[Lab17] Fermare l'ombra

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Laboratorio 17: L'antagonista

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Il carcerato Bruno aveva tutti i difetti e i degradi possibili, ma di lui non si poteva dire mancasse di coerenza nei rapporti col suo prossimo. Che si trattasse di conoscenze dentro o fuori della prigione, pari lo valutavano, in un fronte di giudizio comune e lapidario: uno stronzo fatto e finito. 
L'unico amico, rinchiuso in un altro Istituto di pena, lo definiva: duro ma giusto; mi ha insegnato tanto.

Bruno chiama la guardia carceraria per il compagno di cella Federico, pesto e sanguinante, privo di sensi.
"Cos'è successo?"
"Caduto dal letto e battuto spigolo del comodino, il coglione..." risponde indifferente lui. Da quando è in cella, ha preso ad esprimersi con sintassi minima.
"Vedremo: aspèttati tre giorni di isolamento" fa il sorvegliante chiamando l'assistente medico e registrando la scena, senz'altri testimoni.
Bruno sta scontando la pena per rapina a mano armata, fatta a volto coperto. Non ha ucciso nessuno, l'arma era caricata a salve, ma c'è stata una vittima: sua cognata, che ne aveva riconosciuto la voce mentre gridava: Tutti a terra, arraffando gioielli nell'oreficeria, ed è stata colta da infarto, dopo aver sussurrato: Bruno...
Sua moglie, Elvira, distrutta dal dolore per la morte della sorella, ha rifiutato di vederlo dal giorno del misfatto. 
Oltre alla brutta sorpresa di scoprirlo in tale circostanza criminosa, anche se lo sapeva uomo collerico, irrispettoso di chiunque, egocentrico e pericoloso.

Elvira aveva subito le sue prepotenze per dieci anni: tristi nozze, senza figli, e pensare che questa fosse una fortuna diceva tutto. Eppure era rimasta al suo fianco, per un malinteso senso del dovere, forse.
Lui la scherniva e giustificava le angherie con la sua apatia e frigidità che lo provocavano.
 
Sbatti le uova con più foga, cogliona...
Ti tengo perché c'è posto.
Lei sapeva che andava a puttane e giocava forte a carte al suo club, puntando somme rilevanti. Aveva bisogno di soldi e Elvira non era buona neanche a fornirgliene un po'; non era stato un buon affare sposarla... una semplice maestrina. Perché l'aveva fatto? si chiedeva Bruno.
Forse il suo carattere gli ricordava sua madre, che resisteva al marito violento per lui, per il suo piccolo, ma l'aveva persa presto, e la sua strada era stata attraversata da cattivi maestri, che l'avevano trovato solo e sperduto.

A chi, in prigione, per primo, gli aveva chiesto per cos'era dentro, lui aveva risposto:
"Vieni, io mostro." 
L'aveva preso per il collo: "Dammi soldi! Tutti!"
Non c'era stato un secondo recluso curioso di sapere com'erano andate le cose.
Adesso Bruno è davanti a Federico. Giocano a scacchi: è stato il primo, quando l'altro si è ripreso e hanno parlato delle botte sbagliate di  giorni addietro, ad averne insegnato i rudimenti al secondo, che ora si è appassionato. C'è sempre gente a osservare le partite e ad imparare guardando, nelle ore in cui è a disposizione la sala comune.
Non si sente volare una mosca quando i due sono concentrati durante i punti nevralgici delle partite.
Quando Bruno muove il cavallo e lascia scoperta la regina, a Sergio il lungorecluso sfugge un fischio. Riceve un'occhiataccia che non prelude a niente di buono.


Elvira è davanti alla guardia carceraria che sta esaminando tutti gli effetti personali portati per il marito detenuto. Come moglie diligente, non manca di ritirare i panni sporchi e restituirglieli puliti, ma non va mai in sala visite.  I sentimenti antichi che aveva provato per Bruno, e le ultime doti di pazienza e tolleranza per lui sono sepolti con la bara della sorella.
Oggi, le manca un battito al cuore quando la guardia rovescia il contenuto del barattolo del tabacco su un giornale per poi frugarlo e annusarlo. Lei ha l’aria sicura e tranquilla di chi sta facendo, nonostante tutto ciò che è accaduto, il suo dovere di moglie. Ma non vuole vederlo, quello se lo vuole risparmiare. Chiede gentilmente se possono consegnarlo loro il “pacco”. Affermativa la risposta. Elvira esce, asciugandosi il sudore dal viso, nonostante la bassa temperatura.
Mischiata al  trinciato per pipa, la polvere del solfato di tallio, inodore e insapore, scurita, si mimetizza, come aveva appreso da un suo nuovo amico. Ah, se l’avesse conosciuto prima!
Inalare giorno dopo giorno quel composto lo dovrebbe portare rapidamente, ma non troppo, alla morte, dopo sintomi assolutamente non riconducibili d'emblée alla causa scatenante. Se non lo cerchi, il tallio, non lo trovi. E, anche trovato, è più facile pensare che lo abbia ingerito  con liquidi o cibo. Risalire al trinciato, magari finito? A chi l’ha portato? Praticamente impossibile.

Rincrescimenti? Due: che lui muoia senza sapere per mano di chi, né il perché. E senza soffrire come meriterebbe.

Bruno si gusta le prime boccate dall'amata pipa, che la diligente moglie gli ha fatto recapitare in carcere.
Devo rivalutare la mia cogliona... pensa seriamente, mentre sorride tra sé e sé.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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È una Zazza che spiazza. 
Linguaggio scurrile, ritmo serrato e una piccola lezione di chimica che può sempre tornare utile.  :)

In poche battute il dilemma etico è chiaro: chi è il cattivo, chi è il buono? 
Da un lato Bruno, bestiale carcerato che usa meglio le mani delle parole, uno stronzo fatto e finito (cit.); dall’altro Elvira, vittima di un matrimonio sbagliato, furiosa per la morte della sorella, di cui reputa responsabile il marito.    
Bruno è un personaggio gretto che, finché è a piede libero, maltratta la moglie, va a prostitute, la trascura. Di certo non un buon marito, né una brava persona. Ma il reato più grave di cui si macchia è una rapina con una pistola a salve: la sorella di Elvira muore di infarto, in fondo lui non ne è il diretto responsabile. 
L’elemento scatenante, la morte della sorella, è infondato. Elvira lo avvelena: un castigo sproporzionato al delitto. 
Bisognerebbe chiedere ad @Alberto Tosciri se, almeno secondo il codice Barbaricino, Elvira possa essere in qualche modo giustificata. Inoltre, il suddetto codice, sono convinto, vorrebbe saperne di più su questo “amico” che Elvira avrebbe voluto incontrare prima… :)    
Il tutto si chiude con una nota amara. Bruno fuma la sua pipa proprio mentre scopre un sentimento di affetto per la... “mogliona”.  

Spero di aver colto il senso del racconto che, ad ogni modo, mi è piaciuto tanto, soprattutto perché obbliga il lettore alla riflessione. Se, come temo, ho male interpretato qualche passaggio, ti chiedo ovviamente di aprirmi gli occhi. 
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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@NanoVetricida  :)
NanoVetricida wrote: È una Zazza che spiazza
E no!  :mazza:  . Sono Zaza (a meno che non cercassi la rima)  ;)


Ti ringrazio del tuo punto di vista, che scopre dei limiti (la sproporzione tra delitto e castigo) ma ricordiamo anche i dieci anni di vessazioni comiugali
che hanno formato il substrato che ha fomentato l'odio e la vendetta.
NanoVetricida wrote: saperne di più su questo “amico” che Elvira avrebbe voluto incontrare prima…
Hai ragione: anche questo "elemento" è scatenante.
NanoVetricida wrote: In poche battute il dilemma etico è chiaro: chi è il cattivo, chi è il buono? 
Bruno, individuo inviso a tutti, dopo avere vessato la moglie senza subire le giuste denunce, arrestato per rapina, sembra migliorare il suo carattere e la sua indole proprio in carcere, mentre Elvira, che ha sepolto la sua tolleranza e pazienza nella tomba della sorella, peggiora sino a farsi adultera e assassina.

Quello che vorrei capire, anche dal Maestro @Alberto Tosciri e da tutti voi che avete la cortesia di leggere, è se c'è una risposta alla domanda base che mi fai:

Il cattivo deve essere per forza l'antagonista e il buono il protagonista, o viceversa? O sono entrambi antagonisti? O sono entrambi protagonisti?  

O forse è sbagliato il criterio perché il bene e il male sono mischiati in ogni anima?

:grat:






 
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Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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ma ricordiamo anche i dieci anni di vessazioni comiugali che hanno formato il substrato che ha fomentato l'odio e la vendetta. wrote:
hehe, lo sapevo... 

quello che notavo è che tutti e tre i racconti presentano lo stesso problema o, se preferiamo, scatenano lo stesso dilemma morale: chi è il cattivo? 
È bello perché il tema dell'antagonista sta diventando una digressione sul bene e sul male, che è un tema molto più complesso, ma inevitabile ai fini di contrapporre un antagonista al protagonista  
Il cattivo deve essere per forza l'antagonista e il buono il protagonista, o viceversa? O sono entrambi antagonisti? O sono entrambi protagonisti? wrote:Il cattivo deve essere per forza l'antagonista e il buono il protagonista, o viceversa? O sono entrambi antagonisti? O sono entrambi protagonisti? Il cattivo deve essere per forza l'antagonista e il buono il protagonista, o viceversa? O sono entrambi antagonisti? O sono entrambi protagonisti? Il cattivo deve essere per forza l'antagonista e il buono il protagonista, o viceversa? O sono entrambi antagonisti? O sono entrambi protagonisti?
La domanda diventa materia di approfondimento nella discussione generale
Secondo me, il protagonista può essere buono o cattivo, l'antagonista dovrebbe servire a sviluppare la sua storia. 
In Arancia Meccanica Alex è cattivo, ed è il protagonista indiscusso, in Shining il protagonista è cattivo, in Anna Karenina (opinione personale :D ) la protagonista è cattiva, in Madame Bovary è difficile stabilire chi dei due sia il protagonista (in realtà il protagonista è Charles) e sono entrambi cattivi. 

Anche prima di scrivere il primo commento mi sono interrogato a lungo su chi fosse il protagonista nel tuo racconto e avevo capito che forse tu vedevi Elvira protagonista, eppure la storia inizia e finisce con Bruno, lui picchia i detenuti, fa rapine, gioca a scacchi anche senza Elvira, invece tutta la storia di Elvira ruota sempre intorno a Bruno. Non lo so, eh, però per me è più giusto dire che Bruno sia il protagonista. 

PS Zazza è solo una piccola licenza poetica che non mi permetterò mai più di fare 
Hai mai assaggiato le lumache?
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Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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Ciao @Poeta Zaza

Un testo in prosa senza brani poetici, questa volta…
Un argomento inusuale, ma tutto serve per fare esercizo anche in ambientazioni che non ci sono abituali nella nostra scrittura.
Qui esplori il degrado morale di un uomo, Bruno, e la lucida trasformazione di una donna umiliata, sua moglie Elvira, in giustiziera silenziosa. Ambientato in un carcere, spazio simbolico di colpa e punizione, e qui mi sarei dilungato in qualche descrizione ambientale interna, il posto è drammaticamente interessante, il tuo racconto intreccia il tema della violenza con quello della giustizia negata, rivelando come anche l'apparente remissività possa nascondere il seme della rivalsa. Le classiche acque chete che buttano giù i ponti.
Hai descritto Bruno come un vero miserabile, una figura torva, che incarna lo stereotipo del maschio tossico, ignorante, narcisista, violento in famiglia, arrogante anche nella detenzione, privo di introspezione. La sua brutalità è talmente manifesta da diventare però un tantino caricaturale. Sfoltirei qualcosa. Nonostante ciò, ha una sua "coerenza" e mostra addirittura anche tratti di leadership e carisma nel microcosmo carcerario. È un uomo che non cambia: la brutalità resta la sua lingua madre.
Il fatto che sia odioso come uomo, pur squalificandolo, dal punto di vista della storia lo fa allo stesso tempo emergere, se così si può dire. Intendo dire emergere all’interno del carcere; sono i tipi come lui che lì dentro stanno bene e hanno un certo potere.
Di contro la povera moglie Elvira che da vittima diventa una insospettabile carnefice invisibile. Il suo gesto alla fine del racconto è un vero colpo di scena. Dopo anni di abusi e soprusi, e la morte della sorella indirettamente causata dal marito, sceglie la strada della vendetta. Ma non lo fa in modo esplosivo, melodrammatico o impulsivo: lo fa freddamente, con calcolo scientifico, suggerendo che l'umiliazione prolungata non cancella la lucidità.
La sua vendetta è interessante in una persona in fondo “buona” come lei in quanto usando il veleno è molto sottile (il veleno è invisibile, come il rancore accumulato);
C’è la meticolosità nella preparazione del tallio, con cura e competenza.
Si prova in fondo comprensione. C’è un limite ai soprusi, alle violenze e alle umiliazioni e Bruno era all’apice di questi comportamenti. Il tanto da rovinare una vita.
Mi sono un po’ stupito per il linguaggio “volgarotto”, del tutto inusuale in una Signora del vecchio Piemonte come te, ma è una mia modesta opinione, un po’ bacchettona, anzi: codina, giusto per rievocare il solito mondo pregiacobino di quando si stava meglio quando non c’erano loro…
Hai usato Il tallio come una sorta di simbolismo: è un veleno invisibile, metafora perfetta della violenza domestica subita in silenzio, che lavora nel tempo, senza clamore. Ma anche della vendetta silenziosa e invisibile, insospettabile quanto letale.
La battuta finale di Bruno  “Devo rivalutare la mia  eccetera… “ mentre fuma beato la pipa con il tabacco avvelenato che lentamente lo ucciderà è l’apice dell’ironia tragica: il carnefice ignora che sta ringraziando il suo, o meglio la sua boia.
Bruno appare potente, ma è prigioniero dentro e fuori il carcere. Elvira, all’apparenza impotente, trova una via per esercitare un potere estremo.

Un tema che mi interessa è la Giustizia personale: quando la giustizia legale fallisce (il carcere non redime né guarisce), entra in gioco la giustizia privata, vendicativa, come unica forma di riscatto percepibile. Non è giusto, ma è così.
Abbiamo dei ruoli che si ribaltano: l’uomo domina apertamente, la donna subisce... finché la donna ribalta i ruoli con un gesto che è insieme vendetta e liberazione.
Il linguaggio è secco, diretto, con punte di realismo “sporco”, nel senso di duro. Tu come narratrice sembri distaccata, ma lasci filtrare ironia amara e una critica feroce alla mascolinità tossica e sbagliata di Bruno. Gli elementi di trama sono incastrati con cura (il passato familiare, il comportamento carcerario, il gesto finale), creando un ritratto coerente, crudo, senza redenzione né giustificazioni.

Per rispondere anche alla questione di @NanoVetricida se Elvira possa essere giustificata secondo il codice Barbaricino… per come so le cose, non volendo annoiare con la stesura di codici comportamentali antichissimi, non scritti e per di più sardi… secondo quel codice una donna non era legittimata a compiere vendetta, né era giustificata se lo faceva, perché la vendetta era considerata un dovere esclusivamente maschile, regolato da precise norme d’onore. (cito da uno studioso sardo, Antonio Pigliaru che negli anni Cinquanta redasse una relazione, un libro su questo codice. Lo conosceva molto bene).
La vendetta era un obbligo morale per l’uomo, nei confronti di un’offesa grave subita da sé o dalla propria famiglia (soprattutto in caso di omicidio).
Solo gli uomini adulti e "abili" alla vendetta avevano diritto di portarla avanti. I "non vendicabili" comprendevano:
donne, bambini, vecchi, disabili, religiosi. Una donna vendicatrice: condanna sociale in toto.
Una donna che avesse compiuto un atto di vendetta diretta violava il codice stesso (perché assumeva un ruolo che non le spettava), esponeva la sua famiglia alla vergogna o alla ritorsione (in quanto l’azione avrebbe potuto essere letta come “codarda” o “disordinata”), non veniva giustificata neanche in presenza di torti evidenti.
Il codice rifletteva una visione fortemente patriarcale, dove l’onore e la responsabilità pubblica erano appannaggio degli uomini.
In casi eccezionali, una donna poteva "ispirare" la vendetta o esortare i maschi della famiglia ad agire (per esempio fratelli o figli). Ciò era considerato legittimo o persino doveroso in certe situazioni, ma non doveva essere lei a eseguire l’atto.
Erano regole che oggi suonano assurde. Ma era così.
La vendetta era un atto rituale maschile, con norme precise. Una donna vendicatrice avrebbe rotto quelle regole, ponendosi al di fuori del codice, e sarebbe stata giudicata negativamente, anche in caso di torti subiti.
Ok. Scusate il pippone.


In quanto alla tua domanda, @Poeta Zaza,  a parte il fatto di avermi chiamato ”maestro” che accetto come simpatica battuta…
Per come la vedo io, un antagonista può essere sia buono che cattivo e il protagonista sia buono che cattivo.
Molto difficile fare separazioni nette, un uomo non è mai del tutto buono e talvolta nemmeno del tutto cattivo, anche se io amo credere a redenzioni o cose del genere. Chiaramente favole superate al tempo dei computer che se manca la luce si blocca il mondo. Oggi siamo davvero avanti.

Anche se, prendendo la storia religiosa: Saulo di Tarso era un cattivo, un antagonista dei cristiani, un vessatore, uno che li arrestava, che li faceva uccidere con il potere conferitogli dal Sinedrio e con l'autorità di Roma.
Poi, sulla via di Damasco… divenne cristiano a sua volta e si chiamò Paolo…
Una sintesi perfetta. Da cattivo antagonista a buono protagonista. O viceversa.
Non mi perderei in questioni di lana caprina. La storia è fatta di grandi voltafaccia, reali o di convenienza. Gli uomini non sono mai del tutto affidabili, a meno che non siano, o non diventino, dei santi.

Scusate la mia eccessiva prolissità.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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Alberto Tosciri wrote: Qui esplori il degrado morale di un uomo, Bruno, e la lucida trasformazione di una donna umiliata, sua moglie Elvira, in giustiziera silenziosa. Ambientato in un carcere, spazio simbolico di colpa e punizione, e qui mi sarei dilungato in qualche descrizione ambientale interna, il posto è drammaticamente interessante, il tuo racconto intreccia il tema della violenza con quello della giustizia negata, rivelando come anche l'apparente remissività possa nascondere il seme della rivalsa. Le classiche acque chete che buttano giù i ponti.
Hai centrato i due protagonisti/antagonisti, la loro presentazione.
Alberto Tosciri wrote: Il fatto che sia odioso come uomo, pur squalificandolo, dal punto di vista della storia lo fa allo stesso tempo emergere, se così si può dire. Intendo dire emergere all’interno del carcere; sono i tipi come lui che lì dentro stanno bene e hanno un certo potere.
Sì, fa sempre il dominante, però, dopo le botte iniziali a Federico, poi gli insegna a giocare a scacchi (una sorta di compensazione).
Alberto Tosciri wrote: Di contro la povera moglie Elvira che da vittima diventa una insospettabile carnefice invisibile. Il suo gesto alla fine del racconto è un vero colpo di scena. Dopo anni di abusi e soprusi, e la morte della sorella indirettamente causata dal marito, sceglie la strada della vendetta. Ma non lo fa in modo esplosivo, melodrammatico o impulsivo: lo fa freddamente, con calcolo scientifico, suggerendo che l'umiliazione prolungata non cancella la lucidità.
La sua vendetta è interessante in una persona in fondo “buona” come lei in quanto usando il veleno è molto sottile (il veleno è invisibile, come il rancore accumulato);
C’è la meticolosità nella preparazione del tallio, con cura e competenza.
Si prova in fondo comprensione. C’è un limite ai soprusi, alle violenze e alle umiliazioni e Bruno era all’apice di questi comportamenti. Il tanto da rovinare una vita.
Sinossi impeccabile, Alberto.  :)
Alberto Tosciri wrote: Mi sono un po’ stupito per il linguaggio “volgarotto”, del tutto inusuale in una Signora del vecchio Piemonte come te, ma è una mia modesta opinione, un po’ bacchettona, anzi: codina, giusto per rievocare il solito mondo pregiacobino di quando si stava meglio quando non c’erano loro…
Ecco, Alberto. Sono convinta di avere avuto la tua stessa, rigorosa, anche bacchettona, educazione morale e religiosa, che ha fatto di entrambi, comunque, due buoni cristiani e due brave persone.
A differenza tua, se affronto, nei miei scritti, un argomento in cui i personaggi "parlano" e pensano in modo scurrile, mi sembra giusto, per coerenza e rispetto loro, di non usare espressioni soft che, tra l'altro, non sarebbero utili all'intreccio della vicenda.
Alberto Tosciri wrote: Hai usato Il tallio come una sorta di simbolismo: è un veleno invisibile, metafora perfetta della violenza domestica subita in silenzio, che lavora nel tempo, senza clamore. Ma anche della vendetta silenziosa e invisibile, insospettabile quanto letale.
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Alberto Tosciri wrote: La battuta finale di Bruno  “Devo rivalutare la mia  eccetera… “ mentre fuma beato la pipa con il tabacco avvelenato che lentamente lo ucciderà è l’apice dell’ironia tragica: il carnefice ignora che sta ringraziando il suo, o meglio la sua boia.
(y)
Alberto Tosciri wrote: Bruno appare potente, ma è prigioniero dentro e fuori il carcere. Elvira, all’apparenza impotente, trova una via per esercitare un potere estremo.
Non lo so. Alla resa dei conti, il quinto comandamento infranto da Elvira non le toglierà il potere della redenzione?
Alberto Tosciri wrote: Il linguaggio è secco, diretto, con punte di realismo “sporco”, nel senso di duro. Tu come narratrice sembri distaccata, ma lasci filtrare ironia amara e una critica feroce alla mascolinità tossica e sbagliata di Bruno. Gli elementi di trama sono incastrati con cura (il passato familiare, il comportamento carcerario, il gesto finale), creando un ritratto coerente, crudo, senza redenzione né giustificazioni.
Ti ringrazio di cuore, @Alberto Tosciri per l'accurato commento e per le riflessioni che hai stimolato mentre le leggevo.  :libro:   <3
Last edited by Poeta Zaza on Sun Jun 15, 2025 9:50 pm, edited 1 time in total.
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Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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Alberto Tosciri wrote: In quanto alla tua domanda, @Poeta Zaza,  a parte il fatto di avermi chiamato ”maestro” che accetto come simpatica battuta…
Per come la vedo io, un antagonista può essere sia buono che cattivo e il protagonista sia buono che cattivo.
Molto difficile fare separazioni nette, un uomo non è mai del tutto buono e talvolta nemmeno del tutto cattivo, anche se io amo credere a redenzioni o cose del genere. Chiaramente favole superate al tempo dei computer che se manca la luce si blocca il mondo. Oggi siamo davvero avanti.

Anche se, prendendo la storia religiosa: Saulo di Tarso era un cattivo, un antagonista dei cristiani, un vessatore, uno che li arrestava, che li faceva uccidere con il potere conferitogli dal Sinedrio e con l'autorità di Roma.
Poi, sulla via di Damasco… divenne cristiano a sua volta e si chiamò Paolo…
Una sintesi perfetta. Da cattivo antagonista a buono protagonista. O viceversa.
Non mi perderei in questioni di lana caprina. La storia è fatta di grandi voltafaccia, reali o di convenienza. Gli uomini non sono mai del tutto affidabili, a meno che non siano, o non diventino, dei santi.
Anche di queste osservazioni, ti ringrazio, Alberto!  :sss:
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Re: [Lab17] Fermare l'ombra

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Ciao Mariangela. 
Ho letto con piacere la tua prova per il contest. L'argomento del laboratorio è molto interessante e mi piacerebbe scavare più in fondo. Ho trovato, nel tuo racconto, alcuni concetti che vorrei analizzare insieme a te, dimmi poi cosa ne pensi.

Il racconto ha un’impostazione potente e alcuni momenti narrativi di grande efficacia, ma ci sono alcuni aspetti che forse varrebbe la pena riconsiderare, specialmente in relazione al tema del contest: l’antagonista.

I personaggi:
Bruno: una maschera perfetta del male ordinario, ma che conserva giusto quel filo di umanità – nei gesti con Federico, nel talento scacchistico – per renderlo vero, tridimensionale.
Elvira: parte in apparenza come figura minore, ma assume un peso devastante. Il momento in cui esce dalla prigione per tornare a casa è un climax sottile e devastante.
Federico e gli altri detenuti: funzioni corali ben gestite. Nessuno ruba la scena, ma tutti rendono credibile l’universo carcerario.


La figura di Bruno è trattata con molta coerenza: è repellente, brutale, privo di empatia. Ma proprio per questo, rischia, a tratti, di risultare monolitico. È brutto e cattivo punto e basta, senza e senza ma. 
Però considera che non è tanto l’essere negativo a rendere efficace un antagonista, se volevi che l'antagonista fosse Bruno, quanto la sua complessità: serve qualcosa che ci destabilizzi, che ci faccia vacillare, anche solo per un attimo, nella nostra condanna. Ci aspetteremmo magari un momento di dubbio, un gesto involontariamente umano, una contraddizione interna che faccia pensare: “È orribile, ma come mai è così crudele?” 

Io non vedo un arco narrativo di cambiamento, lui è fermo, è uno dei quei cattivi assoluti che sarebbe meglio rendere più carnali.

La trasformazione di Elvira da vittima a vendicatrice è un colpo di scena formidabile, ma anche qui l’andamento narrativo sembra quasi troppo trattenuto: il suo cambiamento interiore resta fuori campo. Il rischio è che l’evento finale risulti più sorprendente che motivato. 
E se invece il lettore avesse potuto intuire lentamente un cambiamento nel suo sguardo, nei suoi gesti, nella sua presenza in scena, il colpo finale sarebbe stato ancora più devastante. 

Elvira, io non la vedo cambiare in seguito a un percorso. Lei, cosi paziente, all'improvviso trova il modo per avvelenare il marito. 

Non sappiamo nulla di questo amico che la aiuta, la partita a scacchi, seppur simbolicamente, metafora della fine che lui non vede arrivare, appare e scompare senza seguito, come il compagno di cella malmenato. Queste parti hanno bisogno di contesto, di elaborazione altrimenti sembrano inserite come un suggerimento per farci capire che Bruno è cattivo. 
Dal punto di vista della stesura, alcuni passaggi richiedono una maggiore fluidità narrativa. I cambi di punto di vista, ad esempio, andrebbero accompagnati da segnali più netti, per non disorientare. 
Alla fine c’è una narrativa forte, una tensione  che affascina. Ma per raggiungere il massimo potenziale, l’antagonista — e il suo riflesso speculare — hanno bisogno di più sfumature, più ombre, più inquietudine morale.

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