commento
Bianchi pachidermi pelosi vagano immemori
spinti dalle fredde correnti atmosferiche.
Alfredo, seduto nel solito dehor, i gomiti appoggiati al tavolino, il bicchierino del fernet tenuto tra il pollice e il medio, guardava il cielo.
Oh bella. Questa devo scrivermela, pensò.
Grosse nubi candide transitavano nel cielo azzurro e lui si lambiccava il cervello in cerca di un’altra parola che desse l’abbrivio alla sua ispirazione.
Si schiarì la voce tossicchiando e raspando la gola. Prese un bel respiro ed urlò senza nemmeno voltarsi.
– Luciano.
Erano le quattro del pomeriggio e a quell’ora non c’erano altri avventori nel bar. Da dentro il locale si avvertì un brontolio indistinto. Dopo poco il cameriere uscì con un vassoio su cui era posato un bicchierino dal liquido scuro.
Alfredo lo guardò di sbieco.
– Beh! Chi ti ha detto di portarmene un altro? Ho ancora questo da finire.
Luciano fece per girarsi e tornare sui suoi passi.
– Va bene, va bene. Lascialo qua. Anzi, facciamo così.
Alfredo trangugiò ciò che era rimasto nel bicchiere che teneva in mano, lo posò sul vassoio e si tenne quello pieno.
– Ti serve qualcos’altro? – chiese Luciano.
– Eh?
– Se non volevi l’amaro, perché mi hai chiamato?
– Ah sì. Carta e penna per la miseria. – Così dicendo sbatté la mano più volte sul tavolino, segno che voleva essere esaudito immediatamente.
– A che ti servono?
Alfredo sollevò lo sguardo indagatore verso il cameriere.
– E a te cosa importa?
Luciano fece spallucce e si girò per rientrare nel bar, ma Alfredo lo fermò di nuovo tenendolo per un braccio.
– Vieni qui, fatti vedere bene, che io non mi sbaglio. Siediti un attimo.
Dopo qualche esitazione e diverse insistenze da parte di Alfredo, il cameriere accettò di sedersi di fronte a lui.
– Succedono un sacco di cose strane. Prima quei tizi che passano attraverso i muri, poi Lorenzo che paga il conto e ora tu che mi chiedi a cosa mi serve carta e penna. Tutte discrepanze, Da un po’ di tempo sembra che il mondo vada all’incontrario.
– Vado a prenderti carta e penna.
Luciano cercò di disimpegnarsi; fece per alzarsi ma l’altro lo trattenne ancora.
– E no, carino. Adesso questa me la spieghi. Chi siete? Cosa volete? Se la devo dire tutta, nemmeno quel Lorenzo di prima mi ha convinto.
Luciano rassegnato appoggiò i gomiti sulle ginocchia, le dita intrecciate e lo sguardo a terra come chi sta riflettendo su cose importanti.
– Ok – disse infine – non pensavo che saremmo arrivati a questo, però forse è meglio così.
Le rughe sulla fronte di Alfredo si fecero più profonde per lo stupore e l’incredulità per l’imminente rivelazione che doveva confermare le sue teorie. Forse fino a quel punto non ci aveva creduto del tutto nemmeno lui. Deglutì rumorosamente e allontanò da sé il bicchierino di amaro.
– Non so come tu sia riuscito a capirlo. – disse Luciano – Sì, certo, le discrepanze. Avremmo dovuto stare più attenti, ma eravamo così sicuri che non ci avreste fatto caso.
Il cameriere aveva iniziato la sua confessione e sembrava che si stesse togliendo un peso di dosso; appoggiato allo schienale della sedia continuò.
– Siete un popolo strano, avete talmente paura di quello che pensano i vostri simili da ignorare ciò che avete davanti agli occhi. Almeno, questo vale per la maggior parte di voi. È anche per questo che vi abbiamo ritenuti sacrificabili.
Cadde il silenzio. Alfredo staccava ogni tanto lo sguardo dal volto del suo interlocutore per guardare in alto: le nubi, e se gli fosse stato possibile avrebbe voluto guardare ancora otre. Le domande gli si erano congelate nella mente, ma l’altro sembrò capace di intuirle.
– Non è così importante sapere chi siamo o da dove veniamo, del resto per quella che è la vostra conoscenza dell’universo, saperlo non servirebbe a nulla e non cambierebbe le cose.
Alfredo continuava a essere distratto dalle nuvole, come se la sua mente non fosse abbastanza capace a contenere quello che stava accadendo. Poi per un momento tornò presente.
– Luciano.
– Sì? – rispose l’altro.
– No, non tu. Dov’è Luciano.
L’interlocutore aprì le braccia, poi indicò la testa.
– Mah, da qualche parte qui dentro. Diciamo che ho preso il volante di questa macchina e lui è sul sedile del passeggero.
– E a me succederà la stessa cosa?
– Penso di sì.
– Quando?
– Di preciso non saprei. Lassù si stanno ancora organizzando.
Alfredo tornò a guardare il cielo come se “lassù” si potesse scorgere qualcosa del suo destino.
I cumuli bianchi si muovevano pigri, le protuberanze sembravano grappoli di mammelle che si trasformavano in nasi bitorzoluti di volti grotteschi e poi in maiali dalle natiche larghe.
Alzò un dito verso una di quelle nubi.
– Hai visto?
– Cosa?
Luciano si voltò a scrutare nella direzione che gli stava indicando Alfredo.
– Là! Una con quelle cosce me la sarei sposata.
– Non capisco.
Il cameriere smise di guardare il cielo e non sembrava interessato a proseguire oltre con quel discorso assurdo.
– Vado a prenderti carta e penna – disse.
Alfredo senza distogliere lo sguardo annuì in silenzio.
Il notes e la penna nera con la cannuccia di plastica trasparente comparvero con naturalezza nella sua coscienza. Tutto il resto non importava più nulla. La penna si accomodò tra le dita e iniziò a scorrere sul foglio. Arrivata in fondo alla pagina si arrestò e cadde sul tavolino, abbandonata e senza più vita.
L’uomo raccolse il bicchiere di fernet e gli sorrise come si fa con un vecchio amico. Lo avvicinò alle labbra per un ultimo bacio d’addio.
All’ora di chiusura Luciano iniziò a ritirare i tavoli e le sedie del dehor. Il notes e la penna erano rimasti dove Alfredo aveva trascorso tutto il pomeriggio. Notò la scrittura obliqua e ordinata e si prese una pausa per leggere.
Il senso delle nuvole
Bianchi pachidermi pelosi vagano immemori
spinti dalle fredde correnti atmosferiche.
Forme plasmate dai pensieri,
effimeri doni di esistenza.
Illusione di vita.
Miraggio di desiderio.
Ripongo il mio riflesso
nel senso delle nuvole,
Perché quei vapori non si scordino di me.
P.S. Caro Luciano, o come ti chiami chi lo sa, quando arriverà il momento dì al tuo amico che se mi tiene come passeggero dovrà sopportare tutte le mie poesie.
Alfredo