Traccia 1 "La terza stagione"
[MI 183] Si sta come d'autunno
Si sta come d'autunno
Caterina si osserva le mani. Non le sembrano più sue.
La piccola luce che precede l’alba s’insinua tra le fessure degli scuri, dà forma alla stanza; Caterina è seduta con i gomiti poggiati sul tavolo di legno spesso, una tazza di latte fumante e pane duro da inzuppare. Ruota con lentezza le mani davanti agli occhi e si chiede quando abbiano smesso di essere le sue.
La legna nel focolare scoppietta troppo giovane, il fumo brucia un po’ gli occhi.
Lei ha diciannove anni ma quelle che si muovono davanti al suo sguardo sono mani da vecchia. La pelle tirata sul dorso, le dita ispessite dai calli, le unghie piegate dal lavorare.
Non sono più le sue.
Eppure, lo sono.
Perché è così che si invecchia lì, in quella vita di montagna. È così che si diventa lì, in quel tempo di guerra.
E d’improvviso, quasi a dare eco ai suoi pensieri, l’aria è scossa da deflagrazioni d’obice. Fragorose, cupe, ha imparato a riconoscerle; queste sono dei nostri.
Adesso gli altri risponderanno con una gragnola di colpi e sul fronte pioverà la morte.
Caterina aspetta lo schiantarsi dei proiettili, tuffa il pane nel latte in attesa dei boati; e invece niente.
Dal lato austroungarico nessuna risposta.
Meravigliata, si rende conto che anche la notte è trascorsa senza detonazioni: non accade mai. Sempre, sempre, i nemici sparano per tenerli svegli, per fiaccare la resistenza dei soldati italiani.
Ogni notte tranne questa, cosa significa? È finita?
Ha diciannove anni e potrebbe anche sperare che la guerra fosse davvero finita, se non avesse cento lavori da fare. E infatti: Cosa fâs ancje lì, fior?1, la richiama alla realtà la signora madre.
Viene dallo stanzino di stagionatura, con forme di formaggio avvolte nella iuta e tenute sotto le ascelle. Il volto con gli zigomi sporgenti, infarcito di rossi capillari spezzati dal vento e dal freddo. E dalla grappa.
Non le sorride, non la sgrida. La donna parla con voce piatta. Spenta dai dolori della guerra che le ha portato via un marito e il primo figlio.
Del secondo, Alfredo, nessuna notizia da mesi, ma in cuor suo sa di aver perso anche lui, e Caterina il marito.
O vadi in paiès a cambiâ cheste forme. Tòri lis capris2.
Senza fermarsi o degnarla di uno sguardo, la donna attraversa la stanza finché non resta che la porta chiusa alle sue spalle.
Non tornerà prima del buio. Ubriaca e piangente.
Caterina beve l’ultimo sorso di latte, nella solitudine della giornata che l’aspetta lì dentro. Butta cenere sul fuoco per smorzarne l’ardore e fargli covare calore a lungo. Poi aggancia la pentolaccia colma d’acqua sopra di esso, al suo ritorno sarà abbastanza calda da poterci lavare i panni.
Mette la sacca a tracolla con qualcosa per il pranzo e un vecchio lenzuolo mille volte rattoppato. Sulle spalle la gerla vuota e un'accetta per far legna.
Trattiene le lacrime che tanti altri giorni l’hanno prostrata ed esce.
Fuori, l’aria è fresca nel primo autunno.
Anche se il cielo è già schiarito, lì il sole non è ancora sorto, schermato dalla schiena della Punt Granda.
Aveva amato quell’ora strana, in cui già era giorno ma che ancora trascinava con sé il profumo della notte; le sembrava che il creato aspettasse lei per prendere vita e tutto pareva possibile.
Non che si fosse mai immaginata in altro luogo che quello, ma come nelle storie che le raccontava suo padre, forse in un mattino così avrebbe trovato un principe, un drago o, meglio ancora, un menestrello…
Invece, a diciassette anni quel che aveva trovato era stato un marito. Alfredo.
Sua la famiglia più ricca del paese e, se non lo amava, aveva però scoperto quanto fosse divertente fare peccato con lui, in quell’ora ancora incerta, prima d’iniziare la giornata.
Ma era giunto il soffio della guerra e degli uomini chiamati alle armi.
Con essi, le mani che diventavano tanto vecchie di lavoro da non conoscerle più e il freddo nel letto vedovale.
Allora l’alba era diventata l’odioso preludio a una vita che si allontanava sempre più da lei.
Caterina si spoglia accanto a una pozza del torrente.
Lascia che le capre proseguano da sole verso il solito prato e si denuda.
È nascosta alla vista del paese, delle poche case ancora abitate e dei brandelli di muri lasciati quando il fronte era più vicino, non teme d’essere vista.
Saggia l’acqua gelida con la punta del piede e s’impone d’entrare nella pozza subito fonda, immersa fino ai seni.
Osserva per alcuni istanti la linea del sole avvicinarsi con la sua promessa di calore, poi chiude gli occhi.
Le allodole cantano nel vuoto della guerra, oggi ancora silente. Sa che dovrebbe essere questa la normalità, ma ne è stranita.
È così facile abituarsi anche al peggio.
Si domanda se stia facendo la cosa giusta e sorride: ha diciannove anni, non può vivere una vita da vedova. Di certo non vuole invecchiare come le sue mani.
Allora scava terra asciutta e inizia a sfregarsi le braccia e il ventre. È ruvida, graffia, ma il sapone è un lusso esaurito da tempo e lei vuole presentarsi pulita.
Si asciugherà con il lenzuolo rattoppato e la signora madre non noterà niente.
Il sole la inonda quando supera l’ultima salita e s’affaccia sul prato.
Le capre sono lì, e così anche lui.
Caterina corre verso il castagno che delimita il bosco, giallo ramato d’autunno; verso l’uomo seduto nella sua ombra.
Corre felice verso l’uniforme che tanto l’aveva spaventata tre giorni prima.
Allora, era lei seduta al suo posto e il soldato le era sbucato accanto, facendola strillare di paura.
Ma non era fuggita.
L’aveva incuriosita il suo volto ingrugnito, quel naso un po’ troppo largo, gli occhi nascosti dietro alla fessura delle palpebre.
Parlava italiano quel soldato, italiano vero. Non come il suo: parole complete e carezzevoli. Delicate come il primo sfiorare delle sue labbra.
Era così diverso dal suo Alfredo!
Invece dei muscoli tozzi da montanaro, sotto l’uniforme aveva trovato la magrezza nervosa della pianura.
Non l’amare ruvido e possessivo che conosceva, ma un muoversi dolce dentro il suo ventre.
Non la pretesa di tutto, ma il lento conquistare ogni cosa.
E dopo averla amata, lui non se ne era andato. Nudo come lei, le era rimasto accanto e aveva iniziato a parlare, a recitare strani versi, a raccontare vite che lei nemmeno immaginava.
Lei taceva, vergognosa del suo dialetto, incantata da parole che spesso non capiva.
Caterina ferma la sua corsa senza fiato. Lui è chino sul quaderno che ad ogni momento riempie di lettere fitte, sembra non averla notata.
Bun dì, Giosel!
Alza lo sguardo e le sorride.
Bun dì. Fior! Oggi le tue capre hanno corso più di te, cominciavo a preoccuparmi.
Lei sorride, si sfila la camicetta e fa per slacciare la gonna, ma lui la ferma.
L’attira a sé e prende a baciarle i seni, a leccare lento la sua pelle.
Vibra Caterina di quello sfiorare, ansima; lo ama e si lascia amare.
Si rende conto di non essersi mai chiesta cosa fosse la felicità.
Giacciono nudi.
L’erba punge la pelle sudata, i loro respiri ancora affannati.
Caterina ha lo sguardo perso sull’ondeggiare delle foglie sopra di loro. Sull’intreccio dei colori e il frusciare indolente. Dettagli che erano sempre stati lì, ma che non aveva mai notato.
Come le mani, anche i suoi occhi erano invecchiati senza di lei.
Gracies Giosel, sussurra.
Lui rimane stranamente silenzioso e pensa che non l’abbia sentita, ma si sbaglia.
Fior, sono io che dico grazie a te.
Si solleva su un gomito e la guarda negli occhi.
Ancora tre giorni e dovrò tornare al fronte.
A Caterina si stringe la pancia.
Mi aspetterai, meo picul fior? Verrò a prenderti, mi aspetterai?
L’annuire di Caterina si perde in una raffica di vento più forte; le fronde si scuotono, scricchiolano i rami e, silenziose, foglie si staccano.
Ondeggiano via nella brezza tranne due.
Una si posa sul ventre della ragazza, una sul fianco dell’uomo.
Caterina le raccoglie; la sua è quasi rossa, l’altra poco meno di verde. Le porge al suo Giuseppe, al suo Giosel.
Chest sia mi e chest’altre e tu3, si trova a dire, senza una vera ragione.
S’aspetta che la canzoni per quella sciocca frase. Invece annuisce e usa anche lui il dialetto.
Cume a autunno si sta, ma domani sarò qui per te.
E di nuovo si amano.
Giuseppe s’affretta per il pendio.
Risale il crinale aggrappandosi a rami e sterpi per fare più veloce.
Tra poco sarà al colle che s’affaccia sul loro prato, sul loro castagno. Lei non ci sarà, ma Giuseppe scenderà fino a valle per cercarla.
La troverà perché ha bisogno di lei.
La troverà ovunque, anche se il giorno seguente lui non era stato là. Anche se dieci giorni erano passati da allora: giorni di morte e guerra.
La troverà perché è ancora vivo, nonostante quella notte di dieci giorni prima, il silenzio del nemico s’era trasformato in un’offensiva imponente.
L’artiglieria aveva vomitato morte per oltre mezz’ora; come se ogni munizione risparmiata durante il giorno, come se ogni proiettile pronto per il mese successivo, fosse stato sparato sulle loro trincee; seguito da una valanga di uomini e baionette.
In caserma il tenente li aveva fatti scattare: dalle retrovie verso il fronte. Da Caterina all’inferno.
Il boato senza fine delle esplosioni li terrorizzava mentre marciavano nella notte; le lanterne schermate tagliavano il buio con lame di luce fioca come la loro speranza.
C’era voluta un’ora di cammino muto prima di vedere i fantasmi.
Grigi nell’uniforme, pallidi negli sguardi e dai volti cinerei. Sembravano privi d’ogni colore, se non il rosso delle ferite. I fantasmi dei commilitoni in fuga.
La linea era spezzata, il nemico irrompeva. Tutto era perduto e i comandanti chiamarono la ritirata generale.
Non combatté quella notte, Giuseppe, ma fuggì come ordinato.
Lasciò campo libero allo sciamare del nemico; per un giorno intero si ritirò fino a un luogo sicuro. Lontano, troppo lontano da Caterina.
Ma ora sono tornato, si dice Giuseppe.
È giunto al colle e la valle si apre ai suoi piedi. Vede il prato delle capre, riconosce il loro castagno al limitare del bosco. È più spoglio d’allora, ma il giallo delle sue foglie basta a intenerirgli il cuore.
Sa che per lui quello sarà sempre il colore dell’amore.
Prende a scendere.
Prega di trovarla presto, perché ha bisogno di lei, della sua vitalità. Ha bisogno di stringerla forte, del suo calore per scacciare il gelido orrore degli ultimi giorni.
Perché erano tornati a ranghi serrati e giorno per giorno, avevano riconquistato ogni metro, ogni fido d’erba della loro terra.
Erano morti tutti più e più volte; anche chi, come lui, si era trovato sopravvissuto.
Deve solo trovare Caterina e ogni fantasma svanirà.
Giuseppe è fermo all’ombra del castagno.
Caterina sdraiata ai suoi piedi.
Le sue vesti strappate, il suo ventre squarciato da una baionetta.
Era lì per lui.
Era lì per lui.
La guarda e non ha più lacrime. Scenderà a valle e troverà una pala per poterla seppellire lì, sotto il castagno, tra le foglie gialle che la incoronano. Tra le foglie che sono la loro vita.
Sui àlber i fèis, dice col cuore straziato.
1 Cosa fai ancora lì, ragazza?
2 Vado in paese a scambiare queste forme. Porta le capre.
3 Questa sono io e quest’altra sei tu.
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
2@L'illusoillusore hai scritto un piccolo capolavoro, mi metti in difficoltà per un commento utile, perché ho ben poco da dirti, oltre i complimenti.
Immagino perché lei ancora aveva uno spirito giovane in un corpo abbrutito dalla quotidianità? Per me non è chiarissimo, forse potresti migliorare l'immagine.
Ho provato a farti le pulci, ma trovo il tuo racconto veramente bello, ho visto i luoghi e i personaggi, ho colto le emozioni.
A mio parere scritto magistralmente.
Complimenti!
L wrote: ogni fido d’erba della loro terra.qui un refuso.
L wrote: dallo stanzino di stagionatura, con forme di formaggio avvolte nella iuta e tenute sotto le ascelle. Il volto con gli zigomi sporgenti, infarcito di rossi capillari spezzati dal vento e dal freddo. E dalla grappa.qui mi sono chiesta se fosse realistico che in tempo di guerra avessero ancora tanta abbondanza.
L wrote: Del secondo, Alfredo, nessuna notizia da mesi, ma in cuor suo sa di aver perso anche lui, e Caterina il maritoQui non mi era chiaro che Alfredo fosse anche il marito di Caterina, pensavo che quest' ultimo non lo avessi ancora nominato, forse potevi scrivere dopo 'anche lui,' 'il marito di Caterina.'
L wrote: Come le mani, anche i suoi occhi erano invecchiati senza di lei.Cosa intendi scrivendo 'senza di lei'?
Immagino perché lei ancora aveva uno spirito giovane in un corpo abbrutito dalla quotidianità? Per me non è chiarissimo, forse potresti migliorare l'immagine.
Ho provato a farti le pulci, ma trovo il tuo racconto veramente bello, ho visto i luoghi e i personaggi, ho colto le emozioni.
A mio parere scritto magistralmente.
Complimenti!

Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
3Racconto “sontuoso” per la ricchezza delle descrizioni degli ambienti e delle scene @L'illusoillusore. Mi è piaciuta la costruzione lineare della storia con la presentazione della protagonista che consente di inquadrare il luogo e la temporalità dello svolgimento. Molto bella la descrizione del bagno nel fiume, del servirsi della terra come sapone e mi ha colto di sorpresa il fatto che quella igiene era necessaria per presentarsi all’amante.
Al nuovo amore o forse primo amore o meglio all’uomo che le ha fatto scoprire un nuovo modo di essere amata. Perché il piacere lei lo aveva già sperimentato e, da come lo descrivi, le era pure “garbato”. Solo che non aveva mai sperimentato altro… quindi immagino che scoprirsi innamorata sia stata una vera rivelazione e rivoluzione nella sua vita
Al nuovo amore o forse primo amore o meglio all’uomo che le ha fatto scoprire un nuovo modo di essere amata. Perché il piacere lei lo aveva già sperimentato e, da come lo descrivi, le era pure “garbato”. Solo che non aveva mai sperimentato altro… quindi immagino che scoprirsi innamorata sia stata una vera rivelazione e rivoluzione nella sua vita
L wrote: Sua la famiglia più ricca del paese e, se non lo amava, aveva però scoperto quanto fosse divertente fare peccato con luiLa scrittura è solida, lirica a tratti. La cosa che ho “amato” di meno è la parte conclusiva in cui il pdv e la focalizzazione passa (necessariamente visto che la ragazza è morta) a Giuseppe. Forse non avrei descritto la scena, avrei preferito vivere il momento della morte e gli ultimi pensieri attraverso lo sguardo della stessa Caterina. Ma è questione di gusto personale, il racconto è molto bello e il titolo preso in prestito da Ungaretti, mi pare azzeccato.
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
4L wrote: ma virgola come nelle storie che le raccontava suo padre, forse in un mattino
L wrote: Invece, a diciassette anni quel che aveva trovato era stato un marito. Alfredo.Ecco, non capisco, se il marito aveva, si intuisce, una casa migliore, lei sia tornata nella sua, e a una vita più grama.
Sua la famiglia più ricca del paese e, se non lo amava, aveva però scoperto quanto fosse divertente fare peccato con lui, in quell’ora ancora incerta, prima d’iniziare la giornata.
Ma era giunto il soffio della guerra e degli uomini chiamati alle armi.
Con essi, le mani che diventavano tanto vecchie di lavoro da non conoscerle più e il freddo nel letto vedovale.
Allora l’alba era diventata l’odioso preludio a una vita che si allontanava sempre più da lei.
L wrote: Come le mani, anche i suoi occhi erano invecchiati senza di lei.senza che lei sapesse "guardare" il mondo nel bello come nel brutto?
L wrote: Perché erano tornati a ranghi serrati e virgola giorno per giorno, avevano riconquistato ogni metro, ogni fido d’erba della loro terra.
L wrote: Giuseppe è fermo all’ombra del castagno.Giuseppe è stato via per dieci anni e Caterina è stata insepolta da allora?
Caterina sdraiata ai suoi piedi.
Le sue vesti strappate, il suo ventre squarciato da una baionetta.
Era lì per lui.
Era lì per lui.
Questo epilogo non me lo sono spiegata...
Comunque un racconto di pregio, il tuo, @L'illusoillusore, che interpreta e spiega la breve di Ungaretti.
Si sta come d'autunno
sugli alberi le foglie.
I venti di guerra non danno scampo ai più che stanno sul loro percorso.
Complimenti!

Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
5L wrote: Anche se dieci giorni erano passati da allora: giorni di morte e guerra.Perdonami, @L'illusoillusore

Ho letto dieci anni... O, almeno, mi è rimasta l'idea che dieci "anni" erano passati da allora...
Non che la guerra fosse durata dieci anni, ma che fosse finita da dieci anni quando lui torna dall'amata.
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
6I miei due commenti regolamentari per la partecipazione al MI:
viewtopic.php?p=66225#p66225
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
7Un racconto con il quale mi sono trovato molto in sintonia. Mi piace quando riesco a "stare al passo" della storia, riuscendo, se non a prevedere nei dattagli, almeno a "sentire" in che direzione mi sta portando l'autore.
Mi aspettavo che il soldato, qui, non dovesse morire, non volevo che un racconto iniziato così bene finisse nel modo più verosimile, ma anche più banale.
Quando sono arrivato qui:
) come avrei voluto che finisse.
E, infatti, è toccato a lei il destino della foglia.
Perfetto.
Ora, potrebbe sembrare che se una storia lascia così ben prevedere il suo finale, sia una storia condotta in modo banale. E invece no: per me (l'ho già detto) è pura sintonia. È, da lettori, l'essere trasportati dalla storia, che ti precede e poi ti aspetta, e poi ancora un po' ti trascina portandosi avanti, e a un certo punto concede alla tua fantasia di precederla un poco, grazie allo stato d'animo che ti sta suscitando.
È questa l'immagine della storia che, su di me lettore, funziona.
Solo un piccolo dettaglio, sul finale:
"dice" non serve, perché il corsivo rende palese che si tratta di una battuta, o di un pensiero del soldato. Che è poi anche il pensiero del lettore giunto fin lì con Giuseppe. Quindi, doppiamente, per me non serve. Lascia, @L'illusoillusore , che quella ineluttabile conclusione sia anche un po' del lettore: Giuseppe recita quel verso come preghiera laica, mentre lo stesso lettore la sta sentendo martellare nella propria testa. Ecco perché la precisazione non serve: lettore e personaggio possono, devono condividere quel verso (permettimi): "alla pari".
E anche "col cuore straziato" è superfluo dire, perché è ovvio che è così. E forse (l'autore deve sempre aver fiducia dei suoi lettori) chi legge ha saputo immaginare anche di più. Più che strazio, più che dolore senza limiti.
Io, piuttosto, in chiusura, avrei cercato di mostrare ancora una essenziale immagine dell'autunno, avrei cercato di mostrare lo sguardo di Giuseppe che si alza all'orizzonte, o al cielo, e vede la vastità del dolore che gli riserverà la vita da quel momento, breve o lunga che possa essere. Deve esserci una formula (e credo non faticherai a trovarla, se condividi questo mio pensiero) per concludere con l'evidenza che essere foglia che cade e muore non è peggio che sopravvivere.
Mi aspettavo che il soldato, qui, non dovesse morire, non volevo che un racconto iniziato così bene finisse nel modo più verosimile, ma anche più banale.
Quando sono arrivato qui:
L wrote: La troverà ovunque, anche se il giorno seguente lui non era stato là. Anche se dieci giorni erano passati da allora: giorni di morte e guerra....ho avuto la certezza di quale poteva essere l'unico finale di questo racconto, di come (perdonami la presunzione) lo avrei finito io. Oppure (meglio, da lettore quale sono, anche se qualche volta con lo sghiribizzo di scrivere
La troverà perché è ancora vivo, nonostante quella notte di dieci giorni prima, il silenzio del nemico s’era trasformato in un’offensiva imponente.

E, infatti, è toccato a lei il destino della foglia.
Perfetto.
Ora, potrebbe sembrare che se una storia lascia così ben prevedere il suo finale, sia una storia condotta in modo banale. E invece no: per me (l'ho già detto) è pura sintonia. È, da lettori, l'essere trasportati dalla storia, che ti precede e poi ti aspetta, e poi ancora un po' ti trascina portandosi avanti, e a un certo punto concede alla tua fantasia di precederla un poco, grazie allo stato d'animo che ti sta suscitando.
È questa l'immagine della storia che, su di me lettore, funziona.
Solo un piccolo dettaglio, sul finale:
L wrote: Sui àlber i fèis, dice col cuore straziato.quel "dice col cuore straziato." è... troppo detto. Io non sono un fanatico dello show don't tell (anzi!)... ma qui... qui non c'è davvero bisogno di questa precisazione, a mio parere.
"dice" non serve, perché il corsivo rende palese che si tratta di una battuta, o di un pensiero del soldato. Che è poi anche il pensiero del lettore giunto fin lì con Giuseppe. Quindi, doppiamente, per me non serve. Lascia, @L'illusoillusore , che quella ineluttabile conclusione sia anche un po' del lettore: Giuseppe recita quel verso come preghiera laica, mentre lo stesso lettore la sta sentendo martellare nella propria testa. Ecco perché la precisazione non serve: lettore e personaggio possono, devono condividere quel verso (permettimi): "alla pari".
E anche "col cuore straziato" è superfluo dire, perché è ovvio che è così. E forse (l'autore deve sempre aver fiducia dei suoi lettori) chi legge ha saputo immaginare anche di più. Più che strazio, più che dolore senza limiti.
Io, piuttosto, in chiusura, avrei cercato di mostrare ancora una essenziale immagine dell'autunno, avrei cercato di mostrare lo sguardo di Giuseppe che si alza all'orizzonte, o al cielo, e vede la vastità del dolore che gli riserverà la vita da quel momento, breve o lunga che possa essere. Deve esserci una formula (e credo non faticherai a trovarla, se condividi questo mio pensiero) per concludere con l'evidenza che essere foglia che cade e muore non è peggio che sopravvivere.
(E ancora, per ciò che mi riguarda, un po' di sano ottimismo...
)

Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
8@Modea72, ciao!
Grazie degli apprezzamenti, sono contento che il racconto ti sia piaciuto. Devo ammettere che l'ho molto "sentito" mentre scrivevo e Caterina è subito stata concreta nella mia testa.
Ciao!
Grazie degli apprezzamenti, sono contento che il racconto ti sia piaciuto. Devo ammettere che l'ho molto "sentito" mentre scrivevo e Caterina è subito stata concreta nella mia testa.
Modea72 wrote: qui mi sono chiesta se fosse realistico che in tempo di guerra avessero ancora tanta abbondanza.Ho pensato che avendo delle capre, il formaggio fosse una preziosa moneta di scambio per altri generi alimentari, carenti e quindi non in abbondanza (e poi così ho creato i presupposti per la necessità di portare le capre al pascolo e la scusa per far uscire di scena, fisicamente, la suocera di Caterina)
Modea72 wrote: Qui non mi era chiaro che Alfredo fosse anche il marito di Caterina, pensavo che quest' ultimo non lo avessi ancora nominato, forse potevi scrivere dopo 'anche lui,' 'il marito di Caterina.'è vero, probabilmente sono stato troppo criptico nel passaggio. Ed è un mio limite: ha volte cerco più l'armonia del ritmo narrativo che la chiarezza del contenuto!
Modea72 wrote: Cosa intendi scrivendo 'senza di lei'?Sì, è un po' il senso di una persona che si abbitua a vedere solo la normalità della quotidianità e perde di vista la lucentezza della vita.
Immagino perché lei ancora aveva uno spirito giovane in un corpo abbrutito dalla quotidianità? Per me non è chiarissimo, forse potresti migliorare l'immagine.
Ciao!
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
9@@Monica grazie per le tue considerazioni. Sono felice che ti abbia gradito il racconto 
Grazie ancora e a rileggerti!
*se ci sono lettori friulani, non massacratemi per il dialetto, ammetto di aver usato un traduttore online

@Monica wrote: La cosa che ho “amato” di meno è la parte conclusiva in cui il pdv e la focalizzazione passa (necessariamente visto che la ragazza è morta) a Giuseppe. Forse non avrei descritto la scena, avrei preferito vivere il momento della morte e gli ultimi pensieri attraverso lo sguardo della stessa Caterina. Ma è questione di gusto personale, il racconto è molto bello e il titolo preso in prestito da Ungaretti, mi pare azzeccato.Non potevo fare altrimenti perché (non lo scrivo, ma) nel racconto quel Giuseppe è proprio Ungaretti e questa è una immaginaria versione della genesi della poesia Soldati. Se ci fai caso, le uniche due frasi "lunghe" in dialetto friulano* non tradotte sono quelle che lui dice alla fine della parte dedicata a Caterina e alla fine di tutto: ovvero il testo della suddetta poesia! Certo, dovevo fare in modo che la storia funzionasse anche per chi non conosce la poesia e quindi l'ho lasciato tra le righe, ma il finale, per questa mia idea, non poteva essere di Caterina!
Grazie ancora e a rileggerti!
*se ci sono lettori friulani, non massacratemi per il dialetto, ammetto di aver usato un traduttore online

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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
10@Poeta Zaza ciao!
Grazie dei commenti: ormai è assodata la mia conflittualità con le virgole
!
) di vita! Ho temuto di aver scritto il più grande refuso nella storia di tutti gli MI
Grazie dei tuoi commenti, come sempre, e a rileggerti!
Grazie dei commenti: ormai è assodata la mia conflittualità con le virgole

Poeta Zaza wrote: Ho letto dieci anni... O, almeno, mi è rimasta l'idea che dieci "anni" erano passati da allora...Oddio, sai che mi hai fatto perdere dieci anni (o erano giorni


Poeta Zaza wrote: Ecco, non capisco, se il marito aveva, si intuisce, una casa migliore, lei sia tornata nella sua, e a una vita più grama.Sì, è la prima opzione!. Come scrivevo in una precedente risposta, a volte cerco più l'armonia della frase nel ritmo del racconto e divento criptico... migliorerò!
Grazie dei tuoi commenti, come sempre, e a rileggerti!
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
11@queffe grazie davvero per i tuoi commenti, mi trovo in sintonia con essi!
Capisco benissimo cosa intendi sulle aspettative del lettore, sull'importanza di essere gratificati nel capire quel che accadrà senza però cadere nello scontato!
E anche sul finale sono d'accordo con te, col senno di poi!
Il fatto è che mi sono lasciato trasportare dal fatto che quel Giuseppe è proprio Ungaretti e "il cuore straziato" è una citazione da San Martino del Carso, dove, forse, avviene l'invasione del fronte!
A rileggerti!
Capisco benissimo cosa intendi sulle aspettative del lettore, sull'importanza di essere gratificati nel capire quel che accadrà senza però cadere nello scontato!
E anche sul finale sono d'accordo con te, col senno di poi!
Il fatto è che mi sono lasciato trasportare dal fatto che quel Giuseppe è proprio Ungaretti e "il cuore straziato" è una citazione da San Martino del Carso, dove, forse, avviene l'invasione del fronte!
A rileggerti!
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
13@Kasimiro


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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
14Ciao @L'illusoillusore e davvero bentornato. Si sentiva la tua mancanza.
Complimenti, una bella per quanto dolorosa storia, ambientata addirittura nella 1^ Guerra Mondiale, sulla quale bisognerebbe riscrivere e divulgare ancora tanto materiale occultato. Pensavo di essere l’unico a scrivere di soldati, in quanto il genere non è molto amato, pur offrendo a mio parere svariate peculiarità, di cui tu qui hai dato un ottimo esempio.
Già dal titolo si capisce che in qualche modo entrerà a farci parte il poeta Ungaretti, che lasci anche intuire da alcune peculiarità del fante Giuseppe.
Scritto molto bene, con particolari accurati che ti fanno vedere le immagini come in un film, specie nella prima parte dove entra in scena la sfortunata Caterina ma anche nelle fugaci rappresentazioni del fronte.
Molto bella la scena dove Caterina si lava nel torrente usando la terra come sapone.
Al di là della storia mi sono posto alcune domande più che altro “tecniche” sulla costruzione dei movimenti di questo soldato, che però non avrebbero cambiato il corso della storia da te narrata.
Da quello che ho letto il soldato quando incontra per la prima volta Caterina sembrerebbe essere di stanza in una caserma delle retrovie, poco prima di essere trasferito al fronte. Se è in libera uscita tieni presente che da solo, in campagna potrebbe essere considerato “fuori zona” nel senso che, specie in tempo di guerra, i militari in libera uscita non possono andare dove vogliono ma stazionare entro determinati limiti che potrebbero essere il paese dove sorge la caserma. Se veniva scoperto fuori dalla sua zona da una pattuglia di carabinieri, che avevano e hanno compiti di polizia militare, non passava inosservato, rischiava di andare incontro a un fermo, interrogazioni, sospetti di tentata diserzione addirittura. Basta guardare i verbali dei processi, quelli che si conoscono, di militari dell’epoca, finiti fucilati per delle assurdità.
In seguito Giuseppe va al fronte, gli austriaci sfondano, viene ordinata non la fuga, anche se era una fuga, ma la “ritirata”. I militari diranno sempre così: ritirata verso le proprie linee arretrate, per ricongiungimento con i propri reparti in attesa di ordini per la controffensiva. Questo implica chiaramente confusione in soldati sbandati, sparsi in territori che non conoscono e perciò andranno da tutte le parti.
Qui la situazione può assumere svariati aspetti, io faccio delle ipotesi. Giuseppe pensa di tornare al castagno dove ha conosciuto Caterina. La trova uccisa da un colpo di baionetta al ventre, presumibilmente dopo essere stata violentata. Da chi? Potrebbero essere stati gli austriaci? Potrebbero essere stati sbandati italiani?
Se sono austriaci allora la zona è pericolosa per il soldato italiano. Se Giuseppe si trova, come prima, ancora “fuori zona”, nel senso che i reparti italiani sono arretrati oltre le retrovie iniziali, lui è in territorio conquistato dal nemico. Al contrario, se incappasse nelle solite pattuglie carabinieri (che erano molto solerti nel ricercare sbandati, non erano molto popolari fra i soldati, pur combattendo al fronte anche i carabinieri ed essendo famosi per non ritirarsi mai e resistere fino alla fine) potrebbe ancora una volta dover spiegare da che parte sta andando: se per ricongiungersi alle truppe italiane o per i fatti suoi. Alternativa quest’ultima non auspicabile, perché gravida di conseguenze letali.
Ma Giuseppe sembra libero, troppo libero di muoversi come vuole, andare dove vuole in un mondo impazzito e in fiamme che non si accorge di lui. E anche questo può essere.
Comunque, al di là di questi miei dubbi forse troppo “tecnici” lo ammetto, nulla toglie alla bellezza e plausibilità storica del tuo racconto.

Complimenti, una bella per quanto dolorosa storia, ambientata addirittura nella 1^ Guerra Mondiale, sulla quale bisognerebbe riscrivere e divulgare ancora tanto materiale occultato. Pensavo di essere l’unico a scrivere di soldati, in quanto il genere non è molto amato, pur offrendo a mio parere svariate peculiarità, di cui tu qui hai dato un ottimo esempio.
Già dal titolo si capisce che in qualche modo entrerà a farci parte il poeta Ungaretti, che lasci anche intuire da alcune peculiarità del fante Giuseppe.
Scritto molto bene, con particolari accurati che ti fanno vedere le immagini come in un film, specie nella prima parte dove entra in scena la sfortunata Caterina ma anche nelle fugaci rappresentazioni del fronte.
Molto bella la scena dove Caterina si lava nel torrente usando la terra come sapone.
Al di là della storia mi sono posto alcune domande più che altro “tecniche” sulla costruzione dei movimenti di questo soldato, che però non avrebbero cambiato il corso della storia da te narrata.
Da quello che ho letto il soldato quando incontra per la prima volta Caterina sembrerebbe essere di stanza in una caserma delle retrovie, poco prima di essere trasferito al fronte. Se è in libera uscita tieni presente che da solo, in campagna potrebbe essere considerato “fuori zona” nel senso che, specie in tempo di guerra, i militari in libera uscita non possono andare dove vogliono ma stazionare entro determinati limiti che potrebbero essere il paese dove sorge la caserma. Se veniva scoperto fuori dalla sua zona da una pattuglia di carabinieri, che avevano e hanno compiti di polizia militare, non passava inosservato, rischiava di andare incontro a un fermo, interrogazioni, sospetti di tentata diserzione addirittura. Basta guardare i verbali dei processi, quelli che si conoscono, di militari dell’epoca, finiti fucilati per delle assurdità.
In seguito Giuseppe va al fronte, gli austriaci sfondano, viene ordinata non la fuga, anche se era una fuga, ma la “ritirata”. I militari diranno sempre così: ritirata verso le proprie linee arretrate, per ricongiungimento con i propri reparti in attesa di ordini per la controffensiva. Questo implica chiaramente confusione in soldati sbandati, sparsi in territori che non conoscono e perciò andranno da tutte le parti.
Qui la situazione può assumere svariati aspetti, io faccio delle ipotesi. Giuseppe pensa di tornare al castagno dove ha conosciuto Caterina. La trova uccisa da un colpo di baionetta al ventre, presumibilmente dopo essere stata violentata. Da chi? Potrebbero essere stati gli austriaci? Potrebbero essere stati sbandati italiani?
Se sono austriaci allora la zona è pericolosa per il soldato italiano. Se Giuseppe si trova, come prima, ancora “fuori zona”, nel senso che i reparti italiani sono arretrati oltre le retrovie iniziali, lui è in territorio conquistato dal nemico. Al contrario, se incappasse nelle solite pattuglie carabinieri (che erano molto solerti nel ricercare sbandati, non erano molto popolari fra i soldati, pur combattendo al fronte anche i carabinieri ed essendo famosi per non ritirarsi mai e resistere fino alla fine) potrebbe ancora una volta dover spiegare da che parte sta andando: se per ricongiungersi alle truppe italiane o per i fatti suoi. Alternativa quest’ultima non auspicabile, perché gravida di conseguenze letali.
Ma Giuseppe sembra libero, troppo libero di muoversi come vuole, andare dove vuole in un mondo impazzito e in fiamme che non si accorge di lui. E anche questo può essere.
Comunque, al di là di questi miei dubbi forse troppo “tecnici” lo ammetto, nulla toglie alla bellezza e plausibilità storica del tuo racconto.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
(Apocalisse di S. Giovanni)
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
15@Alberto Tosciri Ciao!
Grazie del ben tornato e dell’apprezzamento per il racconto.
Riguardo allo scrivere di soldati, ho sempre pensato a MI come una palestra dove tentare generi sempre nuovi e, con l’aiuto dei commenti, imparare a maneggiarli.
Quando mi è venuta in mente la poesia di Ungaretti non potevo fare altro che provarci e ammetto che ho pensato “chissà cosa commenterà Alberto”, che di questo genere é maestro!
Adesso lo so e mi hai passato una serie di informazioni che non avevo, grazie!
Di conseguenza, dimmi se regge questa sequenza temporale: tre giorni prima dell’inizio della nostra storia Giuseppe ha un giorno di licenza e incontra Caterina. Il suo amore é talmente folgorante, talmente potente, che decide di rischiare le pattuglie dei Carabinieri durante la libera uscita dei giorni successivi pur di rivederla. Nella notte dopo la scena delle foglie sotto il castagno, il nemico attacca e Giuseppe si “ritira” con i commilitoni perché il nemico rompe le difese. A questo punto per le montagne ci sono nemici e sbandati, chi uccide Caterina? Non importa, perché chiunque sia stato è figlio della assurdità della guerra! Quel che conta è che Caterina era lì ad aspettare l’uomo che amava, che le aveva acceso una speranza di felicità mai provata, e viene assassinata.
Nel frattempo la ritirata é finita e diventa una controffensiva. L’esercito italiano impiega alcuni giorni a riconquistare il terreno perduto ma alla fine c’è la fa. Rinsaldata la trincea, magari addirittura conquistato più territorio, arrivano anche truppe fresche e ai veterani è concessa una licenza. Sono passati dieci giorni dal loro amarsi sotto il castagno e Giuseppe corre da Caterina solo per trovarla cadavere…
Praticamente il mio prossimo romanzo
Grazie del ben tornato e dell’apprezzamento per il racconto.
Riguardo allo scrivere di soldati, ho sempre pensato a MI come una palestra dove tentare generi sempre nuovi e, con l’aiuto dei commenti, imparare a maneggiarli.
Quando mi è venuta in mente la poesia di Ungaretti non potevo fare altro che provarci e ammetto che ho pensato “chissà cosa commenterà Alberto”, che di questo genere é maestro!
Adesso lo so e mi hai passato una serie di informazioni che non avevo, grazie!
Di conseguenza, dimmi se regge questa sequenza temporale: tre giorni prima dell’inizio della nostra storia Giuseppe ha un giorno di licenza e incontra Caterina. Il suo amore é talmente folgorante, talmente potente, che decide di rischiare le pattuglie dei Carabinieri durante la libera uscita dei giorni successivi pur di rivederla. Nella notte dopo la scena delle foglie sotto il castagno, il nemico attacca e Giuseppe si “ritira” con i commilitoni perché il nemico rompe le difese. A questo punto per le montagne ci sono nemici e sbandati, chi uccide Caterina? Non importa, perché chiunque sia stato è figlio della assurdità della guerra! Quel che conta è che Caterina era lì ad aspettare l’uomo che amava, che le aveva acceso una speranza di felicità mai provata, e viene assassinata.
Nel frattempo la ritirata é finita e diventa una controffensiva. L’esercito italiano impiega alcuni giorni a riconquistare il terreno perduto ma alla fine c’è la fa. Rinsaldata la trincea, magari addirittura conquistato più territorio, arrivano anche truppe fresche e ai veterani è concessa una licenza. Sono passati dieci giorni dal loro amarsi sotto il castagno e Giuseppe corre da Caterina solo per trovarla cadavere…
Praticamente il mio prossimo romanzo
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
16Ciao @L'illusoillusore
Mi piace la tua sequenza, può essere molto verosimile. Tieni presente che ogni frase che hai scritto, puoi dipanarla in uno o anche più capitoli se davvero vuoi scriverci un romanzo. Capitoli ricchi di particolari e riflessioni. L'idea mi piace e anzi: potresti aggiungere nuovi personaggi.
Metti che la zona dove è stata uccisa Caterina sia tornata in mano italiana, vengono arrestati disertori italiani (ce ne sono sempre in tutti gli eserciti) e uno di questi, avendo avuto sentore che sarà fucilato confessa di aver assistito alla violenza e uccisione di una ragazza del posto ed è disponibile ad indicare il nome del colpevole se gli sarà risparmiata la vita.
La questione potrebbe essere presa a cuore da un solerte brigadiere comandante di stazione del posto (un territoriale, cioè pur essendo nei luoghi dove si combatte non fa parte di reparti operativi ma continua il suo normale servizio con i civili del paese di sua competenza, pur collaborando nelle operazioni di polizia militare). Il brigadiere decide di svolgere indagini e ne viene a conoscenza Giuseppe, parlando con alcuni soldati in un'osteria. Giuseppe, che non ha dimenticato Caterina ed è rimasto scosso dalla sua morte, decide di fare in modo di conoscere il nome dell'assassino...
Vabbè... esagero.
Però, tutto si può fare.
Mi piace la tua sequenza, può essere molto verosimile. Tieni presente che ogni frase che hai scritto, puoi dipanarla in uno o anche più capitoli se davvero vuoi scriverci un romanzo. Capitoli ricchi di particolari e riflessioni. L'idea mi piace e anzi: potresti aggiungere nuovi personaggi.
Metti che la zona dove è stata uccisa Caterina sia tornata in mano italiana, vengono arrestati disertori italiani (ce ne sono sempre in tutti gli eserciti) e uno di questi, avendo avuto sentore che sarà fucilato confessa di aver assistito alla violenza e uccisione di una ragazza del posto ed è disponibile ad indicare il nome del colpevole se gli sarà risparmiata la vita.
La questione potrebbe essere presa a cuore da un solerte brigadiere comandante di stazione del posto (un territoriale, cioè pur essendo nei luoghi dove si combatte non fa parte di reparti operativi ma continua il suo normale servizio con i civili del paese di sua competenza, pur collaborando nelle operazioni di polizia militare). Il brigadiere decide di svolgere indagini e ne viene a conoscenza Giuseppe, parlando con alcuni soldati in un'osteria. Giuseppe, che non ha dimenticato Caterina ed è rimasto scosso dalla sua morte, decide di fare in modo di conoscere il nome dell'assassino...
Vabbè... esagero.

Però, tutto si può fare.

Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
17@Alberto Tosciri lo scriviamo a 4 mani!
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
18@L'illusoillusore si potrebbe provare, perchè no? Non so cosa ne uscirebbe però da parte mia.
Magari ne riparliamo. In questo momento sono piuttosto sommerso di lavoro arretrato di anni.
Magari ne riparliamo. In questo momento sono piuttosto sommerso di lavoro arretrato di anni.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
(Apocalisse di S. Giovanni)
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
19Detesto i Lieto Fine, a volte mi suonano come candeggi con centrifuga per coscienze da stendere al sole.
Ma in questo caso… perché me l’hai fatta morire @L'illusoillusore ?Perché?
Sì, e anche molto.
Mi torna in mente quella scena nell’Amarcord di Fellini, quando chiedono alla donnetta appena uscita dal cinema se le fosse piaciuto il film e lei, tutta contenta: «È stato tanto bello e ho pianto tanto.»
Un intero mondo in poco più di diecimila caratteri, senza una sbavatura, senza un di meno né un di troppo (a parte la frase finale, te l'ha già fatto notare @queffe, comunque un'inezia) Così lontano dalle nostre isterie metropolitane, eppure familiare, come l’avessimo da sempre custodito in quella stanza della memoria dove si tengono le cose importanti, dove anche i pensieri camminano in punta di piedi per non turbarne il riposo.
Grazie .
Ma in questo caso… perché me l’hai fatta morire @L'illusoillusore ?Perché?

L wrote: Si rende conto di non essersi mai chiesta cosa fosse la felicità.Ha diciannove anni, cavolo! Ti pare carino quello che le hai fatto?
Sì, e anche molto.
Mi torna in mente quella scena nell’Amarcord di Fellini, quando chiedono alla donnetta appena uscita dal cinema se le fosse piaciuto il film e lei, tutta contenta: «È stato tanto bello e ho pianto tanto.»
Un intero mondo in poco più di diecimila caratteri, senza una sbavatura, senza un di meno né un di troppo (a parte la frase finale, te l'ha già fatto notare @queffe, comunque un'inezia) Così lontano dalle nostre isterie metropolitane, eppure familiare, come l’avessimo da sempre custodito in quella stanza della memoria dove si tengono le cose importanti, dove anche i pensieri camminano in punta di piedi per non turbarne il riposo.
Grazie .
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
20Ciao @L'illusoillusore . Sei bravo anche tu nel dilatare il racconto negli spazi infiniti della narrazione. Quando gli eventi non sono frenetici, i fatti al limite dell'azione, è naturale contare sull'affresco. Mi accodo a @aladicorvo per questo finale a dir poco strappalacrime, stile novecento, parecchio retrò e gettato lì! Io avrei apprezzato un finale a sorpresa, del tipo: il marito che è ancora vivo, torna a casa, va a cercarla al suo castagno, e la trova tra le braccia di Giuseppe. Come sarebbe finita? Chissà se ci avrai pensato.
Ciao.

Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
21@aladicorvo ciao!
Grazie per il commento, e sono contento che il racconto ti sia piaciuto.
Purtroppo, visto che volevo mettere in prosa la poesia di Ungaretti, qualcuno doveva morire e non poteva essere Giuseppe (Ungaretti) che la poesia doveva comporla!
La prossima volta lieto fine a go go!!
A rileggerti!
Grazie per il commento, e sono contento che il racconto ti sia piaciuto.
Purtroppo, visto che volevo mettere in prosa la poesia di Ungaretti, qualcuno doveva morire e non poteva essere Giuseppe (Ungaretti) che la poesia doveva comporla!
La prossima volta lieto fine a go go!!
A rileggerti!
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Re: [MI 183] Si sta come d'autunno
22@bestseller2020 ciao!
Grazie di aver lasciato il tuo commento al racconto, che, spero, tu abbia gradito.
Riguardo al finale a sorpresa, é una delle cose che normalmente cerco nei racconti, ma in questo caso no, non poteva proprio funzionare. O meglio, sarebbe stato altra cosa rispetto alle quattro righe di poesia cui mi sono ispirato. Tanto più vero perchè non l’ho per nulla buttato lì, ma sono proprio partito dall’idea di quel finale per costruire l’intera narrazione.
Ciao e a rileggerti!
Grazie di aver lasciato il tuo commento al racconto, che, spero, tu abbia gradito.
Riguardo al finale a sorpresa, é una delle cose che normalmente cerco nei racconti, ma in questo caso no, non poteva proprio funzionare. O meglio, sarebbe stato altra cosa rispetto alle quattro righe di poesia cui mi sono ispirato. Tanto più vero perchè non l’ho per nulla buttato lì, ma sono proprio partito dall’idea di quel finale per costruire l’intera narrazione.
Ciao e a rileggerti!
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