[MI183] Il Dottore

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Traccia 3 - Il fratello

Lo chiamavano il Dottore perché una volta salvò un tizio con un pezzo di salsiccia incastrata in gola facendogli un buco con un coltello di cucina, va a sapere, ne giravano tante sul suo conto.
La verità è che, per essere veramente un dottore, insomma difficile da credere, dato che se  ne andava in giro lercio e puzzolente, sicuro che dormiva per la strada.
Ma pure a crederci, che fosse mai stato medico, uno così dovevano averlo radiato per qualche cazzata, una grossa, di quelle col rimorso che ti mangia vivo e non ti butti giù dal ponte solo perché sarebbe stato quasi un premio e invece sai che te lo devi bere, l’amaro calice, quello della colpa e poi tutti gli altri, fino a dimenticare pure chi sei.
 
«Raccontaci di quella volta che hai operato il figlio del conte.»
 
Non era conte e manco barone, cioè barone sì, come si chiamano quelli che fanno il bello e il cattivo tempo nelle università. Era il professor Adelmo Sarcinelli, autorità europea della chirurgia oncologica. Ricco di famiglia, viveva in una villa circondata da un parco così grande che lo potevi girare a cavallo per ore prima di arrivare al muro di cinta.

«La storia, dai,  non farti pregare.»
Seduto al solito tavolo in fondo, proprio vicino al cesso, il Dottore li guardava.
Massa indistinta di facce, di voci, avranno pure avuto un nome, una vita, gioie o preoccupazioni, fregava niente, gli pagassero da bere e basta.
«Dai, dai, la storia del figlio del conte.»
Non gli piaceva raccontarla. Solo alla terza pinta si convinceva e solo con la promessa che ne avrebbe avute altre.
«Rosa, porta da bere al signore, ché se deve parlare non può avere la bocca asciutta.»
E Rosa la spillava sorridendo, con la spatola toglieva la schiuma di troppo e gliela poggiava delicatamente sul tavolo: «Ecco qui, bella fresca come piace a te.»
Lui afferrava il boccale, lo vuotava per metà e si asciugava i baffi col dorso della mano.
«Allora?»
Allora va bene, la birra era giusta e quindi: «Filippo, si chiamava così il ragazzo. Bello come un principe e pallido come un cencio, si portava dentro la condanna di una sorte spietata. Perché quelle, le disgrazie, non sempre te le vai a cercare. A volte ci nasci disgraziato e quando succede, insomma quando la frittata è avvelenata, o te la mangi oppure la rivolti.»
«Mo che c’entra la frittata?»
«Allora sei cretino! È una metafora, no? Significa che quando il destino si accanisce o abbozzi o je meni.»
«A chi?»
«Lascia perdere, te lo spiego dopo.»
«No, voglio capire. Se questo era figlio del professore, con tutti i soldi che giravano per casa, che problema poteva avere?»
«La salute, caro mio» disse il Dottore. «Se non hai quella sei fottuto.»
«Col padre medico? Ma dai!»
«Non basta. Perché non era mica solo il padre, tutta la famiglia. Una dinastia di medici conosciuta in tutto il mondo. Amici di gente come Harvey Cushing e William Bovie, tanto intimi da farci le vacanze assieme.»
«E chi sarebbero?»
«Uno è stato un medico americano, pioniere della neurochirurgia e dello studio dell'ipofisi. L’altro ha inventato l’elettrobisturi, uno strumento che… Ma no, è inutile, tanto non capireste.»
«Vabbè, ma tu che c’azzecchi con tutti questi cervelloni?»
Quando glielo chiedevano, il Dottore si rabbuiava: «Niente, non c’azzecco niente, va bene?» Afferrava rabbioso il boccale, lo vuotava e lo sbatteva sul tavolo. «Rosa, portamene un’altra.»
«Eddai, era solo una domanda…»  
«Fallo parlare, per la miseria! La vuoi sentire la storia o no?»
«Sì, non dargli retta, racconta. Eravamo arrivati a Filippo. Che c’aveva ‘sto ragazzo?»
«Roba brutta» fece il Dottore «che gli cresceva dentro e schiacciava tutto quello che trovava. Così non restava che aprirlo ed estirparla come una gramigna. Per un po’ sembrava funzionare, ma poi si tornava punto e daccapo.»
«Povero figlio, che vita di merda.»
«E io che mi lamento dell’artrosi.»
«Giovà, tu sei un poveraccio che ha zappato terra tutta la vita, un po’ di mal di schiena ci può stare, no?»
«Quindi mi posso lamentare.»
«Fai come ti pare, basta che stai zitto. Continua, dottò.»
«Venne da me a Zagabria…»
«Zagabria? Ma l’altra volta era Zurigo.»
«E sempre con la zeta è! Possibile che non vi sta mai bene niente?»
«No, è che ha saltato tutta la parte di Josip, che mi piace tanto. Quella che lo porta al mare e poi a ballare…»
«Ma che ballare, sulla sedia a rote?»
«Mbè, che c’entra? Ci fanno pure le paralimpiadi sulla carrozzina, che non possono ballare?»
«No, scusate, chi era Josip?»
«Ecco, ci mancava. È arrivato Scusate. Me pare de sta a giocà a tombola cor nonno.»
«Era il badante di Filippo» spiegò il Dottore. «Badante, infermiere, tuttofare, praticamente la sua ombra.»
«Quello che ha portato una ventata di allegria nella vita del povero giovane facendogli riscoprire la gioia di stare al mondo.»
«Esattamente.»
«Che poi sono diventati amici, proprio come in quel film…»
«Sì, l’ho visto, era Quasi Amici
«E non se po’ fa così! Allora annamosene tutti ar cinema e finimola qui.»
In quel momento, Rosa si avvicinò al Dottore, prese il boccale vuoto e gli mise una mano sulla spalla: «La vuoi un’altra birretta?»
«Solo se racconta la parte di Josip.»
«Non tutta, basta quella di dopo che è morta la nonna.»
Il Dottore alzò la testa e fissò il vuoto con lo sguardo velato di malinconia: «Clelia Sarcinelli era una gran donna» disse. «Eppure…»
«Pure lei ha fatto una cazzata, eh?»
«Più nera è la notte, più brillano le stelle.»
«Vabbè, questa ce la segniamo. Adesso però vai avanti.»
E il Dottore cominciò: «Era di sera e non ci si vedeva, dato che la tempesta aveva mandato in corto l’impianto elettrico e le candele erano tutte in biblioteca, dove la famiglia pregava e piangeva la dipartita di Clelia. Filippo non la smetteva più di piangere, tanto che Josip pensò che prima dell’alba si sarebbe consumato tutto e di lui non sarebbe rimasto che un mucchietto di vestiti zuppi di lacrime…»
 
«È esausto. Lo porterei in camera a riposare» disse Josip al professor Sarcinelli.
Quello dette un’occhiata al figlio ed emise un mugugno di consenso.
L’altro spinse la carrozzina fino all’ascensore e quando furono al piano, la spinse ancora lungo il corridoio fino a una porticina nascosta dietro una tenda di velluto.
«Ma dove mi hai portato?» disse Filippo «Questa non è la porta di camera mia.»
«Lo so» fece Josip.
Bastò una spallata, i cardini arrugginiti mollarono la presa e loro entrarono in un posto che lasciò Filippo a bocca aperta.
Odore di muffa e qualcosa che ricordava quello dei biscotti mescolato a un lieve profumo di lavanda. 
Armadi, poltrone, tavoli e tavolini, cataste di quadri con cornici dorate, rotoli di tappeti, lampadari di cristallo e persino un paio di statue su piedistalli di marmo.
«Ma cos’è questo?»
«Il paese delle meraviglie. Non c’eri mai stato, vero?» disse Josip, contento di vedere che aveva smesso di piangere.
«Tu invece sì.»
«Quando non riuscivo a prendere sonno. Russi come un cinghiale, sai?»
Staccò dal muro una lampada a petrolio, l’accese con lo Zippo che aveva in tasca e andò verso il fondo della stanza. «Vieni, dai.»
«E come faccio?»
«Con le braccine sante. Quelle ti funzionano ancora.»
«Ma io…»
«Io niente, datti una mossa, principino. C’è una cosa che devi assolutamente vedere.»
La cosa stava sullo scaffale di una libreria, nascosta tra decine di volumi ingrigiti dalla polvere, grigia pure lei, che a vederla da lontano era uguale a tutto il resto.
Josip la sfilò con delicatezza, la poggiò su una scrivania di legno scuro, avvicinò uno scranno che pareva un trono, ci si accomodò e guardò Filippo che s’era incagliato tra un baule e un attaccapanni. «Vedi che succede ad avere sempre la pappa fatta?» disse ridendo.
«Certo che se mi dessi una mano…»
«Non ci penso nemmeno.»
«Vai a quel paese!» ringhiò l’altro mentre cercava di liberarsi
«Bravo, questo è lo spirito giusto. Insisti, ce la puoi fare.»
E infatti con uno strattone, una manata e una mezza piroetta, Filippo superò lo sbarramento e lo raggiunse.
La cosa era lì.
Filippo la guardava senza avere il coraggio di toccarla. «Cos’è?»
«A te che sembra?»
L’altro si strinse nelle spalle: «Boh, una cosa a metà tra un libro e una scatola.»
«E non vuoi sapere cosa c’è dentro?»
«Tu lo sai, vero?»
«Sì. E credo che anche tu dovresti.»
 
A questo punto il Dottore si fermò e fissò gli astanti che a loro volta lo fissavano in un silenzio da tagliarsi col coltello.
«Allora?»
Il Dottore guardò il boccale vuoto, alzò il mento con sussiego e prese a fissare il muro.
«Rosa!» urlò Antonio.
Quella accorse con una caraffa da un litro e mezzo, la posò sul tavolo e tornò al bancone.
Il Dottore la prese con tutte e due le mani, ne buttò giù metà ed emise un boato di soddisfazione.
«Insomma, che c’era dentro a ‘sto coso?»
«Ricordi. Una ciocca bionda legata con un fiocchetto azzurro, una scatolina d’argento a forma di stella, ma soprattutto fotografie ingiallite. Parenti e amici. Una tavolata davanti al mare, sulle rive di un ruscello in montagna, a una festa di Carnevale, tutti mascherati da dame e cavalieri.»
«Vabbè, cazzate.»
«Quasi tutte. Tranne una.»
 
Quando la vide, Filippo trasalì.
Un ragazzo con la toga e il tocco sorrideva tra i genitori raggianti di orgoglio.
«Ma questo sono io!» disse.
«Ti sei laureato, tu?» fece Josip.
«No. Mi hanno fatto studiare a casa, lo sai.»
«E quindi?»
«E quindi non capisco…»
«Leggi quello che c’è scritto dietro»
 
Che questo sia l'inizio di una straordinaria avventura. Con tanto amore o orgoglio. Mamma e Papà 
 
«Ma che significa?» disse Filippo.
«Ragiona: c’è un ragazzo uguale a te, che non sei te, e di cui i tuoi genitori sono mamma e papà. Questo significa che…»
«Ho un fratello!»
Josip annuì.
«Dovrebbe essere una bella cosa. Perché non sono contento?»
«Perché il tuo cervello comincia a capire, ma il tuo cuore sta cercando di proteggerti.»
«Ma da cosa dovrebbe proteggermi?» disse Filippo.
«Da questo» fece Josip e sfilò dal fondo una cartellina piena di fogli.
 
A questo punto il Dottore afferrò la caraffa, dette una gran sorsata e rimase a fissare il vuoto con gli occhi lucidi.
«Adesso c’è la parte difficile» sussurrò Antonio. «Quando ci arriva gli viene sempre da piangere.»
«E perché?»
«Sta zitto e ascolta. Vedrai che piangi pure tu.»
«Ma io non voglio piangere!»
«Allora vattene a casa.»
«Eh no, voglio sapere che c’era nella cartellina.»
 
Filippo cominciò a leggere. Un foglio dopo l’altro, sempre più pallido, tremava, boccheggiava, mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance.
Alla fine alzò la testa: «Quindi non sono mai stato malato.»
«No. Quello malato era tuo fratello.»
«E perché io… e lui invece…Oh, mioddio! Ma come hanno potuto, come?»
«Dovevano scegliere.»
«E certo, poverini! Chissà che angoscia!»
«Beh, dopotutto non ti hanno fatto mancare niente… Insomma, a parte un rene, un polmone, metà dello stomaco, un paio di vertebre e un po’ di midollo.»
E a sentire l’enormità di quella cazzata, si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.
E risero finché ebbero fiato, finché quella smise di essere una cazzata e rimase soltanto quello che era: una enorme, assurda mostruosità.
«Me l’avessero detto che sarei diventato un serbatoio di organi…»
«Adesso che lo sai, cosa intendi fare?»
«Bella domanda. Non ci ho mai pensato. Erano gli altri a decidere: mamma, papà, il dottor Horvat. Ho sempre pensato che lo facessero per il mio bene e la sai una cosa? Dopotutto non era male la sua clinica. Non potevo andare da nessuna parte e quei viaggi, alla fine, li prendevo come una vacanza.»
«Ti ho fatto una domanda: che intendi fare?»
Filippo si strinse nelle spalle: «Non lo so. Da qualche giorno mi hanno sospeso tutti i farmaci e questo succede quando c’è in ballo un altro intervento.»
Josip lo guardò con la faccia triste: «Ti hanno detto esattamente cosa?»
«Qualcosa al torace o al digerente, non so. Ormai non li sto più a sentire.»
«Al torace, sì. Tuo fratello sta male.»
«Quanto male?»
«Molto.»
«Di cosa ha bisogno, lo sai? No, perché se non ce l’abbiamo in magazzino, magari possiamo ordinarlo.»
Josip sorrise. Rimise a posto il fascicolo e la scatola nello scaffale della libreria, poi tornò a sedere e prese tra le sue le mani di Filippo: «E se invece ce ne andassimo?»
«Andarcene?»
«Sì, io e te, a Parigi, a Londra, a Vienna, l’hai mai vista Vienna? Perché tu non lo sai, ma là fuori c’è un mucchio di mondo e, te l’assicuro, è meraviglioso!»
«Io e te… a vedere il mondo…»
«Sì, pensaci!»
E Filippo ci pensò, con gli occhi persi, mentre nella testa sfilavano le immagini che aveva visto nei libri, nei film, che mille e mille volte aveva sognato e, a poco a poco, un sorriso gli illuminò il volto pallido. «Potremmo scappare stanotte» disse sottovoce, come temendo che qualcuno potesse sentirli. «Mi carichi sul pulmino e via!»
«Certo. Che problema c’è?»
Filippo lo guardò, la faccia seria, da grande, quasi fosse diventato uomo tutto insieme: «C’è che mi faccio una domanda: perché non me l’hai detto sei mesi, un anno fa? Perché adesso?»
«Perché, perché, perché. Che importa?»
«Molto. Questa non è una volta come le altre, vero?»
Josip lo guardò con la mascella serrata e le labbra strette, come per impedire alle parole di scappargli fuori.
«Questa è l’ultima, vero?»
«Il cuore, Filippo. Quello di tuo fratello ormai è allo stremo.»
 
Il Dottore vuotò il boccale e tacque.
«Ommadonnabenedetta!»
«Te l’avevo detto che questa parte era tosta.»
«Ma che tosta, è assurda. Ti pare che due genitori…»
«E il fratello, allora? Ti pare che…»
«Ma no, magari quello non ne sapeva niente, magari pensava che ci fosse un donatore come in tutti i trapianti.»
«Ma alla fine, Filippo che fa?»
«Scappa con Josip, ovvio.»
«E mica è detto, sai che rimorso!»
«Sì, allora si fa strappare il cuore, ma dai!»
«Beh tanto ormai, vita di merda per vita di merda, almeno finisce con un bel gesto.»
«In qualsiasi caso è una storia del cazzo. Dì la verità, Dottore, te la sei inventata.»
Quello non rispose, si alzò barcollando, urtò un tavolino, raggiunse la porta e si fermò sulla soglia a guardare la pioggia che ballava nelle pozze scure.
«Ma che fai? Te ne vai senza dirci come va a finire?»
«Pensateci voi. Tanto un finale vale l’altro» disse e uscì.
«Vedi? Questa è la prova che se l’è inventata.»
«Ma sì, stiamo a credere alle scemenze di un ubriacone?»
All’improvviso, il vento spalancò la porta e poi la sbatté così forte che tutti ebbero un sussulto.
Silenzio, teste basse, come fossero stati rimproverati e loro pentiti, non si sa bene di cosa, a giurarsi che una storia così, no, mai più, mai più davvero. Meglio quella del camionista e della suora, della ballerina con mezzo culo e sette tette. Meglio sicuro, però un’altra volta, che ormai non era più serata.
 
Fuori sempre tempesta, minacciosa e nera, che frustava i rami e pungeva la faccia del Dottore.
Camminava rasente al muro, un po’ per reggersi, un po’ sperando nella clemenza dei balconi, finché, fradicio com’era, andò a rintanarsi dentro al portone sbilenco di una casa, gli dicessero qualcosa, ma chi? A quell’ora poi.
Si raggomitolò nel sottoscala a godersi il calduccio e prima di lasciarsi scivolare nel sonno, come ogni sera, tirò fuori dalla tasca un cartoncino spiegazzato, però asciutto. Un biglietto da visita.
Lo guardò, lo sfiorò con la punta delle dita e sorrise mentre gli occhi si riempivano di lacrime.
 
Dottor professor Tomislav Horvat, primario chirurgo della clinica Zdravlje. Zagreb
 
Volevano un finale, quelli. Magari un giorno o l’altro glielo avrebbe anche raccontato.
Ne aveva decine, uno meglio dell’altro. Anche se il suo preferito restava sempre quello in cui Josip lo denunciava.
Una liberazione. Non tanto la condanna, che la Giustizia vestita di un colore solo fa sempre la sua figura, quanto l’evasione dal carcere. 
Liscia come l’olio, col direttore che gli faceva ciao ciao dalla finestra.
Lo sapevano tutti e due che dall’Inferno, una volta entrati, non si esce.
 
 
 
 
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Re: [MI183] Il Dottore

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Ciao @aladicorvo questa volta ti sei superata (e non era cosa facile)
Straordinaria la voce narrante, il ritmo forsennato che non concede spazio ad alcuna distrazione durante la lettura, eccezionale il protagonista 
e originale, macabra, commovente, irriverente, toccante tutta l’orchestrazione della storia. Per non parlare del Dottore… personaggio a quattro dimensioni. Tutta la scena è perfetta, mi sono sentita come una degli avventori. Volevo sapere, sapere e ancora sapere. Non ero certa di potermi fidare del “Dottore”, forse il suo procrastinare la storia arricchendola di particolari che non la facevano andare avanti era solo un espediente per ottenere altra birra (descrizione magnifica dell’operazione schiuma…) oppure c’era dell’altro da sapere. Una verità marcia e dolorosa. Per fortuna che alla fine ce l’hai rivelata la verità. Tu, fantastica voce narrante, non il tuo Dottore. Lui continuerà a portare il peso del suo segreto perché, si sa, quando si entra nell’inferno è impossibile uscirne.

Re: [MI183] Il Dottore

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Dialoghi condotti davvero bene, a mio parere.
Bello il passaggio ai dialoghi diretti con i flashback: ti fanno entrare nella testa del dottore. Io li ho trovati molto "cinematografici".
Ottima la rivelazione nel falso finale, che dà senso ai dialoghi che si dipanano per tutto il racconto.
Superlativo il vero finale: lui non è solo il padre, è un condannato a vivere. E il direttore del carcere è una sorta di Giustiziere della notte.
Nient'altro da dire: complimenti.

Re: [MI183] Il Dottore

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Cara @aladicorvo   :)

Brutta e cattiva la storia, ma narrata con stile magistrale. Zeppa di dialoghi asciutti e rozzi resi con efficacia narrativa, Suspense e caratterizzazione vivida dei personaggi.

Non vorrei ti montassi la testa  :P  ;) perché è già la seconda volta che ti dico il mio commento con questa sintesi:

- Capolavoro! -  (y)  
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI183] Il Dottore

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aladicorvo wrote: Wed Sep 25, 2024 8:40 pmLa verità è che, per essere veramente un dottore, insomma difficile da credere, dato che se  ne andava in giro lercio e puzzolente, sicuro che dormiva per la strada.
Mi è sempre piaciuta molto la tua cifra stilistica: periodi lunghi, aspri, inframezzati da incisi; ma sempre impeccabili dal punto di vista sintattico.
Qui sopra, invece, non mi raccapezzo.
aladicorvo wrote: Wed Sep 25, 2024 8:40 pmpinta
L’unità di misura anglosassone mi ha meravigliato in un ambito che mi è parso romano.
aladicorvo wrote: Wed Sep 25, 2024 8:40 pmNon basta. Perché non era mica solo il padre, tutta la famiglia. Una dinastia di medici conosciuta in tutto il mondo. Amici di gente come Harvey Cushing e William Bovie, tanto intimi da farci le vacanze assieme.
Questo mi ha fatto pensare che il racconto potesse essere ambientato nei primi decenni del Novecento, perché i medici citati fiorirono in quegli anni, poi però è citato un film contemporaneo:
aladicorvo wrote: Wed Sep 25, 2024 8:40 pmQuasi Amici
Anche ipotizzando che il Dottore sia molto vecchio, mi pare che ci sia uno scarto di qualche decennio, ma posso sbagliare.
La parte centrale mi è sembrata un po’ lunga: ad esempio non mi è chiarissimo l’accenno alla nonna Clelia. Però il tuo modo di raccontare è sempre scoppiettante e simpatico e la storia originale e articolata.
Grazie e un saluto, @aladicorvo.
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Re: [MI183] Il Dottore

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@aladicorvo ciao socia..

Sei magistrale nel raccontare storie familiari alla "parenti serpenti". L'unico appunto che ti faccio è circa la motivazione per cui usano "un fratello sano per mantenere in vita il fratello malato. Questa è una bella contraddizione! Chi mai farebbe una cosa del genere, considerato che alla fine, di malati, te ne ritrovi due? A meno che l'intenzione fosse di salvare il malato sottraendo al sano un rene... beh! si può vivere lo stesso, ma tutto il resto mi sembra improponibile. I dialoghi a mitraglia già li conosco, sei più veloce di una M21 tedesca...  :D

Del finale ho intuito chi potesse essere il narratore e di come parlasse del suo vissuto, e non di una balla. Gli ubriaconi parlano sempre di quello che ha rovinato loro la vita e cercano sempre di rappresentarlo in modo tale da, prima di tutto estraniarsi quasi a nascondersi, secondo, a mettere in evidenza la parte migliore delle porcherie fatte. Ma non ho capito se "il dottore" sia il padre o il chirurgo... Come al solito la foga di sparare che ti prende su tutto ti fa perdere il vero obbiettivo da inquadrare nel mirino e da colpire! :asd: Ciao cara Manuela <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI183] Il Dottore

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Ciao @aladicorvo l'idea fantastica è l'aver ambientato la storia in un localaccio a suon di pinte e sbornie di birra. Un racconta storie quasi d'altri tempi che attrae come dei bambini di fronte a una favola che conoscono bene e che vogliono ogni volta risentire anche se fa torcere le budella.
Altre cose non si possono dire.
Ciao

Re: [MI183] Il Dottore

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Caspita @aladicorvo, davvero un bel racconto, scritto magistralmente, complimenti!!!
La trama non è nuova, ma la traccia era abbastanza blindata, il capolavoro è la capacità di scrittura, complimenti!

Provo a darti il mio contributo:
aladicorvo wrote: per essere veramente un dottore, insomma difficile da credere, dato che se  ne andava in giro lercio e puzzolente, sicuro che dormiva per la strada.
Non concludi la parte che ti ho sottolineato.

aladicorvo wrote: col rimorso che ti mangia vivo e non ti butti giù dal ponte solo perché sarebbe stato quasi un premio e invece sai che te lo devi bere, l’amaro calice, quello della colpa e poi tutti gli altri, fino a dimenticare pure chi sei.
Bravissima

aladicorvo wrote: Non tanto la condanna, che la Giustizia vestita di un colore solo fa sempre la sua figura, quanto l’evasione dal carcere. 
Liscia come l’olio, col direttore che gli faceva ciao ciao dalla finestra.
Lo sapevano tutti e due che dall’Inferno, una volta entrati, non si esce.
Questa parte secondo me è superflua. Tutto chiaro fino a 'liberazione', il seguito ingarbuglia il racconto.


Mi rimane solo un' enorme dubbio: dove si trova il fratello?
Ha visto una foto in cui si laureava, quanti anni li dividono? Lui non sospettava della sua esistenza, ma il fratello maggiore, non sembra essere chiuso in una clinica, ma da quando è nato il protagonista, non vive nella casa dei genitori? Non possono avere preso gli organi di un neonato per un ragazzo ormai adulto.
Questa parte merita una migliore spiegazione, in ogni caso, ancora complimenti.
<3

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