[Lab 16] Estraniazione

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Non ricordo di averlo scelto.
E non ricordo se ho avuto scelta.

Non sono buoni pensieri, questi. Non va bene.
Qui al buio, in questo luogo straniante, dovrei avere la mente sgombra. Oh, sì, sono cose che so bene, e so anche come svuotare la mente. Ma oggi, qui, nella mia testa che vorrei fosse vuota si è insinuato un pensiero, che non riesco a scacciare.
Credo che quel pensiero abbia una vita sua, è lì per uno scopo, ma non so quale.

Dev’essere che invecchio, come diceva Tatiana. Chissà che fine ha fatto? Invecchio e mi pongo problemi, mentre dovrei essere più… automatico? Freddo? Estraniato, ecco! Dovrei essere estraniato. Ne ho ammazzati tanti, con quella beata, inconsapevole, dolce e apatica estraneità.
E invece oggi ho questo pensiero nella testa. Ma neanche un pensiero, perché ancora non ho capito che forma abbia. Non è ancora un pensiero chiaro, non è che una vaga sensazione… Sta lì nel mezzo, sembra promettere di prendere forma da un momento all’altro ma resiste, dissimula, sembra ritrarsi se mi concentro e riaffiora se mi rilasso.

Non ricordo più com’è cominciata. Ero militare. Poi nei servizi. Poi azioni sotto copertura, e semplicemente ho continuato ad ammazzare gente senza altre scuse che un contratto che mi verrà pagato; mi faccio pagare per ammazzare gente che non conosco, che non so perché merita di morire. E di cui non mi frega un cazzo. Non è questo il pensiero che mi si cela, non capitemi male. Non ho nessunissimo rimorso o senso di colpa. Credo si chiami anaffettività amorale, è una sorta di patologia, credo. Perché poi patologia? Se non fossi così non potrei fare questo mestiere e non saprei che altro fare.
Non che ci abbia mai provato…

No.
No, dico, non ricordo come mi sono sentito, non ricordo se ho provato piacere, se ho provato schifo, se ho provato nausea… Molti provano nausea le prime volte. Dicono. Io ho sempre ammazzato gente. Prima per la patria, adesso per qualcuno che probabilmente non sa neppure a quale patria appartenere… Nessuna nausea, comunque. Di questo sono sicuro. E nessun piacere, non sono un sadico. Non provo niente. Ecco, mi piace questo: non provare niente.

Aspetto che la disgraziata arrivi a casa. Nel palazzo di fronte, un piano inferiore così ho la vista migliore e il campo di tiro sgombero. Camera da letto con ampia porta finestra balconata. Un bersaglio facilissimo. A chi avrà dato fastidio? Un’amante diventata troppo possessiva? Una spia industriale da fermare? Non so niente. Forse è una killer come me e custodisce troppi segreti. E devo eliminarla come qualcuno, prima o poi, eliminerà me.

Estraniazione.
Mi pare la parola giusta. Estraniazione. Anaffettività. Amoralità.
E questo rovello.

Non riesco proprio a svuotare la mente, e fra pochi minuti il mio bersaglio dovrebbe rientrare a casa, passare in camera, accendere la luce, e ricevere il mio .308 in testa.
Ma non riesco a svuotare la mente.
Estraniazione…

Forse ho trovato il punto… Nel buio della mia camera, con la finestra appena socchiusa, una tenda mossa dalla brezza mi ha sfiorato la guancia. E credo di avere capito. Ho avuto un flash subitaneo, una profondissima sensazione di avere vissuto lo stesso attimo, anni fa. Come una lama di luce, per un istante, profonda e folgorante. Io appostato a un’altra finestra e una tenda che mi sfiorava la guancia. E pochi istanti dopo un grassone asiatico aveva un buco nella testa. Non ero qui a Milano ma in angolo assai remoto del pianeta. Ricordo benissimo dove, ho una memoria di ferro, ma non vale la pena nominarlo. Che importa se era Tokyo, Seattle, Nairobi… Che importa, ora, essere a Milano? Io sono quello che si affaccia alle finestre nella notte e regala buchi nella testa a gente che non conosce. Io sono sempre, e sempre, e sempre, in nessun luogo. Prendo aerei, dormo in hotel, mangio panini, mi faccio donne occasionali, uccido persone, prendo aerei. E sono sempre nello stesso luogo, che è nessun luogo. Anni fa non ero qui, l’anno scorso non ero qui, ieri non ero qui come non lo sono ora. Non qui. Io sono sempre in nessun luogo, in nessun giorno. Io sono quello estraniato che prende aerei e ammazza gente. Sono bravo in questo e, sì, ora lo capisco, sono bravo perché non esisto, non ci sono, non vivo.
Non ho amici se non le hostess. Non parlo con nessuno se non con i barman. Non faccio l’amore se non con le puttane. Brevi e insulsi momenti fra un colpo di .308 e l’altro.
Fra un po’ ficcherò un’altro proiettile nella testa di questa povera stronza e poi un altro aereo, un’altra puttana, un altro hotel, un altro giro.
E io sarò sempre in nessun posto, a vivere nessuna vita.
E domani, e domani, non sarà un altro giorno, ma sempre questo. Sempre questo.

Ecco che l’informe pensiero è diventato un concetto chiaro. Ecco la catastrofe che cerca di cambiarmi per sempre.
Chi sono io? L’uomo o il proiettile? Il mandante o il dito sul grilletto? Io sono le circostanze, forse… Io sono l’eterogenesi dei fini, la Nemesi, l’occasione, il caos, la volontà eterodiretta, l’essenza del Male, e lo dico senza paura, o pena, o emozione. Il Male, so con terribile sicurezza, non esiste, e la sua essenza è il nulla, e io sono quell’essenza.
Ecco, finalmente, l’estraniazione.
Il pensiero si è disvelato, ma la mia estraniazione l’ha ricacciato.

È arrivato un taxi, qui sotto. Scende una donna. È lei. A occhio e croce ha ancora cinque minuti di vita: deve aprire il portone, salire, entrare in casa, buttare le chiavi nel vassoietto che probabilmente avrà lì, a portata di mano, poi… Sicuramente si toglierà le scarpe per sentirsi a proprio agio, gli orecchini che le indolenziscono le orecchie, entrerà nella sala, accenderà la luce, e un attimo dopo sarà cancellata, eliminata, distrutta nella sua quantità di ricordi, relazioni, emozioni, cosa fatte, viste, conosciute.
Io controllo un’ultima volta che il fucile sia pronto, l’appoggio sul treppiedi solido, la posizione supina confortevole; e attendo, estraniato.

Lei è entrata. Manca poco.

Dopo che il mio proiettile le avrà attraversato la testa io scomparirò con velocità e precisione. La via di fuga è pronta, verificata, sicura. Lo sparo farà un rumore minimo, non scopriranno il corpo prima di diverse ore. Io sarò già in un altro paese, anzi: in un altro continente.
Mentre attendo penso a cosa farò domani: mi annoierò. Sarò in un appartamento confortevole ma non sfarzoso, facendo zapping fra i mille canali televisivi. Il pagamento sarà stato effettuato e io starò in attesa dello squillo del telefono, che mi proporrà un nuovo incarico.
Uguale a questo. In un luogo simile a questo. Con una vittima altrettanto anonima e per me insignificante.
In questo spazio vuoto, in questo tempo immobile…

Ecco, la luce nell’appartamento di fronte si è accesa.
BAM!

Re: [Lab 16] Estraniazione

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bezzicante wrote: Aspetto che la disgraziata arrivi a casa. Nel palazzo di fronte, un piano inferiore così ho la vista migliore e il campo di tiro sgombero. Camera da letto con ampia porta finestra balconata. Un bersaglio facilissimo. A chi avrà dato fastidio? Un’amante diventata troppo possessiva?
Perché non pensare a un amante diventato troppo possessivo? Perché pensare all'ipotesi meno frequente?
bezzicante wrote: Fra un po’ ficcherò un’altro un altro  proiettile nella testa di questa povera stronza e poi un altro aereo, un’altra puttana, un altro hotel, un altro giro.
togliere l'apostrofo
bezzicante wrote: Dopo che il mio proiettile le avrà attraversato la testa virgola io scomparirò con velocità e precisione.
Unico difetto in un testo con la punteggiatura praticamente perfetta.
bezzicante wrote: Ecco, la luce nell’appartamento di fronte si è accesa.
BAM!
Ma la 308 non aveva il silenziatore? Il BAM non è segnale di sparo forte?  Mi sembra l'unico neo del racconto.

Bravo @bezzicante   :)

Hai un modo di scrivere da grande autore: uno stile ricco. articolato, descrittivo di ambienti e di caratteri, indagatore di circostanze e scelte di vita.
Ecco, quello che non trovo particolarmente riuscito è la descrizione del conflitto interiore del protagonista, che mi pare adagiato nella sua "estraniazione", senza volontà di lottarci contro. Di fare una scelta che lo cambi. Lui vuole restare così.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Grazie.
1) L'amante troppo possessiva è lei, nell'ipotesi che sta facendo il killer, che potrebbe essere diventata ingombrante per il potente (?) uomo amato.
2) "Un'altro" è errore intollerabile. Come Lafkadio Wluiki mi infliggerò terribili punizioni corporali per espiare.
3) A parte che il "Bam" ha valore simbolico, no, non c'è silenziatore. Ho riletto per sicurezza, non parlo di silenziatore. Anche se nella cinematografia dei killer il silenziatore è d'obbligo, l'arnese riduce la velocità di impatto e la linearità di tiro. Si adatta più ad armi piccole a una mano per spari ravvicinati. Ovviamente senza silenziatore il fucile fa un discreto rumore, che forse si confonde coi rumore della città, forse no, ma lui ha una via di fuga sicura.

Veniamo alla cosa più importante, il conflitto interiore. C'è veramente? L'uomo - come ammette a se stesso - è anafettivo e amorale; quella che emerge in lui, nell'attesa della vittima, è la consapevolezza dell'estraniazione, non il dramma di un conflitto morale. Si sente vuoto, e quella vuotezza emerge, nella sua mente, in maniera asettica. Il concetto fondamentale non è 'dramma' ma - appunto - estraniazione. Il senso del conflitto, quindi, per come io lo intendevo e al di là della riuscita, non è affatto drammatico in maniera palese ma piatto, puramente descrittivo, oggetto di una dissezione fredda, da anatomopatologo. Dal mio punto di vista, e nelle mie intenzioni, questo atteggiamento è doppiamente drammatico; è mostruoso, è inaccettabile, e il conflitto emerge in altre forme, innanzitutto fra la coscienza etica del lettore e quella del protagonista. Perché in fondo, molto in fondo, quel buco nero di mancanza di valori "umani" siamo un po' tutti noi, e guardare nel buco nero mette a disagio.

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Leggere questa storia provoca un certo disagio @bezzicante. Trovo molto molto lucido questo dialogo interiore farcito di termini medici che mi fanno immaginare che quest’uomo abbia avuto a che fare con periodi di analisi. Per conoscere certe dinamiche del proprio comportamento viol dire averne preso piena coscienza e aver fatto appunto un percorso di analisi. E mi viene spontaneo chiedermi perché questo freddo mercenario di morte abbia avuto necessità di accedere a certe terapie. Fine del dubbio.
Il testo è indubbiamente accattivante e fa calare il lettore nella storia e immaginare che il famoso “rovello” sia magari una sorta di desiderio latente di cambiamento. E invece arriva la doccia fredda. Il protagonista non ha alcun desiderio di cambiare, anzi quasi emerge la paura che il “rovello” (quanto mi è piaciuta questa parola voglia portarlo proprio lì, a riflettere su una certa inutilità della propria vita. Il che si tradurrebbe in una vera catastrofe.
Solo un pensiero fugace che il protagonista è allenato a superare estraniandosi dal contesto. Un uomo senza vita, senza città, senza sentimenti.
Un grilletto, un numero di conto corrente. Terribile. 
Un personaggio che non ha nulla di eroico ma che, nella sostanza, non può lasciare indifferenti. 

Re: [Lab 16] Estraniazione

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@bezzicante ciao. Sono di passaggio e con qualche minuto fregato alle cose che ho ancora da fare. Io purtroppo sono stato impossibilitato a partecipare, troppi impegni, ma comunque, un commentino si può lasciare. Procedo.


Al netto dei commenti che hai già ricevuto, io ho trovato che hai completamente glissato il compito che avevi, ossia mettere nella storia quei elementi che la contraddistinguono. Tra questi vi è "il conflitto", parte importantissima. Questo muove la storia che inizia con una scena di "presentazione", ma che prosegue con il "confronto", terminando con la "soluzione". Questo avviene perché "capita qualcosa" al protagonista. La tua storia non ha queste fasi. Lui racconta di sé e finisce raccontando di sé. Nessun fatto, nessun confronto interno ne esterno. Stiamo attenti! Ciao 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Ciao @bestseller2020, mi dispiace molto. Io vedo un racconto pienamente centrato sul tema del conflitto (interiore) e una evidente elaborazione (anche se può non piacere, anche se il risultato non è tipico. Poldo, nella sua presentazione nel Topic ufficiale, parla infatti di raggiungimento o fallimento). Resta in forse il mutamento - ultimo punto indicato da Poldo - ma solo a una lettura superficiale; l'elaborazione del killer è una frattura nella sua asettica amoralità, e come la falla nella diga lascia intendere la possibilità di una frana interiore.
Ora: io vedo le cose che ho detto e le interpreto come assolutamente coerenti col compito assegnato in questo Labocontest; tu no. Che fare? Come fate voi costruttori di mondi? Io sono nuovo e non lo so. Tu replichi, io controreplico e così via? Ce la giochiamo a dadi?  :D

Re: [Lab 16] Estraniazione

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@bezzicante ciao.
bezzicante wrote: Ce la giochiamo a dadi?
Sicuramente perdo! A parte gli scherzi, il tuo è un lunghissimo incipit, troppo piatto per distinguere qualsiasi tipo di conflitto. Tu hai puntato su quello interiore, ma questo non vuol dire che potevi evitare quello esteriore, ossia i fatti che fanno l'ago della bilancia. Ciao.....
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Bravo, @bezzicante.  
Racconto intelligente, noir senza autocompiacimenti, scrittura che scivola come seta, si arriva alla fine e un po’ dispiace.
Killer ch’è killer e nient’altro, non certo per inadeguatezza, quanto per struttura genetica e dunque godibilissimo eroe negativo, determinato come da regolamento, importunato dalle interferenze della memoria, sfiora il disagio identitario come una pozza di pioggia sull’asfalto, lo riconosce, lo archivia e riprende il suo cammino senza movimento.
Ottimo il rovesciamento delle consuetudini narrative, che usano i percorsi interiori come occasioni di crescita, e qui invece servono a tracciare un cerchio per chiuderlo esattamente dov’era cominciato.
Sviluppo interessante della consegna che evoca il conflitto solo per suscitarlo nel lettore, inevitabilmente catturato dal luciferino raziocinio del protagonista e dunque indotto a una malsana empatia.
Piccolo gioiello di cinismo esistenziale, eviterei per questo espressioni emotive come rovellocatastrofe o il BAM della chiusa.
Bello. Piaciuto molto  (y)
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Re: [Lab 16] Estraniazione

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aladicorvo wrote: eviterei per questo espressioni emotive come rovellocatastrofe o il BAM della chiusa.
Grazie per il giudizio positivo. Mediterò su 'rovello' e 'catastrofe', comprendendo la tua segnalazione. Invece, per 'Bam': brutto? Sì, bruttino, ma voleva avere un significato più simbolico che fattuale. Il punto è che il racconto deve finire col killer che spara, e non mi piaceva scrivere "L'uomo preme il grilletto" o qualcosa del genere. Descrivere l'azione - a mio avviso - farebbe cadere il climax creato fin lì. Il 'Bam' - così mi pareva - chiude onomatopeicamente il brano ricreando, nella mente del lettore, il fragore che funge da suggello alla storia; 'bang' mi pareva fumettistico, ed ecco il bam. Apprezzerò molto un consiglio entro la cornice narrativa che ti ho descritto.

Re: [Lab 16] Estraniazione

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@Monica wrote: Per conoscere certe dinamiche del proprio comportamento viol dire averne preso piena coscienza e aver fatto appunto un percorso di analisi. E mi viene spontaneo chiedermi perché questo freddo mercenario di morte abbia avuto necessità di accedere a certe terapie.
Hai centrato lo spirito del racconto con aggettivi quali 'terribile', 'disagio' etc. Volevo creare questo senso di difficoltà, nel lettore, a empatire con l'eroe (negativo) e, più ancora, a fare i conti con la normalità del male. Sarebbe un discorso lungo, in parte diversi commentatori, almeno al momento, l'hanno capito ed è inutile (e sbagliato) "spiegare" il proprio racconto. 
Per quanto riguarda l'analisi: chi lo sa? Forse ha ricevuto un trattamento obbligatorio in gioventù; forse ha compreso quanto diagnosticavano gli psicologi dei servizi nei quali ha militato, essendo un uomo - così io immagino - di intelligenza non comune, che sa osservare, analizzare, comprendere. Ma quello che lui fa è osservare la propria amoralità, anaffettività, il proprio cinismo, con lo stesso distacco col quale osservi le viscere di un rettile spiaccicato sulla strada; lui si vede, si riconosce, sa abbozzare una diagnosi, ma la cosa viene fatta con freddezza, in maniera - appunto - estraniata.
Grazie per il commento.

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Concordo: il racconto è strutturato come un flusso di pensiero, quindi l’uomo preme il grilletto non funziona perché contraddice il POV.
Piuttosto, riprenderei la scena che si era prefigurata e che ora ha davanti agli occhi. 
Non una descrizione, bensì una successione di fotogrammi. Asciutta, quasi chirurgica. Il pensiero diventa realtà, riprende il controllo dell’estraniazione, agisce, il cerchio si chiude.
Non c’è climax. La storia segue una linea perfettamente orizzontale, elegantissima. Lo sparo non è un colpo di scena, è il buio che si fa in sala quando la rappresentazione finisce.
Se ti piacesse aggiungere la spezia simbolica, più che nei fumetti, cercherei la componente di sfida che c'è nello sport:
 
Luce. È in sala. Cerca il telecomando, accende la tv, si ferma. Mi piacciono i bersagli fissi.
Mi piace quando vanno giù come birilli.
Strike.
Mi piacciono i lavori puliti.
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Re: [Lab 16] Estraniazione

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@bezzicante ciao.
bezzicante wrote: Ma quello che lui fa è osservare la propria amoralità, anaffettività, il proprio cinismo, con lo stesso distacco col quale osservi le viscere di un rettile spiaccicato sulla strada; lui si vede, si riconosce, sa abbozzare una diagnosi, ma la cosa viene fatta con freddezza, in maniera - appunto - estraniata.
Appunto: estraniata. Estraniarsi vuol dire non entrare nel merito delle proprie azioni, tantomeno, esporsi al confronto/conflitto. Per questo ti ho fatto notare che non hai affrontato l'argomento che dovevi, invece, valorizzare. Ne approfitto per segnalarti che il tuo killer è troppo stereotipato, come tu dici spesso, implausibile. Qualche killer l'ho conosciuto, e nella realtà non hanno bisogno di disprezzare le loro vittime, e spesso fanno i conti con la loro coscienza. Ciao.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab 16] Estraniazione

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bezzicante wrote: Non ricordo più com’è cominciata. Ero militare. Poi nei servizi. Poi azioni sotto copertura, e semplicemente ho continuato ad ammazzare gente senza altre scuse che un contratto che mi verrà pagato; mi faccio pagare per ammazzare gente che non conosco, che non so perché merita di morire. E di cui non mi frega un cazzo. Non è questo il pensiero che mi si cela, non capitemi male. Non ho nessunissimo rimorso o senso di colpa. Credo si chiami anaffettività amorale, è una sorta di patologia, credo. Perché poi patologia? Se non fossi così non potrei fare questo mestiere e non saprei che altro fare.
Questo mi sembra un passaggio importante. Non mi sorprende che non ci sia molta differenza tra ammazzare gente da soldato o sotto pagamento. Anzi, un soldato eviterebbe volentieri di ammazzare qualcuno che magari di quella guerra non condivide nulla. Ma gli ordini dall'alto lo pongono in una situazione che non può rifiutare spingendolo verso una giustificazione per la libertà contro l'oppressore. Per cui diventa un killer "affetto" anche lui da “anaffetività amorale”.
Sappiamo che l'esperienza traumatica della guerra porta traumi ineluttabili in chi l'ha vissuta, per non parlare delle vittime o dei danni “collaterali” di morte e distruzione di bambini e famiglie, conducendo spesso alla follia i soldati che vi hanno partecipato. Le altre alternative sono: o si diventa pacifisti, o si prosegue sulla strada del tuo protagonista.



Di questo racconto @bezzicante ho apprezzato soprattutto la scrittura. Il monologo interiore con cui il protagonista insiste nel chiedersi in modo perpetuo e ipnotico sulla sua estraniazione, amoralità, asetticità. Il messaggio rimbalza subito al lettore che alla fine potrebbe anch'egli viverla da estraniato. Sembra quasi che la mancanza di emozione alla fine coinvolga anche chi legge.
Citi la coscienza etica del lettore in contrasto, conflitto, con quella del protagonista. Ma secondo me non emerge molto perché il protagonista è freddo, glaciale, amorale e così, mostruosamente, lo diventa anche il lettore.
In fondo paradossalmente è più coerente uccidere per soldi in un mondo in cui il denaro assume il maggior valore e motivo per stare al mondo. Oggi si uccide per un sorriso fatto alla fidanzata di un altro, per un parcheggio, per difendere qualcuno da un insulto, perché si è gelosi. Per salvarne uno se ne ammazzano cento. Il valore verso la vita è molto più drammatico e calpestato di quello descritto dal protagonista.
Mi sarebbe piaciuto che la storia avesse avuto risvolti da mettere in crisi l'amoralità del killer freddo e senza rimorsi, e di conseguenza anche quella del lettore.
Cosa sarebbe successo se avesse avuto il compito di far saltare la testa a una mamma mentre leggeva la fiaba della buonanotte al suo piccolo, oppure a un un disabile con la sindrome di down o uno spastico tetraplegico in carrozzina, oppure a un bambino. Forse avrebbe avuto uno scrupolo di coscienza? Sarebbe andato in conflitto con il lettore?
Scusa la provocazione ma in effetti come mi sembra che evidenzi, siamo tutti mostruosamente disumani perché anche quello che ho appena citato succede tutti i giorni e noi non ci facciamo più caso. La nostra indifferenza è proporzionale alla frequenza degli avvenimenti.
Date queste considerazioni il conflitto interiore che poni diventa un po' debole perché in un certo senso l'etica del lettore non emerge e sembra quasi in sintonia con quella del protagonista.
Mi hai fatto tornare alla mente una scena terrificante che periodicamente mi viene a bussare.
Tempo fa su un quotidiano online sono incappato in un video (mannaggia a me che l'ho visto) in cui veniva ripresa in diretta da una camera sull'emetto un assalto da parte delle forze speciali ucraine a una trincea russa. Ebbene, gli ucraini si sono infilati all'interno senza essere visti e con dei fucili silenziati facevano cadere come birilli tutti quelli che incontravano assolutamente ignari di quello che stava succedendo, presi dalle loro faccende La cam seguiva le curve del camminamento della trincea e quando incontrava l'omino, lo abbatteva come un perfetto videogioco. Il titolo del tuo racconto cade a pennello. Faccio ancora molto fatica a togliermi quelle immagini dalla testa.
Il tuo racconto apre molte porte e riflessioni, come è successo a me. Un dato apprezzabile.
Ottima scrittura.
A rileggerti.

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Un granello di sabbia nell'ostrica.
Cosí inizia questo racconto inquietante come tutti i tuoi racconti e come gli altri scritto bene che é un piacere leggere.
È liscio come uno specchio che riflette il nulla, ma a ben guardare l'argento ai bordi si sta scrostando per lasciare un minimo spiraglio di trasprenza.
La trama é semplice e lineare, priva di soprese, tutto lo spazio riservato al personaggio che segue le proprie involuzioni senza lasciarsi distrarre dl suo obiettivo.
Un po' una casalinga che si sta chiedendo che se ne fa di quella vita, senza smettere di pulire gli angoli del salotto perché quella é la procedura.
Tutto, l'atmosfera, le parole, la costruzione delle frasi porta a sentirsi estraniati, mi ha fatto un po' l'effetto della nausea di Sartre.
Non c'è riscatto e nemmeno speranza, e i pensieri, i migliori, scivolano inerti senza lasciare traccia, nemmeno la bava di una lumaca, perché rientrare nella vita, sarebbe morire istantaneamente.
Piaciuto davvero molto.

Re: [Lab 16] Estraniazione

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Non so se posso intromettermi.  Più che estraniazione, che poi il termine rievoca la tecnica letteraria dello straniamento messa a punto da Giovanni Verga con la novella Rosso Malpelo (e che qui direi non c'entra per niente), direi alienazione. Il protagonista si dilunga in un lungo monologo interiore dove passa in rassegna i fatti saliente della sua vita affinché il lettore possa farsi un'idea e giudicarlo. Un po' di psicologismo, l'anaffettività, un po' di moralismo, perché non ho rimorsi o sensi di colpa, ma in definitiva il protagonista pare contento così, non lo fa per i soldi, ma perché gli piace farlo. Da come hai impostato il personaggio mi pare che non vi sia alcun conflitto, né esterno né interno. Anzi, l'impressione è che il tuo protagonista abbia raggiunto una sorta di equilibrio e in definitiva sia in pace con se stesso e con il resto del mondo. 
A mio avviso, i psicologismi sono pericolosi in letteratura come nella vita. Perché definiscono (che poi è quello che sono chiamati a fare), ma definendo tolgono ai personaggi e al lettore che li giudica ogni umanità, li appiattiscono sull'idealmodello della definizione scientifica.  
L'Odisseo omerico ha trascorso tutta la sua vita in guerra a uccidere, tagliare gole, seminare morte, incendiare città, ridurre in schiavitù donne vecchi e bambini. Persino nella sua casa compie efferati omicidi e non ha un briciolo di rimorso. Sembra non provare affetto per il figlio e la moglie o per i compagni morti. Era anaffettivo? No, in Odisseo tu troverai l'intera gamma dei sentimenti umani. Nessuno è più umano di Odisseo. 

Re: [Lab 16] Estraniazione

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@Gaetano Intile mi sembra in linea con quello che ho affermato io.. Ma la  domanda che mi sono posto è come è stato potuto ritenere assolto quello che invece doveva essere messo in evidenza. Non c'era conflitto neanche nella storia, inteso come ago della bilancia che tutto muove e sbilancia creando la dinamica del racconto. Bravo, onesto e costruttivo. Ciao.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

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