Pacco n 17. L'incipit.
Mancavano pochi minuti all’inizio della messa di mezzanotte. Il giovane diacono aveva già indossato la dalmatica e i chierichetti non stavano nella pelle per l’eccitazione; solo Simone, il più piccolo di tutti, soffocava a stento gli sbadigli. Don Luigi provò un brivido improvviso. Cosa sarebbe accaduto se avessero scoperto che non era un vero sacerdote?
Zahra.
Era stata prelevata per strada da un gruppo di uomini armati e rinchiusa in un seminterrato buio e umido. Era il giorno di yalda, la prima notte del mese di jadi, solstizio d’inverno a kabul,
Quanto aveva pianto durante i tre giorni di prigionia, pensando a cosa gli sarebbe successo se le cose non fossero andate come volevano i suoi rapitori. Angosciata, infreddolita, impaurita dal buio della cella, cercava conforto accarezzandosi il grembo gravido ed esausto dei giorni d’attesa, nell’ascolto degli spostamenti del figlio oramai prossimo alla nascita: l’unico segnale di vita che l’accompagnava da giorni.
Don Luigi.
Si era seduto sullo scranno per la stanchezza; si passava il fazzoletto per asciugare il sudore freddo sulla fronte. Oramai vestito dei paramenti appariva preoccupato agli occhi del diacono che non capiva perché lui aveva rifiutato il suo aiuto nell'indossare gli abiti sacri. Poi don Luigi guardò l’orologio sulla parete e si alzò: si era fatta mezzanotte. Fece cenno al diacono di organizzare il trasporto delle candele accese da parte dei chierichetti, e quando questi furono in fila, pronti per seguirlo, lui prese il turibolo dell’incenso fumante, e lasciò la statua del Bambinello alle cure del diacono.
Cappella cattolica all’interno dell’Ambasciata d’Italia a Kabul.
Vi era un silenzio impenetrabile tra i pochi banchi occupati dai fedeli. Aleggiava un qualcosa di sinistro, di angosciosa attesa per quella che sarebbe stata la prima vigilia di Natale dopo il ritorno dei talebani al governo del paese e la fuga precipitosa dei soldati americani. Per la comunità cristiana si preannunciavano tempi duri di repressione e l’imposizione della religione di Stato.
Asad Hazrat.
Stava seduto al primo banco. Vestito in giacca e cravatta, nascondeva sotto gli occhiali scuri il suo attento movimento degli occhi nel scrutare ogni singolo fedele che attendeva l’inizio della messa. L’ingresso del piccolo Simone a capo della fila, con in mano la piccola candela, accese l’attenzione del pubblico. Asad si rizzò e diede l’ultimo sguardo a chi, dietro di lui, attendeva istruzioni. Tutti fecero l’ingresso nella piccola saletta, i chierichetti presero ordinatamente posto sui lati, mentre il diacono e don Luigi salirono sulla pedana dell’altare. Il diacono aprì il messale sotto gli occhi di don Luigi che, come pietrificato, a capo chino, indugiava. Poi, questo alzò gli occhi, allungò la vista verso i fedeli, e disse con voce rotta dall’ansia “perdonatemi tutti per quello che sto per fare; che Dio ci assista e ci accolga tra i suoi figli”. Detto questo, mise le mani sotto i paramenti, come se cercasse qualcosa: chiuse gli occhi e premette il congegno. Fu un lungo e interminabile secondo.
Don Luigi riaprì gli occhi: non era successo nulla, l’ordigno non era esploso, era ancora vivo. Preso dal terrore tentò a più riprese di far scattare il congegno, ma senza risultato. A questo punto, si liberò del paramento mettendo bene in vista la cintura esplosiva. Il diacono, accortosi del pericolo, incredulo di quello che stava succedendo, abbandonò l’altare, tirandosi appresso il gruppetto dei chierichetti. Ma tra i banchi dei fedeli nessuno si mosse. Di fronte alla surreale reazione di chi stava di fronte, don Luigi prese a controllare i cavi e a schiacciare il comando sempre più freneticamente. Come impazzito prese a urlare “No! No! Non ci posso credere. Dio, ti prego, non farmi questo!”.
Ma tra i banchi qualcuno disse ad alta voce “Aziz! É inutile che insisti, la bomba non esploderà, l’abbiamo resa innocua”. Asad Hazrat lasciò il banco e si avvicinò a don Luigi, che vistosi attorniare da diversi uomini, capì che era stato scoperto. Si portò le mani sulla testa e scrosciò in un pianto disperato che gli piegò le gambe. Si accasciò a terra sconfitto: il piano era fallito. Un solo pensiero per la testa, un solo nome ripetuto a fil di voce: “Zahra”.
Su di una terrazza non lontano da lì, qualcuno aveva aspettato l’apparire della fiammata che il botto avrebbe prodotto sull’edificio della ambasciata. Aspettò qualche minuto ancora, scrutando l’orizzonte che rimase nascosto dalla notte. A questo punto scese i gradini che portavano al piano terra dove diversi uomini armati aspettavano i suoi ordini. Il gruppo prese a muoversi e dopo aver percorso qualche decina di metri, si infilò in un vicolo stretto, dove altri due uomini armati controllavano l’edificio dove Zahra era tenuta prigioniera. Gli uomini entrarono nella prigione passando per le buie scale.
Zahra li sentì scendere le scale e capì che per lei era arrivata la fine. Quando vide il fascio della luce della torcia irrompere nella stanza, si rannicchiò stringendo forte il grembo tra le braccia.
Prese a piangere disperatamente. L’uomo che comandava il gruppo le si avvicinò; nell’oscurità, il luccichio delle sue scarpe, era l’unica cosa che poteva vedere Zahra del suo boia.
“La bomba non è esplosa” disse rompendo il silenzio, “sai cosa ti attende, ora!”.
Zahra si mise in ginocchio e prese a supplicare “Risparmiate i miei genitori almeno, i miei fratelli. Uccidete me e mio figlio, vi prego in nome di Dio.”
Anche don Luigi in quel momento stava in ginocchio e piangeva disperato: “Sono stato costretto, tenevano mia moglie in ostaggio, a quest’ora l’avranno già uccisa con quella creatura che porta in grembo”.
Asad lo guardò severamente, qualcuno gli si era avvicinato e gli aveva sussurrato che non vi erano complici tra i fedeli. Anche ambasciatore li aveva raggiunti facendo ingresso nella cappella.
Avvicinatosi ad Asad, stese la mano per salutarlo: “La ringrazio per la sua opera, ispettore. Non ho parole per esprimerle il ringraziamento del mio paese per quanto fatto dal suo ufficio.”
“Questo non cambierà l’orientamento del mio governo verso voi cattolici” disse Asad, “Questo lo può ben capire, ambasciatore.”
“Certamente, ma comunque speriamo in un ripensamento del regime, anche se abbiamo deciso di chiudere anche questo ultimo luogo dove i cristiani potevano manifestare la propria fede. Questo è stato un segnale chiaro a cui non possiamo non tenere conto, anche se, il vostro governo, ci abbia voluto proteggere.”
“Devo essere franco con lei”, rispose Asad, “Il governo non vi vuole qui, farà di tutto per accelerare che ve ne andiate. Ma di certo non poteva permettere questa strage da parte di alcuni integralisti con la tendenza ad agire per conto proprio.”
“Capisco! Cosa ne sarà adesso di questo uomo?” chiese l’ambasciatore.
“Non le posso dire niente a riguardo. Benché sia di madre italiana, il padre era afgano, e per questo, a tutti gli effetti cittadino obbligato alle nostre leggi. Saremo noi a giudicarlo.”
L’ambasciatore rimase sorpreso: “La madre italiana?”.
“Sì! Li abbiamo monitorati per mesi. Gli integralisti hanno scelto bene la persona da utilizzare come bomba umana, facendolo passare per un vostro prete. La persona giusta per sostituire quello incaricato per questa notte e che sarebbe passata inosservata ai vostri controlli. In effetti era già conosciuto negli ambienti cristiani. La madre aveva conosciuto il marito tra le persone che lavoravano come lei per gli americani. Lui aveva deciso di convertirsi e per questo era stato ucciso. Sono cose che avvennero nella comune indifferenza, passati per fatti a cui non interessava nessuno. La madre poi fece ritorno in Italia, consapevole di cosa sarebbe accaduto di lì a qualche anno, con il ritiro degli americani. Aziz è rimasto solo ed è rimasto vicino alla comunità cristiana. Ha incontrato Zahra, si è sposato con rito cristiano, rinunciando ai voti per i quali studiava da qualche anno. Non sappiamo con certezza se sia stata la sua una decisione voluta o se sia stato obbligato a farlo. Comunque sia andata, gli daremo il modo di chiarire la sua posizione.”
L’ambasciatore scosse la testa e prima di lasciare l’uomo nelle mani della polizia, gli rivolse l’ultimo sguardo, combattuto tra compassione e disprezzo.
Asad si riavvicinò a don Luigi che singhiozzava e ripeteva il nome della moglie Zahra.
“Tirati su, Aziz, devi venire con noi” gli ordinò. Aziz venne sollevato di peso dagli uomini che lo controllavano e si lasciò condurre fuori dalla ambasciata. Venne caricato su di un’auto e portato fuori dalla città. Durante il cammino, Asad non gli rivolse la parola, ma lo osservò attentamente.
L’auto poi si ritrovò in periferia, a ridosso di un’area disabitata, con i segni evidenti lasciati dalla perenne guerra. Si fermò a ridosso di una costruzione diroccata, dove stazionavano alcune auto e un vecchio camion. Aziz fu fatto scendere dall’auto e condotto all’interno della costruzione e fatto sedere su una sedia posta al centro della stanza. Asad fece segno agli uomini di lasciarlo solo con lui. L’uomo prese a scrutarlo, pensieroso. Faceva due passi di lato e poi altri due dall’altro lato, andava e tornava come se stesse pensando a qualcosa che lo turbava.
“Stai pensando alla giustificazione con cui ti laverai la coscienza?” gli disse Aziz prendendo coraggio. Le parole colpirono Asad che si fermò dal movimento andirivieni e gli si piazzò di fronte.
“Stavo pensando a come devo chiamarti, e se preferisci che ti chiami don Luigi” disse con sottile ironia. Aziz non si scompose: “Fai tu! Tanto a che ti serve sapere? O che servirebbe a me, ora che sto per morire.”
Asad sorrise maliziosamente: “E già. Voi cristiani quando vi immolate finite per essere annoverati tra i santi. Quando sono i musulmani a farsi saltare in aria, sono candidati per l’inferno. Per questo ti ho fatto questa domanda. Pensavi di finire in paradiso o all’inferno, dato che per salvare tua moglie e tuo figlio, volevi ucciderti e portarti appresso tante persone innocenti! Ma che dico! Colpevoli a secondo il punto tuo di vista, magari da musulmano potevi ritenere degni di morte i cristiani che erano nella sala. Vedi, non ho ancora capito da che parte stai veramente.”
Aziz abbassò il capo e riprese a singhiozzare: “Perché mi tormenti, non credi che già abbia un peso enorme da portarmi appresso nella tomba? Sono solo un uomo di carne. Infierisci pure, non mi sottrarrò al giudizio di Dio, ma stai attento, anche tu non ti sottrarrai”.
“ Sai cosa mi da più fastidio su tutto?” disse Asad, “Che voi cristiani volete sempre apparire migliori di quello che siete. Siete come gli ebrei di cui parlò il profeta Isaia. Si credevano il popolo prediletto e per questo migliori tra tutti. Non per niente disse -Da queste pietre, Dio potrebbe far sorgere figli di Abramo. Pure il vostro messia disse ai suoi discepoli le stesse parole -Da queste pietre, Dio potrebbe far sorgere dei discepoli- tanto divenne forte la loro convinzione di essere migliori tra gli ebrei e i pagani.”
Aziz non rispose e rimase in silenzio. Poi scosse la testa e invocò il nome della moglie: “Zahra, almeno tu sarai tra gli eletti e alleverai nostro figlio nel regno di pace di Dio onnipotente”.
“Sai quali sono state le ultime sue parole?” disse Asad, “Uccidete me e mio figlio, ma lasciate in vita i miei genitori e i miei fratelli." Avete avuto tutti e due la stessa posizione. Entrambi complici verso i vostri carnefici, pronti a far morire altre persone, ma pronti a salvare i propri cari. Il classico distinguo che sapete ben fare tra gli esseri umani. Anche lei tra i vostri cristiani. Forse non vi è scritto - chi non ripudierà il proprio padre, marito, figlio o fratello, non è degno di seguirmi? Le parole del vostro profeta non contano niente per voi?”
Aziz non rispose e rimase ancora in silenzio. Asad non aggiunse altra parola. Si allontanò di qualche metro da lui e fece cenno con la mano di seguirlo a chi stava fuori. Il passo lento di chi camminava parve ad Aziz il camminare della morte: rimase col capo chino, in attesa di morire.
Ma chi gli si era piazzato di fronte non aveva armi; inaspettatamente si mise a singhiozzare e chiamarlo per nome” Aziz!”.
Quella voce ebbe la potenza di farlo sobbalzare. Alzò il capo e spalancò gli occhi, urlò “Zahra! Zahra!”. Si sollevò di scatto dalla sedia e corse ad abbracciarla. Ma nella penombra si accorse che lei stringeva tra le braccia qualcosa. Si avvicinò lentamente, mentre all’interno di quel fagotto, alcuni vagiti segnalavano la presenza del neonato.
Aziz, incredulo, si inginocchiò ai piedi di Zahra e pianse. Lei s’inchinò su di lui, anche lei travolta dal pianto.
Asad non si commosse, ma rimase accanto a loro, ascoltando il pianto unisono. Poi, ruppe quel momento di commozione tra i due che si erano ritrovati a un passo dalla morte.
“Questo serva di lezione ad entrambi. Anche noi sappiamo avere pietà delle persone e capire l’animo umano. Avremmo potuto lasciarvi ammazzare tra di voi, e far finire il lavoro ad altri.
Ebbene. Non so chi abbia deciso per voi, ma la vita vi è stata risparmiata. Ma non potete stare più in questo paese. C’è ancora in giro chi vi vuole morti e vi cercherà. Io non vi posso garantire la sopravvivenza, ho fatto sin troppo. Ho organizzato la vostra fuga dal paese. Fuori vi aspetta un mezzo che vi porterà al confine. Poi sarete prelevati da chi vi porterà a destinazione, in Turkmenistan. Poco oltre il confine, vi è la comunità cristiana che vi nasconderà e cercherà di integrarvi. Lì, avrete più possibilità di vivere secondo il vostro credo. Adesso andate, non voglio vedervi oltre, non vorrei pentirmi di avervi lasciato andare.”
Vi è sempre un cielo notturno carico di stelle nelle gelide notti in Afganistan. Aziz e Zahra, seduti dietro al camion, protetti dal freddo grazie alle coperte messe a disposizione da Asad, non distoglievano lo sguardo dal piccolo venuto al mondo da appena un’ora, a causa dello spavento, e grazie a un gesto di pietà. Tutti e tre in fuga verso la libertà, come Giuseppe e Maria col piccolo Gesù, affresco di un presepe contemporaneo. Aziz pensò anche alle parole di Asad. Pensò a quelle pietre capaci di far sorgere esseri umani grazie alla misericordia divina.
[CN24] Pietre feconde
1Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
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