveva “riabilitarla”. Non avrebbe voluto arrivare all’eliminazione diretta della variabile.
Odiava ammetterlo, ma aveva bisogno della sua immagine. Ma doveva trovarla prima che trasmettesse i dati. Avrebbe accusato Kai Vorn di averla sequestrata e seviziata. L’avrebbe usata per liberarsi anche di lui, che fosse in una rappresaglia militare, o attraverso la legge marziale. Soprattutto insieme, sarebbero sempre stati una spina nel fianco.
Il terminale nella tasca segnalò: Accesso Autorizzato – Biometria compatibile.
Levan lo chiuse. Arisa era arrivata alla base segreta, e anche lui era molto vicino.

Avanzava sicuro nel corridoio silenzioso, le mani dietro la schiena, il busto eretto come in sala di comando. Poi la vide. Arisa.
In piedi, in fondo al corridoio, lo guardava come si osserva un nemico.
Non esitò: «È così che sei finita?» La voce era controllata, piatta. Non c’era rabbia. Solo una constatazione. «A rubare dati. Compromettere operazioni militari. Disertare.»
Lei alzò un’arma. Le mani non tremavano. «Fermati.»
Levan non si fermò. «Non hai idea di cosa stai distruggendo.»
«Ho le prove di ciò che hai fatto. La tua voce. I tuoi ordini. I documenti.»
Lui fece un passo. Poi un altro. «E pensi che basti? Io controllo i canali. I giornali. I flussi. Le autorità. Tu sei solo una ragazzina piena di rancore.»
Con la rabbia negli occhi, lei indietreggiò. Il gesto non era insicuro, ma mostrava un conflitto. Era un vantaggio.
«Sono tuo padre.» Continuò, il tono più basso, più duro. «Ti ho protetta per tutta la vita. Anche quando non capivi cosa stesse succedendo.»
Un altro passo. Lo spazio tra loro si accorciava. «Non puoi combattermi. Non hai idea del costo.»
«La mamma ce l’aveva. E per questo è morta.»
Si fermò. Portò le mani avanti, lentamente. Nessuna arma. Solo la forza. E poi si lanciò.
Cercò di afferrarle il polso. Lei reagì con prontezza, un calcio fulmineo, un colpo al fianco. L’impatto fu preciso, ma lui resistette. Le strappò la pistola con un movimento secco. L’arma rimbalzò contro la parete e cadde. Lui la spinse contro il muro, sentì il colpo spezzarle il fiato.
«Non ti farò del male.» Disse, stringendo appena di più, «ma non ti lascerò andare. Non puoi sfidare l'ordine che ho costruito per te, per tutti.»
Lei si liberò con uno scatto. Usò una ginocchiata e si gettò sulla pistola, la raccolse, si rialzò ansimando. Aveva ancora fiato. Ancora determinazione.
Ma non sparò. Non ci riuscì.
In quell’attimo di esitazione, la raggiunse. La lotta fu un vortice di colpi e parate, senza concessioni. Arisa era brava: compensava la sua forza con l’agilità e l’astuzia. Ma lui riuscì a strapparle via il coltello dalla cintura e bloccarle i polsi.
«Hai finito. Sei mia figlia. Non potrai mai vincere questa guerra.»
Lei rispose con una testata. Il sangue gli scese dal naso. Levan strinse la presa. Le torse la spalla. Fu il rumore secco che provocò il grido di Arisa. Ma ancora non cedeva.
Allora colpì di nuovo. Un calcio diretto tra le reni. Poi uno frontale. Violento. Lo sentì entrare a fondo, tra costole e stomaco.
Lei crollò. Non era svenuta. Ma non si rialzava.
Levan la guardò. Il petto si muoveva a fatica. Gli occhi ancora aperti. Ma non c’era più forza.
«Hai perso.» disse piano. «Ti porto via.»
Rimase in piedi sopra di lei, sovrastandola. Il viso di Arisa era contratto, il sangue sulle labbra, gli occhi che lampeggiavano: e ancora non cedeva.
Stupida.
Non capiva che stava facendo tutto questo per proteggerla. Non lei, ma ciò che rappresentava. Non avrebbe lasciato che quell’immagine andasse in frantumi. Neppure ora. Il controllo era tutto.
Si chinò, pronto a trascinarla via.

Il rumore arrivò sordo e meccanico. Una porta che saltava dai cardini.
Levan si voltò, ancora piegato su di lei.
Kai Vorn.
Lo riconobbe subito. Era ferito al fianco, ma in piedi, determinato. Era uno di quei maledetti che non si piegano finché non smettono di respirare. Occhi fissi e taglienti. Alle sue spalle, due figure armate in mimetiche non ufficiali. Ribelli.
«Allontanati da lei.» disse Kai. «Adesso.» La voce era piatta, ma trattenuta. Era già un ultimatum.
Levan si alzò lentamente, senza abbassare lo sguardo. Inspirò. «Tu non sai cosa stai facendo.»
La canna del fucile si alzò: «So esattamente cosa sto facendo. Hai dieci secondi.»
Non si mosse. Lo guardò. Guardò i due ribelli. Non erano molti, ma spostavano l’asse. Il suo vantaggio era finito.
Avrebbe potuto provare a trattare. Ma non con Kai Vorn. E il modo in cui guardava Arisa… quello era un altro tipo di problema.
«Puoi sparare.» disse Levan, con voce fredda. «Ma poi?»
Kai non gli rispose. Guardava rigido il corpo a terra di Arisa. La spalla lussata, il fiato corto. Il fallimento negli occhi aperti che lo guardavano, senza riuscire a parlare.
«Non ho bisogno di sparare.» Disse Kai, abbassando leggermente il fucile. «Sei già finito. Ma se mi costringi, e spero che tu lo faccia, posso sempre spezzarti le ginocchia.» Il suo sguardo non tremò. E il tono era cambiato. Più basso. Più concreto. Più letale.
Poi, un rumore alle spalle. Altri due uomini dell’unità di Kai. Non aveva più tempo. Non poteva permettere che lo circondassero. Lo avrebbero preso, esposto, giudicato. Scattò verso Arisa. La sua pistola spuntava da sotto il fianco. La raccolse e se la puntò alla tempia. Lucido. Coerente.
La morte non è un’ammissione di colpa, ma un ultimo atto di controllo.

Re: [Lab17] Equilibrium

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Sienna wrote: Sulla quella poltrona non cercava comodità, ma un promemoria costante: il potere non era mai una concessione; era una forma di resistenza. A cominciare da sé stesso, Levan Ramek, Primo Ministro di Velkania.
distrazione
Sienna wrote: La parete digitale proiettava una mappa satellitare della capitale. Punti rossi lampeggiavano a intervalli precisi, segnalando disturbi, interferenze, piccole anomalie.
Sienna wrote: Mon Jun 16, 2025 2:41 pmNon era repressione. Era contenimento. Prevenzione.
Il popolo non aveva bisogno di sapere tutto. Solo ciò che lo teneva in equilibrio: minacce, promesse, sicurezza. Il resto era caos. E il caos andava
Un incipit su un controllo totale del proprio "regno" ottenuto con ogni mezzo lecito e illecito. Sottomissione di un popolo, approfittando di ignoranza, confusione, necessità di false sicurezze.
Sienna wrote: Mon Jun 16, 2025 2:41 pmPerché virgola nonostante questo, qualcosa era andato storto. L'unità di Kai Vorn si era salvata: un aiuto dall’esterno li aveva lasciati in gioco.
per aprire l'inciso
Sienna wrote: Mon Jun 16, 2025 2:41 pmAlek Seran. O almeno quello era il nome del cadetto nei registri. Levan lo osservava in silenzio. Non era sorpresa. Era delusione.
Arisa. Ecco come si era introdotta nella base.
Non era morta. Non era stata spezzata. E quel volto che ora appariva nelle registrazioni di sorveglianza, taglio militare, assetto mimetico, postura da combattente
La figlia del despota ha assunto un'identità maschile, da combattente del sistema del padre.
Sienna wrote: Mon Jun 16, 2025 2:41 pmLei rispose con una testata. Il sangue gli scese dal naso. Levan strinse la presa. Le torse la spalla. Fu il rumore secco che provocò il grido di Arisa. Ma ancora non cedeva.
Allora colpì di nuovo. Un calcio diretto tra le reni. Poi uno frontale. Violento. Lo sentì entrare a fondo, tra costole e stomaco.
Lei crollò. Non era svenuta. Ma non si rialzava.
Levan la guardò. Il petto si muoveva a fatica. Gli occhi ancora aperti. Ma non c’era più forza.
«Hai perso.» disse piano. «Ti porto via.»
Rimase in piedi sopra di lei, sovrastandola. Il viso di Arisa era contratto, il sangue sulle labbra, gli occhi che lampeggiavano: e ancora non cedeva.
Stupida.
Non capiva che stava facendo tutto questo per proteggerla. Non lei, ma ciò che rappresentava. Non avrebbe lasciato che quell’immagine andasse in frantumi. Neppure ora. Il controllo era tutto.
Si chinò, pronto a trascinarla via.
Complimenti per questa scena dello scontro tra padre e figlia, l'uno antagonista dell'altra.
Sienna wrote: Mon Jun 16, 2025 2:41 pmPoi, un rumore alle spalle. Altri due uomini dell’unità di Kai. Non aveva più tempo. Non poteva permettere che lo circondassero. Lo avrebbero preso, esposto, giudicato. Scattò verso Arisa. La sua pistola spuntava da sotto il fianco. La raccolse e se la puntò alla tempia. Lucido. Coerente.
La morte non è un’ammissione di colpa, ma un ultimo atto di controllo.
Un buon finale: ottima l'ultima frase, detta dal despota che non ammette di perdere. Brava! @Sienna  :)


Un buon sviluppo del laboratorio sulla figura dell'antagonista. A questo proposito, ti suggerisco di fare aggiungere, prima del racconto, a modo di traccia (perché, quando finirà confuso tra tutti i racconti, non ci sarà più l'aggancio col topic che ne chiarirà l'argomento):

Laboratorio: L'antagonista
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab17] Equilibrium

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Un racconto distopico in cui emerge con forza la figura del despota Levan Ramek, un antagonista che “spacca” @Sienna


Sienna wrote: Il bunker era insonorizzato per non far passare nulla. Né onde, né voci, né incertezze.
Sienna wrote: Aveva mandato in onda il suo falso rapimento:
Qui leggo una piccola incoerenza. Se non passano le onde, come fa ad aver “mandato in onda.”

In alcuni momenti Levan sembra essere “onnisciente”, o eccessivamente dominante nella scena, soprattutto quando anticipa ogni mossa dei suoi oppositori. Forse, introducendo qualche momento più chiaro di vulnerabilità psicologica, magari un dubbio, una microcrepa, potresti renderlo ancora più tridimensionale e tragico. Anche un breve accenno al passato, qualcosa che umanizzi davvero il suo bisogno di controllo (più personale che ideologico), potrebbe rafforzare il suo spessore.

La tensione narrativa è crescente e ben costruita da un ritmo che non concede pause. Se posso, ho trovato una paratassi eccessiva, forse aggiungerei qualche frase più strutturata soprattutto nella fase finale in cui il ritmo forsennato non lascia il tempo di assaporare la scena al meglio. Ottime le scene in movimento.
Un bel lavoro sull’antagonista e un ottimo racconto.

Re: [Lab17] Equilibrium

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@Monica 
Hai ragione, c'è un'incoerenza, ma non come intendi tu: le "onde" che non passano sono intese come segnali traccianti e/o interferenze di trasmissioni provenienti dall'esterno, mentre il "mandare in onda" è una trasmissione che esce dall'interno verso l'esterno voluta e programmata. L'incoerenza invece sta qui: Ramek è l'antagonista del romanzo al quale sto lavorando, quello su Kai e Arisa. Nonostante abbia cercato di non lasciare lacune nel racconto, su fatti e situazioni che sono descritti nel romanzo, qualcosa è sfuggito: Ramek di fatto trasmette il suo rapimento su un canale televisivo, l'andare in onda era riferito a questo, che non ho spiegato adeguatamente.
Riguardo l'umanizzazione del personaggio, sì, lo so che è un canone narrativo ricorrente, ma non lo volevo umanizzare, proprio no  :P

@Poeta Zaza 
La distrazione, dopo tutto il "taglia e cuci" è il minimo che poteva accadere  :lol:
Se ti è piaciuta la scena del combattimento ti farò leggere quella originale del romanzo, molto più articolata  ;)

:grazie: a tutte e due

Re: [Lab17] Equilibrium

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Ciao @Sienna

Per essere alle prime armi, come dici nella presentazione, niente male. Il tuo racconto propone un intenso affresco distopico, incentrato sulla figura di Levan Ramek, Primo Ministro di una nazione immaginaria, la Velkania. Hai sviluppato la  narrazione strutturandola attorno a un conflitto personale e politico, mostrando con chiarezza come il potere assoluto, una volta interiorizzato, diventi non solo una macchina repressiva esterna ma anche una condizione psicologica, un'identità.
Lo stile è asciutto, incisivo, ricco di dettagli visivi e psicologici. Hai costruito diverse scene con una tensione crescente, culminando in uno scontro fisico e simbolico tra padre e figlia. Levan è un personaggio complesso, un “cattivo”, ma poi bisognerebbe analizzare cosa si intende per essere considerati davvero cattivi. È senz’altro  coerente nella sua crudeltà calcolata. Il suo bunker insonorizzato, i fascicoli ordinati, la voce sempre sotto controllo, sono tutte metafore di un potere che si vuole assoluto, perfetto, privo di crepe. Ma è proprio da quelle crepe,  rappresentate da Arisa, sua figlia, che filtra il cambiamento.

La figura di Arisa è potente per quanto poco accennata: incarna il rifiuto di un’identità imposta, la volontà di verità, la disobbedienza che rompe l’ingranaggio. Questo è affascinante: il sistema che crolla tramite la ribellione di chi ne fa già intimamente parte.  Tuttavia, non è una "eroina perfetta": è piena di conflitti, esitazioni, ferite. Questo la rende molto credibile, umana. Il confronto tra padre e figlia non è solo fisico ma ideologico e generazionale: Levan rappresenta il dominio attraverso l’ordine e la manipolazione dell’informazione; Arisa, la rottura attraverso l’esposizione della verità. Naturalmente non esiste una sola verità in questo mondo e nemmeno in un mondo distopico. Arisa ha preferito un’altra verità, diversa da quella nella quale è crescita, secondo me. Questo è un modo per accentuare i conflitti.

L’inserimento di Kai Vorn introduce un terzo polo nella narrazione: l’alternativa al sistema. Il comandante ribelle, ferito ma determinato, è la dimostrazione che resistere è possibile, anche a costo della propria vita. La sua apparizione finale riequilibra la dinamica di potere: non è solo un salvatore, ma un catalizzatore della caduta di Levan.

Il linguaggio del racconto è cinematografico, denso di immagini e ritmo. La scelta di una narrazione in terza persona focalizzata sul punto di vista di Levan, poi alternata a quello di Arisa e infine di Kai, offre una visione stratificata dei personaggi e delle loro motivazioni. L’uso della violenza, mai gratuita, è strumento narrativo per mostrare lo squilibrio morale e la brutalità del controllo. Colpisce in particolare il finale, dove la pistola alla tempia non è una sconfitta ma una rivendicazione: Levan vuole restare il regista fino all’ultimo atto. La morte, per lui, è un atto di dominio, non di pentimento.
Sei riuscita a condensare in uno spazio limitato una complessa trama politica e familiare, senza mai perdere intensità. È una riflessione attuale e lucida su quanto il potere abbia bisogno di nemici per giustificarsi, e su come le fratture intime possano diventare atti di rivoluzione.

Mi piace il tuo modo di scrivere,  intensamente narrativo, controllato e visivo, con una impronta cinematografica.
Eviti orpelli linguistici e divagazioni liriche. Le frasi sono brevi,  costruite per creare tensione e precisione. Ogni parola ha un peso, ogni frase contribuisce a costruire l’atmosfera cupa e oppressiva.
Esempio: “Non era repressione. Era contenimento. Prevenzione.”
Tre periodi secchi, ideologicamente ambigui, che rivelano il pensiero del protagonista.
Il linguaggio utilizzato mi ha ricordato una certa terminologia militare, che mi è familiare (es. “Unità di dissuasione) oppure tecnologica o politica, “protocolli di rieducazione”, “flussi”, “trasmissioni illegali”, che dà al racconto un tono realistico e burocratico, perfetto per rappresentare un regime distopico in cui ogni aspetto è controllato. Naturalmente dai militari.
I dialoghi, soprattutto tra Levan e Arisa, sono tesi, minimalisti e pieni di sottintesi. C'è una freddezza apparente che lascia emergere, tra le righe, tutta la violenza emotiva e psicologica. Le parole diventano strumenti di potere, non solo di comunicazione.
Non racconti direttamente le emozioni, ma le fai intuire attraverso gesti, reazioni fisiche, espressioni minime. Questo approccio suggerisce una scrittura "mostra, non raccontare" ben padroneggiata a mio parere.
Ad esempio, Levan non dichiara mai apertamente la sua paura, ma la si percepisce nel modo in cui tenta di razionalizzare ogni fallimento o nel suo bisogno ossessivo di controllo.

Anche se il contesto è chiaramente politico e militare, hai  privilegiato, e hai fatto bene, l’intimità del conflitto personale, soprattutto padre-figlia. La distopia serve come specchio per i rapporti umani corrotti dal potere. Non descrive mai direttamente la società esterna, ma la lascia emergere attraverso le azioni e le riflessioni dei protagonisti.
In quanto all’impronta cinematografica che dicevo prima, (reminiscenze  di studi che tentai un tempo), le intravedo nelle sequenze visive, quasi da storyboard: scene brevi, focalizzate, ricche di dettagli sensoriali (luce, silenzi, suoni meccanici). Ogni scena sembra progettata per essere "vista", non solo letta. Il ritmo narrativo accelera verso il climax finale, con un montaggio serrato tra azione fisica e conflitto ideologico.
Bello stile, teso, essenziale, profondamente visivo, con un uso sapiente del non detto, dei contrasti e della parola come arma. I personaggi sono resi vivi.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab17] Equilibrium

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@Alberto Tosciri 
Grazie, di tutte le belle parole, per me è importante questo confronto, altrimenti non sarei qui.
Ma non è che mi sono svegliata una mattina scrivendo così: quel progetto ambizioso di cui parlavo nella presentazione, beh, l'ho momentaneamente accantonato. Di fatto era finito, una trilogia pronta da editare e revisionare: ma a oggi mi sono resa conto che è proprio da rifare.
Quando ho cominciato a scrivere l'ho fatto "di pancia", e sono venute fuori le storie. Punto.  :bash:
A quel punto mi sono chiesta che cosa rendeva un romanzo, un bel romanzo o un brutto romanzo, e lì mi sono venute in mente tutta una serie di oscenità che mi è capitato di leggere, da quelle sgrammaticate a quelle senza capo né coda: non volevo finire così (diamine, avevo appena iniziato!)
E allora mi sono messa a studiare: :libro:  ho letto articoli, ho fuso YouTube, confrontato i diversi punti di vista sulle regole narrative, cercando di adattarle e fonderle con il mio stile. Che sicuramente oggi è diverso da quello di otto mesi fa, ma ancora sto imparando.
Anche il genere c'entra: quando ho buttato giù le prime righe pensavo di voler scrivere semplici Romance, ma il mio stile, per quanto cerchi di rallentarlo,  è più serrato e ritmico, visivo, oppure, al contrario, estremamente introspettivo quando devo trattare i personaggi. Devo ancora trovare un equilibrio:  :P
Scrivo qualche scena che mi viene in mente: la curo, la annaffio, la concimo anche un po'.
Me ne compiaccio, la rileggo e gongolo.
Dieci giorni dopo la riprendo e la rileggo.
La paletta di carta centra inesorabile il canestro del cestino (del PC).
Almeno il 60% delle volte.

:grazie:

Re: [Lab17] Equilibrium

7
@Sienna

Ti capisco bene, anche io ho dei progetti, ci lavoro da tanto, ma non sono mai soddisfatto di quello che scrivo.
Scrivere non è molto faticoso, cioè mettere giù le prime idee. Si fa presto a farlo. La vera fatica consiste nel riscrivere e non una volta sola ma un numero infinito di volte. E non essere mai soddisfatti.
Succede sempre quando si lascia decantare il testo per un certo periodo di tempo e poi lo si riprende. Ho riletto vecchi racconti del mio passato e ho faticato a riconoscermi, con gli anni si cambia molto, in base all'esperienza, alle nuove letture... a tanti fattori.
Solo per un racconto, anche breve, è necessario un lungo lavoro, figuriamoci per un romanzo, una saga.
L'editing è importante, peccato che io non me lo posso permettere e devo farlo da solo. Non sono un esperto, faccio quello che posso ovviamente, i risultati non sempre rispecchiano le aspettative.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab17] Equilibrium

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Ciao Sienna, 
ho letto un paio di volte il tuo racconto e mi sono domandato: ma come fa la gente a immaginare ambientazioni così dettagliate per un racconto di 10.000 battute? Poi leggendo un tuo commento ho capito che era un'estrapolazione di un'opera più grande. Adesso ha più senso. 
Ti dirò, perdona l'antipatia, ma a me questo non fa impazzire: costringe il lettore a dover entrare rapidamente in un mondo che tu hai già chiaro, che già conosci a fondo. Si crea una discrepanza tra la mia e la tua percezione: il povero lettore deve aumentare il passo per seguire i tempi del racconto, si sentirà in svantaggio. E' come se mancasse la naturalezza nell'esposizione. 
Però ovviamente questa è una mia impressione, altri lettori potrebbero non avere la stessa difficoltà. Per dire, ho avuto la stessa sensazione anche con il racconto di Monica che, invece, godeva semplicemente di una ambientazione da "Oscar". 
Per quel che riguarda il racconto, mi è piaciuto molto lo stile, il ritmo serrato, quasi militaresco che ben si intona con l'ambientazione. Invece, quello su cui non sono sicuro è il combattimento finale: secondo me, in quel caso, un ritmo troppo serrato non si sposa bene con una scena già ricca di azione. Mi rendo conto che far entrare tutto in poco spazio non è semplice, ma avrei dato qualche calcio in meno per far respirare di più il testo. 
Ciò che veramente mi è piaciuto sono queste due frasi:  
Non era repressione. Era contenimento. Prevenzione
La morte non è un’ammissione di colpa, ma un ultimo atto di controllo.
Sembrano aforismi. 
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [Lab17] Equilibrium

9
Ciao @Sienna, non mi capita spesso di leggere racconti o romanzi d'azione, quindi prendi i miei commenti da profana del genere. Anch'io ho fatto un po' di fatica a stare dietro ai nomi e all'ambientazione. Si vede che tutto è pensato e preciso, ma si percepisce che è tutto parte di un contesto più grande e progettato. Questo in realtà non è propriamente un difetto, perché mette anche curiosità. A me è venuta voglia di saperne di più  :sorrisoidiota:
Mi piace lo stile, è serrato e ansiogeno e sembra quasi che si plasmi attorno a quello che fanno i personaggi e a quello che provano: nonostante la confusione iniziale, è facile appassionarsi. 

Re: [Lab17] Equilibrium

10
@sbatti 
@NanoVetricida 

Mi sono sforzata di creare uno stand alone adeguato, ma per forza di cose ho dovuto inserire personaggi trattati in altra sede: tutti si raccomandano "Conosci bene i tuoi personaggi!", e questo era l'antagonista che in questo momento conoscevo perfettamente. 

Ho grossi problemi con i racconti corti: se vado a briglia sciolta normalmente sono prolissa. Se proprio devo tagliare (sempre), favorisco storia e avvenimenti, a discapito di ambientazione e descrizioni. Anche il mio stile non è proprio così netto e ritmato: normalmente è più fluido e morbido, anche se non amo troppe divagazioni e mielosità: preferisco l'azione alla descrizione.

Sarebbe comunque educativo (per me :D  ), capire che cosa, più nello specifico, vi è mancato, o che cosa vi ha confuso, se volete. 

:grazie:

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