commento: Le tasche piene di sassi
Le campane di Baumurtas
Il più era fatto, pensò Paolo saltando giù dallo sgangherato camioncino puzzolente di nafta che lo aveva trasportato per tutta la notte arrancando in strade sterrate di pianure e montagne.
L’autista, stringendogli la mano gli disse ─ Mi dispiace di non poterti portare fino a casa, ma ancora un salto e ci sei! Buona fortuna!
─ Hai fatto anche molto ─ rispose Paolo sorridendo, con le lacrime che gli rigavano le guance irte di una barba ispida, volgendo lo sguardo sulla montagna che incombeva sopra Loggerru, il piccolo paese dove si erano fermati. Non riusciva a staccare lo sguardo dalla montagna che incombeva; boschi, granito e un pugno di pietre sparse: Baumurtas, il suo paese.
Si mise in spalla la valigia di cartone legata con uno spago e cominciò a camminare per la strada. Alcune donne sporche della campagna si erano fermate a parlare vicino a una fontana, bambini scalzi si rincorrevano, uomini anziani stavano seduti a guardare.
Paolo salutò in dialetto.
─ Ah! Uno di Baumurtas che torna dalla guerra! Bentornato!
─ Sì! Grazie! Sto tornando a casa!
─ Dov’eri?
─ Prigioniero. Germania.
─ Povero soldato!
─ Sono carabiniere ─ disse con orgoglio Paolo, mostrando gli alamari di filo argentato sdruciti in più punti che aveva cucito lui stesso sul bavero di una logora giacca militare tedesca. Indossava pantaloni inglesi e un paio di stivali tedeschi.
─ Vieni. Un bicchiere di vino. Ti aspetta una bella salita prima di arrivare a Baumurtas.
─ Grazie. Volentieri.
─ Abbiamo anche pane carasau, pane bianco e lardo.
─ Troppo disturbo.
─ Nessun disturbo carabiniere. Ma sei giovane.
─ Tengio bint’unus. Ho ventuno.
─ Quanto tempo eri prigioniero?
─ Due anni… Due anni. Sapete…
─ Oh povero! Tra poco sarai a casa. Non piangere. Coraggio. Bevi tranquillo. Bevi un altro bicchiere. Coraggio. È tutto finito adesso.
Si fermò una moto con attaccato dietro un grosso carretto carico di stoffe; apparteneva a un venditore ambulante che veniva da una cittadina poco lontana e come d’uso imitava i dialetti dei paesi dove si fermava. Sentendo la storia di Paolo gli disse che anche lui stava andando a Baumurtas per vendere la sua merce e si offrì di dargli un passaggio. Paolo era tentato di accettare ma a malincuore disse ─ Guarda: sono più di due anni che a casa non sanno niente di me, di sicuro mi credono morto, lo so. Non mi hanno fatto scrivere dalla Germania. Mi sono rimaste quattro sorelle, mia madre e mio padre sono morti che ero ragazzino. Non mi sento di arrivare così di colpo… non ho… non ho coraggio…
E si rimise a piangere. E la gente intorno a consolarlo.
─ Mischinu! Mischineddu! Povero! Poverino! ─ dicevano le donne.
─ Posso aiutarti lo stesso ─ disse il venditore. ─ Farò in modo di dirlo e non dirlo e saranno tutti preparati al tuo ritorno. Lascia fare a me. Tu vai tranquillo.
Paolo si trattenne ancora un poco poi, dopo aver salutato la piccola folla che si era fatta intorno a lui per vederlo e sentirlo parlare, si incamminò per Baumurtas.
Appena fuori di Loggerru vide che il vecchio ponte era cadente e attraversò il fiume a piedi; arrotolò uno straccio sulla testa per metterci sopra la valigia, reggendola con una mano. Due bambini pescavano sulla sponda opposta e lo salutarono ridendo. Paolo ricambiò il sorriso. Si era bagnato ben oltre gli stivali, se li tolse per scolare l’acqua, li rimise e si avviò. Si sarebbe asciugato camminando lungo il tragitto.
Mano a mano che saliva lungo la montagna, avvolto e circondato da quel silenzio eterno che profumava di olivastri e di pietra, rotto soltanto dal suono di lontani campanacci di capre e dallo stridio di un aquila, ricordava quante volte aveva percorso quella strada con il carro a buoi, quando suo padre era ancora vivo, poi da ragazzino con altri coetanei per andare a lavorare come bracciante negli orti dei paesi vicini. Riconosceva ogni angolo, ogni pietra.
─ Sempre uguali, e siete però cambiati anche voi! ─ diceva a voce alta salutando i luoghi e asciugandosi le lacrime.
Cercò di calmarsi, pensare a quello che doveva fare.
Al rientro in Italia erano convogliati a Verona, avevano dormito per giorni dentro l’arena, inquadrati dalle autorità, forniti di documenti provvisori. Con mezzi di fortuna erano arrivati a Civitavecchia. Altri giorni di attesa all’addiaccio, imbarcati su una nave finalmente. Doveva presentarsi ai carabinieri del suo paese che a loro volta lo avrebbero direzionato alla Legione di appartenenza. Ma prima, gli avevano assicurato, lo avrebbero messo in licenza qualche mese, per riposarsi.
Questo non era importante. Adesso aveva paura.
Mancava poco all’ingresso del paese, si fermò a bere a una fontana. Sentì due campanelle. Due capre a poca distanza lo guardavano masticando piano, sospettose. Dietro di loro, da uno spuntone di roccia comparve un piccolo vecchio curvo che si appoggiava a un bastone di olivastro. Avvicinatosi a Paolo si tolse il berretto per salutare.
─ Zio Padrus! Sono Paolo Tancas! Non mi riconoscete?
─ Mi sembrava e non mi sembrava ─ disse il vecchio. ─ Non ci vedo più tanto bene. Ma immaginavo che eri tu. Ho sentito che stavi venendo.
─ Come avete sentito?
─ Il venditore di stoffe. È stato bravo e dovrai invitargli un bicchiere di vino.
─ Ma certo! E anche a voi! Ma ditemi come…
Il vecchio sorrise sdentato, si raddrizzò a fatica e cominciò a dire ─ È entrato in paese gridando a tutti fin dall’inizio: Stoffe! Stoffe belle! Roba del continente! Ho parlato con Paolo Tancas! Chi di voi conosce Paolo Tancas? Stoffe belle e bellissime! Non costano molto! Avvicinatevi! Ho parlato con Paolo Tancas! È a Loggerru! Paolo Tancas sta tornando a casa! Chi di voi lo conosce? Stoffe belle del continente! Paolo Tancas! Chi lo conosce? Sta tornando a casa! Stoffe belle e bellissime! Avvicinatevi!
─ Oh santo cielo!
─ Tua sorella più piccola…
─ Rosalina!
─ Stava prendendo acqua alla fontana davanti alla chiesa e ha sentito. Si è messa a gridare. Le è caduta la brocca…
─ Povera… Povera…
─ È andata a casa con altre donne e ora le tue sorelle sanno di te. Lo sanno tutti in paese.
─ Come sono messo, zio Padrus?
─ Stai molto bene. Vai a casa tua, Paolo.
Paolo passò davanti al cimitero, si fece un segno di croce per i suoi vecchi. Andò avanti.
Lo avvolse l’odore del paese, non più sentito, mai dimenticato. Il posto dove era nato lo aveva riconosciuto e lo accoglieva. Si mise a correre, salutando frettolosamente qualcuno che incontrava, che lo toccava; qualche vecchietta che lo baciava e gli stringeva le mani. Paolo continuava a correre senza sentire il peso della valigia di cartone. Vide la chiesa, vicino a casa sua. Una piccola folla radunata, uomini, molte donne, una fila di bambini che guardavano nella sua direzione con occhi spalancati. Dalla folla si staccò una ragazza vestita a lutto venendogli incontro di corsa, piangendo e urlando ─ Paolo! Paolo! Dio mio! Paolo!
Era Rosalina. E quanto era cresciuta! E dietro di lei venivano le altre sue sorelle, tutte vestite di nero, perché pensavano fosse morto. Ma era vivo! Era ancora vivo! Posò la valigia, si sentì mancare. Si inginocchiò o si lasciò andare alzando le braccia al cielo. Piangendo di gioia si fece travolgere dalle sue sorelle che lo abbracciavano e coprivano di baci.
La gente si avvicinava festosa. Era quasi mezzogiorno. Con un po’ di anticipo le campane della chiesa suonarono. Paolo era tornato a casa.