[Lab15] Otaktay guarda lontano

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Molte lune sono passate e tanta erba è seccata tra queste praterie. Ancora il richiamo dei nostri avi raggiunge il cuore di Otaktay. Lui guarda lontano inseguendo il passato, oltre la lunga corsa del bisonte, il volo dell’avvoltoio. Troppo alta è la sua fronte. Dritto è il capo. Ma così facendo non vede l’insidia vicina ai sandali, l’inciampo sotto ai suoi piedi, il burrone sul suo cammino.”

Otaktay non si scompose alle parole del vecchio Piska. All’interno del tepee tutti lo ascoltavano in silenzio.

“Tutto il rispetto per te, Piska. Ma i tuoi pensieri sono corsa di lepre, facile preda dei lupi. I tuoi ricordi come sabbia del deserto che nulla rimane tra il palmo delle mani, tanto sfuggono portati via dal vento. Sono accusato di fomentare la rivolta e tirare fuori parole seppellite da tempo.
Aveva ragione Tatanka nel dire “Vi consegno questo mio fucile per mezzo di mio figlio, sperando che almeno lui impari a vivere come i bianchi.”

“Ancora con queste storie?” inveì qualcuno. “Tu parli come se fossimo ai tempi delle carovane degli uomini bianchi. Siamo stanchi, Otaktay. Stanchi di averti tra i piedi e di rovinarci il lavoro. Ogni volta che arrivano i turisti metti loro paura.”

“E se non lo facessi?” ribatté sprezzante.

“Lo vedrai!” rispose l’altro livido di rabbia.

Il vecchio Piska intervenne: “Vedo che la rabbia è come un fiume in piena e farà danni”. Poi si rivolse a Otaktay: “Giovane che guarda lontano. Il dolore ha rotto il tuo cuore. La strada per la serenità è lunga e difficile. Cerca di capire quale mostro vuoi combattere prima di lanciarti contro i tuoi fratelli”.

Otaktay si alzò di scatto e puntò il dito: “Per cosa stiamo mostrando ad annoiati turisti le nostre tradizioni? I vostri balli non hanno niente a che vedere con quelli dei nostri avi. State barattando la vostra dignità per quattro dollari in tasca. Per loro siete un gruppo di uomini vestiti di stracci che fanno danze ridicole tra una bevuta e l’altra.” Detto questo, li abbandonò.

A poca distanza, sul piazzale del villaggio, era appena arrivato il bus con i turisti: si fermò a guardarli scendere. Li osservò mentre con i loro smartphone riprendevano quello che ritenevano interessante: parti del villaggio, i nativi in costume venuti ad accoglierli. La loro guida fu l’ultima a scendere: Winona, una ragazza mora, dai lunghissimi capelli raccolti in treccia. Quando la vide la scrutò. Lei, accortasi di lui, lo salutò con alzata di mano. Vi era un banchetto per i rinfreschi vicino a dove si sarebbe svolta la danza del sole; Winona invitò la comitiva a rinfrescarsi prima della manifestazione. “Non sarai venuto per dare fastidio, spero!” chiese lei. “Stai tranquilla, oggi no. Devo capire qual è il mostro che devo combattere” rispose lui allontanandosi.

Intanto dal tepee erano usciti i componenti in costume sioux; Tokala portava con sé il tamburo sciamano lakota. Prese a ritmare i passi e a intonare: “hea hea hea hea” . Raggiunsero la piazza e si distribuirono in cerchio. Winona chiese un attimo d’attenzione e prese a spiegare il significato della danza del sole: il rituale di purificazione collettiva ricorrente nel solstizio d’estate.

Oh! Grande spirito, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza” intonò il vecchio Piska al centro del cerchio, dando inizio alla danza.

Non lontano da lì, Otaktay camminava spedito verso casa, attraversando gli ultimi stabili del villaggio, tra cui il locale di Tepo che assieme a Sinuhel e Wapama erano alle prese con una bottiglia di whisky. Arrivato a casa, andò nel recinto dove custodiva il suo cavallo; senza mettergli la sella, con un balzo ci si mise sopra e lo lanciò al galoppo. Una lunga scia di polvere si sollevò dietro alla folle corsa per la valle arida. “Ah! Ah!” urlava Otaktay, mentre dietro loro un’altra scia di polvere li seguiva: quella della Nissan Patrol dello sceriffo indiano Dakota.
Questo lo affiancò intimandogli di fermarsi. Lui cercò di seminarlo, ma lo sceriffo prese una scorciatoia tagliandoli la strada.

“Per tutti i diavoli! Quante volte devo ripeterti che non puoi correre all’impazzata dove ti pare! Qui ci sono le fattorie dei Redford e quando passi tu disperdi le loro mandrie” sbraitò l’uomo aggiustandosi il berretto appena sceso dall’auto.

“Questa è la nostra terra, sceriffo! Abbiamo sempre cavalcato lungo queste terre. È un nostro diritto” disse lui in sella al cavallo che nervosamente girava su se stesso.

“Tieni fermo il cavallo e ascoltami bene, ragazzo! Cominci a diventare un problema per tutti. Posso capire cosa stai attraversando con la morte dei tuoi ma l’atteggiamento che hai contro alcuni non sta bene. Qui ci vivono anche persone oneste che la terra ve l’hanno pagata.”

“Mio padre e mio fratello sono stati uccisi dall’alcool. E io dovrei stare sereno? Ma sì! Grazie popolo americano per queste misere case di legno in cui ci avete imprigionato. Per i sussidi per non morire di fame e dell’abbondante whisky cura dei nostri mali” sbraitò.

“Se pensi di subire delle ingiustizie sai dove rivolgerti. E potresti fare come tanti, andartene in altri posti. Non sei obbligato a stare qui” disse ammonendolo.

“Ma certo! Io dovrei lasciare la mia terra a questi invasori?” replicò Otaktay.

“Le guerre sono finite a Little Big Horn, lo hai scordato? Quando sarai pronto a morire sarai grande abbastanza per vivere. Se continui così non l’avrai questa possibilità. Lascia stare questo attaccamento morboso alla terra. Tutto il mondo può essere casa tua. Cerca di ragionare e di non metterti nei guai” disse Dakota risalendo in macchina per andarsene. Otaktay scese da cavallo e rimase per ore a contemplare il villaggio dall’alto e perdersi tra i pensieri. Verso il tramonto si mise in cammino verso casa. All’ingresso della riserva Winona lo aspettava ansiosa seduta sopra la staccionata: “Dove sei stato?” chiese, “pensavo che saremo stati assieme nel pomeriggio” aggiunse.

“I tuoi turisti sono andati via soddisfatti?” chiese beffardo.

“Ancora con questa storia?” rispose, “mi avevi promesso che avresti pensato alla proposta che ti avevo fatto. Invece vedo che continui a rivendicare una terra senza gli uomini bianchi. Sei ottuso e non vuoi guardare in faccia la realtà. Svegliati una volta per tutte”.

Otaktay la guardò, questa volta teneramente: “Ho avuto una visione sopra l’altipiano. Forse ho solo sognato. Ma gli spiriti mi hanno detto cosa devo fare della mia vita”.

“Ah! Bene. Cosa ti avrebbero detto?” chiese divertita.

“Domani se verrai con me ti dirò, e avrai pure la risposta che attendi.”

Winona non riuscì a dormire quella notte. La mattina prese la jeep e passò a prenderlo sotto casa. Lui caricò lo zaino strapieno attirando la curiosità di lei. Poi si diressero verso nord passando per le strade sterrate. Dopo qualche ora li intercettò lo sceriffo Dakota nel suo giro di controllo.

“Adesso tuo padre ti darà una lavata di capo!” disse Otaktay.”

Lo sceriffo scese dalla macchina, fece segno di abbassare il finestrino. Lei ubbidì.

“Siete a trenta miglia dal confine, dove diavolo state andando?” chiese senza rinunciare di squadrare Otaktay, che per niente intimorito non abbassò lo sguardo. “Andiamo sui monti sacri” disse. “Per fare cosa? E lui? Cosa ci fa con te?”
“Papà che risposta chiedi?”

Lo sceriffo la guardò e senza fare ulteriori domande le fece cenno di andare. Winona con un tenero sorriso, ingranò la marcia: “Non mi aspettare stasera: torniamo domani”.

L’uomo, con una stretta al cuore, guardò la jeep allontanarsi. Pensò che anche lui, alla età di Otaktay, era stato tale e quale. Idealista e attaccato alle tradizioni, alla terra. Anche lui aveva provato quello sconforto nel vedere troppi amici morire alcolizzati, senza prospettive, rinchiusi nella riserva. Conosceva bene quella frustrazione e la confusione mentale che lo aveva portato sul piede di guerra. Di quella necessità forte di attaccarsi alla fiera storia del suo popolo per sopravvivere. “Che gli spiriti vi siano propizi” disse tra sé.


                                                                                                                                     *****


I due erano arrivati al luogo previsto, il sole calava tra le montagne: l’aria si era fatta pungente. Accesero un fuoco e ci si accovacciarono accanto.
“Tuo padre ci ha lasciati andare senza fare storie!” esordì Otaktay.
“Che doveva dire? Lui sa che stiamo insieme da tempo!”
“Ah sì? Credevo di no.”
“Io non ho segreti per mio padre! Beh! Basta con le parole inutili. Siamo qui e adesso mi dai risposte.”

“Quella sera, sull’altipiano, ho sentito la voce di mio padre… Vai a chiedere agli spiriti: la loro benedizione apparirà nel cielo della notte se la tua decisione è giusta.”

“E quale sarebbe?” chiese incuriosita.
“Di venire con te e lasciare la riserva.”
“Ti sei deciso, finalmente. Ma vedo che hai bisogno di una conferma, e l’aspetti dal cielo?”

“Sì! Se ci appariranno i verdi spiriti danzanti!”

“Ti riferisci all’aurora boreale?” sbottò pensando al raro evento.

“E va bene!” disse Winona rompendo gli indugi. “Se la nostra esistenza assieme è nelle mani loro, che decinano per noi. Dai, mettiti in piedi!”
“Che vuoi fare?” chiese lui.

“Chiediamo agli spiriti la loro benedizione, a questo punto. Sai come si fa, o te lo devo ricordare? Siamo sioux o no? Facciamo questo rito propiziatorio che sia a loro gradito.”
“Vuoi fare la danza del fuoco?” chiese sorpreso.
“Sì! Ma a modo mio. Alzati e balliamo attorno al fuoco” disse decisa. Poi accese lo stereo della jeep: I will always love you si diffuse per l’aria.

Winona si avvinghiò a lui, le lingue di fuoco si unirono alla danza.

Come per magia, anche i bagliori boreali apparvero prendendo a guizzare nel cielo. Winona e Otaktay si strinsero ancora più forte nella notte magica; sotto la benedizione ricevuta dagli spiriti e dal fuoco. Entrambi sapevano che non li avrebbero traditi. Si scambiarono un appassionato bacio con cui suggellarono il loro progetto di vita fuori dalle terre aride della riserva: ma senza un vero addio.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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bestseller2020 wrote: Molte lune sono passate e tanta erba è seccata tra queste praterie. Ancora il richiamo dei nostri avi raggiunge il cuore di Otaktay. Lui guarda lontano inseguendo il passato, oltre la lunga corsa del bisonte, il volo dell’avvoltoio. Troppo alta è la sua fronte. Dritto è il capo. Ma così facendo non vede l’insidia vicina ai sandali, l’inciampo sotto ai suoi piedi, il burrone sul suo cammino.”
Un bell'incipit, persino poetico. Però per guardare lontano si guarda avanti, al futuro, e il ragazzo guarda lomtano inseguendo il passato: ci trovo un'incongruenza, benché solo in senso letterale.
bestseller2020 wrote: “Siete a trenta miglia dal confine, dove diavolo state andando?” chiese senza rinunciare di a squadrare Otaktay, che per niente intimorito non abbassò lo sguardo. “Andiamo sui monti sacri” disse. “Per fare cosa? E lui? Cosa ci fa con te?”
“Papà virgola che risposta chiedi?”
L'ultima frase ti suggerisco di cambiarla così:
"Papà, ma che domande fai?"
bestseller2020 wrote: Siamo qui e adesso mi dai le risposte.”
bestseller2020 wrote: Sun Nov 24, 2024 5:33 pm“E quale sarebbe?” chiese incuriosita.
“Di venire con te e lasciare la riserva.”
“Ti sei deciso, finalmente. Ma vedo che hai bisogno di una conferma, e l’aspetti dal cielo?”
Com'è che lui non si aspetta il parere di lei e che lei non sente la necessità di darlo? 
bestseller2020 wrote: Sun Nov 24, 2024 5:33 pmWinona si avvinghiò a lui, le lingue di fuoco si unirono alla danza.

Come per magia, anche i bagliori boreali apparvero prendendo a guizzare nel cielo. Winona e Otaktay si strinsero ancora più forte nella notte magica; sotto la benedizione ricevuta dagli spiriti e dal fuoco. Entrambi sapevano che non li avrebbero traditi. Si scambiarono un appassionato bacio con cui suggellarono il loro progetto di vita fuori dalle terre aride della riserva: ma senza un vero addio.
Dall'incipit poetico al finale romantico... Ma hai cambiato registro, @bestseller2020;)
E ti sei migliorato molto con la punteggiatura. Bravo!  :si:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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ciao @Poeta Zaza grazie del passaggio e delle tue osservazioni.
Poeta Zaza wrote: L'ultima frase ti suggerisco di cambiarla così:
"Papà, ma che domande fai?"
Ho cercato di impostare la frase secondo il modo sioux. "Che risposta chiedi" alluda a una risposta inutile... Però ci sta anche come dici tu..
Poeta Zaza wrote: Com'è che lui non si aspetta il parere di lei e che lei non sente la necessità di darlo? 
La proposta l'ha fatta lei, lui doveva solo rispondere si o no. Come al solito ho dovuto tagliare tanto per farci stare 10K; avrei voluto arrivare a 16K ma mi sarei escluso quello che sai.. Ciao e grazie ancora. <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @bestseller2020 mi è piaciuto in generale il fatto che tu abbia proposto questa declinazione del tema danza.  Nei tuoi racconti trovo che non manchi mai una visione critica della realtà, dopo averne letti un bel po’, credo che questo aspetto sia un tuo marchio di fabbrica.
L’incipit trasporta subito il lettore in zona tribù indiani d’America. Che poi si tratti di una riserva che funge più che altro da richiamo per i turisti, lo,si apprende più avanti nella lettura. Ma la funzione “catchi” nei confronti del lettore appare funzionale.
Mi è piaciuto il personaggio dal nome impronunciabile e quasi inscrivibile “Otaktay” almeno fino  alla cavalcata ribelle. Mi è garbata meno la storia d’amore, mi rendo conto che fosse necessaria per una danza di coppia in ossequio alla traccia, ma rite go che anche la danza tribale proposta ai turisti avrebbe già assolto bene il compito. Anzi avrebbe dato ancor più spinta alla storia. Gusto personale…
Per quanto riguarda la scrittura, a mio parere, ci sono dei passaggi un po’ tortuosi e dunque puoi lavorare per migliorare la fluidità. 

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @bestseller2020 

e tanta erba è seccata tra queste praterie. 
L'erba ingiallisce sopra i prati, è difficile che secchi soltanto tra l'una e l'altra prateria, scusami, ma l'immagine mi ha smosso la ridarella, è sciocco lo so,  :D  
Torniamo seri, mi schiarisco la voce e parto.
L'incipit:
  wrote:“Molte lune sono passate e tanta erba è seccata tra queste praterie. Ancora il richiamo dei nostri avi raggiunge il cuore di Otaktay. Lui guarda lontano inseguendo il passato, oltre la lunga corsa del bisonte, il volo dell’avvoltoio. Troppo alta è la sua fronte. Dritto è il capo. Ma così facendo non vede l’insidia vicina ai sandali, l’inciampo sotto ai suoi piedi, il burrone sul suo cammino.”
Vorrei condividere alcune riflessioni sullo stile di scrittura utilizzato nel tuo brano, in particolare riguardo al modo in cui hai rappresentato l'idioma degli indiani  d'America. 
Ecco alcune ragioni per cui dovresti rivedere questo approccio:
Tutte le rappresentazioni degli indiani d'America si basano su stereotipi creati da autori e registi che non hanno una comprensione profonda delle culture indigene. 
Questi stereotipi possono includere il linguaggio fiorito e le metafore naturali, che risultano artificiali e poco realistici.
L'influenza dei media ha creato un clichè che ha perpetuato visioni distorte delle culture indigene.
I popoli indiani hanno sempre avuto un contatto mistico con la natura, la loro lingua, se tradotta cercando di mantenere a tutti i costi un senso esotico, risulta artificiale e poco naturale.  
La cultura popolare tende a romanticizzare queste popolazioni, le ritiene sagge e mistiche, per decenni  il loro  linguaggio nelle storie è risultato poetico ma meno autentico, questo ci ha allontanato dalla vera essenza della loro storia.

Per una scrittura più autentica e rispettosa,  ti consiglio, anche su YouTube, di ascoltare e leggere le storie raccontate direttamente dalle persone indigene.  Avresti una visione più accurata e rispettosa delle loro culture e dei loro modi di esprimersi.  

Per il resto del racconto, come ti ha suggerito Monica, potresti renderlo meno tortuoso.
La trama è, in sintesi, semplice: un indiano d'America lascia andare il valoroso passato dei suoi avi e accetta la realtà della riserva, della condizione del suo popolo.
Il tema, su cui ha costruitola trama, al contrario, è molto complesso. 
Che l'uomo dal nome impronunciabile risolva l'enorme conflitto interiore, sciolga il legame con la terra dove riposano gli avi e gli spiriti  protettori, con un rituale propiziatorio improvvisato sulle note di I will always love you, bellissimo brano per altro, non rende la gravità di un fatto storico così pesante da digerire, anzi minimizza la sofferenza del protagonista e i fatti tragici che ora tutti conoscono. Fatti che fino a pochi decenni fa non erano sotto la luce del sole e a questo proposito ti consiglio di cambiare la canzone della meravigliosa Whitney Houston, con "As Long As the Grass Shall Grow" edita nell'album di Johnny Cash, dedicato agli indiani d'America.

Ti lascio il link:

 

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Eccoci qui @bestseller2020 
Uno spaccato molto interessante di sopravvivenza dei nativi americani nel mondo dell'uomo bianco, con i suoi disagi e le sue menzogne. Il testo si legge bene e mette in scena un conflitto generazionale molto valido che potrebbe benissimo essere trasposto su altre longitudini e altre culture. Il carattere del protagonista, sognatore testardo e idealista viene messo in risalto per comparazione con l'integrazione rassegnata dei suoi simili. In vari punti viene da chiederci chi stia facendo bene, se lui a tentare di ribellarsi o gli altri, quelli che si abituano a una vita standardizzata.

Passando in rassegna i punti salienti, cominciamo con l'incipit:
bestseller2020 wrote: Molte lune sono passate e tanta erba è seccata tra queste praterie. Ancora il richiamo dei nostri avi raggiunge il cuore di Otaktay. Lui guarda lontano inseguendo il passato, oltre la lunga corsa del bisonte, il volo dell’avvoltoio. Troppo alta è la sua fronte. Dritto è il capo. Ma così facendo non vede l’insidia vicina ai sandali, l’inciampo sotto ai suoi piedi, il burrone sul suo cammino.”
 Funziona bene proprio perchè segue il presupposto di un discorso già cominciato, il cosiddetto "media res" dei latini. Ma la buona idea qui è quella di inserire letteralmente il testo del discorso per far sentire al lettore di essere il diretto interpellato. L'escamotage funziona bene perchè, io credo, insipira interesse sin da subito.

Per quello che riguarda i personaggi, Otaktay è dcisamente quello meglio riuscito, mentre gli altri, sia per spazio, sia per minore varianza linguistica, faticano a staccarsi dalla funzione di 'voci di fondo'. Questo è certamente un limite dei 10'000 caratteri massimi da utilizzare, tuttavia mi viene da pensare che anche con qualche piccola modifica del registro linguistico, il personaggio di Winona o dello sceriffo avrebbero potuto distaccarsi, marcando meglio la loro personalità. Per ora sembrano tutti molto allineati all'idea di fondo: "smettila di ribellarti e uniformati".
Le parole di Otaktay in alcuni casi sono molto cariche. Metti in bocca al tuo protagonista delle accese polemiche sociali, che a mio avviso meritano approfondimenti e colore. Credo che riuscirebbe più credibile se questi speech li suddividessi in periodi più brevi. Meno virgole e più punti, per intenderci. Diversamente il discorso di Otaktay suonerebbe troppo frettoloso, quasi senza fiato alal fine.

Nello stile qualche piccolo punto da limare, frutto probabilmente della fretta per la consegna.

Sul messaggio sotteso preferisco non esprimermi. Credo che il merito principale del racconto sia nella sua valenza multiculturale che mette in scena un conflitto generazionale estremamente condivisibile. Anche se la conclusione chiude frettolosamente punti di riflessioni profondi e molto densi, credo che il messaggio positivo sia da leggere come un auspicio di pace e riconciliazione rivolto al lettore. Personalmente, per indole, avrei scelto l'ascia di guerra :asd: 
Ma questo non vuol dire che non apprezzi un bel lieto fine quando ne leggo uno.

Nel complesso una lettura piacevole. Non mi è costata fatica leggerli e percepire il messaggio che volevi darci.
Opportunamente corretto e editato, magari allungato dove necessario, potrebbe essere una buona storia breve.
A rileggerci ;)
 

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @bestseller2020

L'incipit è molto bello ed evocativo, subito ci presenta il personaggio ed il cuore del problema del racconto: il difficile districarsi di Otaktay tra il suo voler giustizia per la propria comunità ed i limiti della dura realtà, con cui si trova a fare i conti. 
Dunque non ho granché da dire sull'incipit in sé che, come ho detto, a mio parere funziona molto bene. Non ho grandi osservazioni da fare nemmeno sullo stile, che nel complesso scorre. Ciò che mi preme riguarda soprattutto la caratterizzazione dei personaggi ed il contenuto, in accordo con altri commenti, tra l'altro.

Innanzitutto, non sono sicura che i nativi americani al giorno d'oggi parlino ancora con il linguaggio stereotipato che noi associamo alla loro cultura, fatto di contatto con la natura e con gli animali e così via. Quindi, come ti hanno già detto, questo merita attenzione.
Riprendo poi un altro punto che già è stato affrontato in un altro commento. Otaktay è il personaggio meglio riuscito, è l'individuo, complesso, mentre gli altri sono tipizzati, fissi nelle loro idee molto semplicistiche. Questo stride molto, troppo, con la complessità del tema che hai scelto. Otaktay prova una giusta e profonda rabbia a causa della condizione a cui la sua comunità è costretta, ma, c'è molto poco che possa fare, dopo secoli e secoli di genocidio poi trasformatosi in oppressione e reclusione nelle riserve. Ciò che può fare, realisticamente, è cercare un compromesso; non potrà mai, specialmente da solo, riportare il suo popolo a quel passato libero a cui sempre guarda. La sua caratterizzazione, sotto questi aspetti, è ben riuscita e può essere una buona rappresentazione del conflitto interiore che tantissime categorie oppresse conoscono. 
Ciò che non ho amato è che, man mano che il racconto procede, questo conflitto iniziale, anziché essere affrontato, viene sostanzialmente "scavalcato", fino ad arrivare ad una conclusione che, rispetto alla serietà del tema preso in considerazione, è "tarallucci e vino". Ma, come qualcuno ti ha già scritto, in un racconto in cui la trama è estremamente semplice ed il cuore della questione sta nei sentimenti dei personaggi e nella polemica sociale, non ci si può permettere di smorzare queste emozioni. Otaktay è circondato unicamente da persone rassegnate, nessuno condivide la sua rabbia (e già questo va a detrimento del racconto: possibile che, in tutta la comunità, Otaktay sia l'unico a provare ciò che prova?) e anche Winona, il suo amore, non dà mai sostegno al suo sentire. Risolve tutto con eccessiva semplicità, semplicemente con un invito secco e senza alcun ripensamento: andiamocene. Ma non può essere così semplice. Chi lascia la propria terra per cruda necessità, molto spesso prova grande rimpianto per questo e deve, comunque, convivere con un senso di mancanza. Inoltre, per i nativi americani nello specifico, la vita fuori dalle riserve non presenta grandi opportunità; per loro non è mai esistito il "sogno americano". Dunque ha davvero ha la cieca fiducia di Winona e la sua totale mancanza della benché minima amarezza all'idea di lasciare casa sua? Insomma, mi sembra che tu abbia tirato in gioco un tema bellissimo, ma senza la volontà di portarlo fino in fondo.

Per questo la danza finale dei due innamorati, per quanto apparentemente bella come scena, mi ha lasciato un senso di incompletezza. Poteva essere un momento catartico e dolceamaro: proveremo a cercare fortuna nel mondo fuori, proveremo a prenderci la felicità che ci spetta. Ma la rabbia, il senso di profonda ingiustizia, il risentimento verso gli oppressori che, dopo il danno, vengono qui a prendersi gioco di noi; tutto questo resta e non può essere cancellato da un rituale improvvisato (rituale, fra l'altro, che rischia di essere un altro elemento stereotipico). 

Insomma, la questione che hai scelto di porre in questo racconto l'ho trovata bellissima e importante. Ma, a mio parere, l'hai voluta ricondurre ad una riappacificazione forzata e rassicurante, anziché farci i conti.

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @Areeanna @Nerio @Albascura @@Monica e grazie del passaggio. 

Sono stato cinque giorni senza internet a causa di un guasto e vado di fretta che vi devo leggere tutti... :D

Vi rispondo senza entrare nello specifico con la classica delle risposte: "Ho lanciato il sasso nello stagno", tutto qui. Le vostre impressioni sono giuste, ma non era mia intenzione affrontare nello specifico la questione nativi, che tra l'altro conoscono molto bene. Un finale d'amore era l'unico modo per terminare: niente ascia di guerra. Alla fine lo specifico che non sarà un addio per sempre, per i due. Otaktay in lingua sioux vuol dire "quello che ha ucciso molti nemici". Ciao a tutti..
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @bestseller2020, bel racconto, scritto bene, trama piacevole, traccia centrata, incipit intrigante.
Annotazioni:
bestseller2020 wrote: Aveva ragione Tatanka nel dire “Vi consegno questo mio fucile per mezzo di mio figlio, sperando che almeno lui impari a vivere come i bianchi.”
Questa parte mi sembra troppo scollegata, come se fosse inserita al posto sbagliato.
bestseller2020 wrote: Giovane che guarda lontano
Sembra molto indulgente, forse più corretto: giovane ancorato al passato.
bestseller2020 wrote: “Ah! Ah!” urlava Otaktay
Ecco, questi suoni che inserisci, mi sembra di averlo già letti in altri tuoi racconti, li trovo insopportabili, sminuiscono tutto il testo, interrompono il flusso di lettura, secondo me, al massimo adatti per storielle da raccontare a bimbi in età prescolare.
I dialoghi della seconda parte, a mio avviso non sono all'altezza della prima.
Rimangono validi i complimenti.
A presto
<3

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @Modea72 grazie di essere passata.
Modea72 wrote: Questa parte mi sembra troppo scollegata, come se fosse inserita al posto sbagliato.
Questa è una celebre frase di Toro seduto (al secolo Tatanka), quando si arrese ai bianchi. Si auspicava che il figlio evitasse le guerre con i bianchi, ma è evidente la punta di ironia con cui la disse!  Infatti, Otaktay, dice bene in quel contesto. Ciao. <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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bestseller2020 wrote: Otaktay in lingua sioux vuol dire "quello che ha ucciso molti nemici". Ciao a tutti..
Ciao, Best, ti sei fidato della definizione  dei proprietari di un gioco di ruolo. 
Loro hanno scelto dei nomi in rete e gli hanno dato un significato del tutto inventato. Hanno pubblicato le loro schede personaggi dove danno questa personale interpretazione del nome Otaktay

Otaktay è un nome di origini lakota, tribù alleata ai Sioux, e  il suo significato è piu profondo. Si, significa Guerriero ma come molti altri nomi Lakota, Otaktay è un nome che risuona di significato spirituale, ed è legato non solo alla forza fisica, ma anche a qualità morali e spirituali. Un guerriero, nella tradizione indigena non è solo uno che ammazza. Un guerriero è leale, uno che protegge l'accampamento, è una figura molto rispettata e onorata. 
Scusa la puntualizzazione ma ho molto a cuore questi temi, da quando ero una ragazzina. Leggevo Tex willer ai tempi, poi non ho piu smesso di informarmi su quei popoli e ho mandato a cagare Bonelli con le sue invenzioni. 

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @bestseller2020


Non mi intendo molto di incipit, a parere mio nel tuo ci hai messo un bel po’ di meravigliose metafore che certo nel nostro immaginario rappresentano il modo di esprimersi degli originari abitanti delle Americhe, ma così forse si perde un po’ di pathos. Da quello che so, guardando in rete a fatica perché non conosco bene l’inglese, sappiamo davvero molto poco della vera storia degli indiani. Hai presente le immense città sepolte nella giungla che stanno scoprendo in America Latina, grazie a una nuova tecnica satellitare? Da venire i brividi. Per gli indiani del Nord America è la stessa cosa, ma non lo dicono. 
bestseller2020 wrote: All’interno del tepee tutti lo ascoltavano in silenzio.
Questi indiani sono dentro un tepee ai giorni nostri, però forse non è la loro residenza abituale, anche nelle riserve hanno delle case. Potrebbe essere un tepee a uso dei turisti dove si sono comunque radunati?
Ecco, parlando dei turisti avrei fatto iniziare il racconto con Otaktay che lancia una bella sputazza nel fuoco. Un incipit a effetto.
bestseller2020 wrote: Otaktay si alzò di scatto e puntò il dito: “Per cosa stiamo mostrando ad annoiati turisti le nostre tradizioni? I vostri balli non hanno niente a che vedere con quelli dei nostri avi. State barattando la vostra dignità per quattro dollari in tasca. Per loro siete un gruppo di uomini vestiti di stracci che fanno danze ridicole tra una bevuta e l’altra.” Detto questo, li abbandonò.
Per un attimo, solo un attimo, ci ho visto scene che accadono in certi luoghi (per fortuna non dappertutto) in Sardegna d’estate, trasformata in certi posti come in un pseudo parco a tema per distrarre i turisti paganti e gaudenti.

La “ribellione” di Otaktay l’ho trovata poetica allo stato delle cose, però non va fino in fondo. Si limita alla danza del fuoco che è qualcosa di altamente drammatico e simbolico, che anticipa il coinvolgimento in una lotta, ma è una cosa fatta molto velocemente, non si sente ribollire il sangue al pensiero di una lotta. Sembra quasi che anche Otaktay si sia in fondo adeguato alla mentalità moderna, troppo moderna. Mi ha dato questa impressione. Non che l’indiano non sia sincero e non senta quello che palesa, ma non ha il coraggio di andare davvero in fondo, non è “combattivo”.
E poi cosa ci fa Winona con lui nella danza? Penso che fosse una prerogativa dei soli guerrieri. Mi da l’impressione che anche la ragazza, pur “sentendo” le sue origini,  fa la guida turistica tra l'altro, le abbia comunque un po’ dimenticate. La danza del fuoco non credo si faccia con una donna ad ogni modo, non perché io sia misogino, ma perché un tempo i guerrieri erano guerrieri, in tutto il mondo. Le donne partecipavano, incoraggiavano, ma non andavano a combattere. Però potrei sbagliarmi, non sono certo un esperto. Avresti potuto, secondo me, far ribellare veramente Otaktay, fargli compiere qualche azione eclatante, nulla di letale: incendiare il pulman dei turisti, causare una frana per non farli arrivare dentro la loro riserva... Magari con il padre di Winona costretto a intervenire nelle sue vesti di sceriffo con i suoi uomini, combattuto sul suo ruolo, permettendo a Otaktay alla fine di fuggire dalla riserva con Winona, per non subire le conseguenze legali delle sue azioni, assumendosi le spese per i danni causati, per far crollare eventuali rimostranze  e nonostante tutto, alla fine, il padre sarebbe stato fiero che sua figlia fosse fuggita con Otaktay che aveva dato mostra di essere un guerriero e fuggiva non per vigliaccheria ma per far perdere le sue tracce agli uomini bianchi.
Vabbè, ho messo così le mie impressioni, giusto per movimentare un po’ la scena. Non tenerne troppo conto.
:)  :D
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab15] Otaktay guarda lontano

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Ciao @Alberto Tosciri grazie del passaggio e consigli..

Come detto sopra, e considerato che ogni volta finisco sempre col sangue, e dato la ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne, ho finito con una storia d'amore a lieto fine... La prossima sarà che ci rimetto tanta, ma tanta, tantissima rivoluzione e e sangue! Ciao, a si biri, 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

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