Atterra sulle ginocchia, le mani in avanti per non cadere bocconi. L’erba e il terriccio hanno attutito l’urto. Si rialza spazzandosi i jeans. Da ragazzo se la sarebbe cavata meglio, ne ha scavalcati di muri, anche più alti di questo. Si guarda intorno: non veniva da tanto, nemmeno entrando dal cancello, come i visitatori normali. Il settore in cui si trova era ancora vuoto, l’ultima volta. Ora ci stanno tre fila di pietre tombali. Si può contare anche così il tempo, dal numero di morti.
Scuote la testa: non è venuto per filosofeggiare sulla caducità dell’esistenza. Nonostante il tempo trascorso, ricorda perfettamente dove si trova la tomba del nonno e imbocca il vialetto sulla destra a passo svelto.
Il giorno del funerale cadeva una pioggia fine e continua, si sentiva prigioniero del completo scuro, il primo della sua vita, che l’umidità gli incollava alla pelle.
La lapide è impeccabile, come nuova di zecca. Il granito nero brilla sotto i tiepidi raggi del sole calante, due enormi vasi di azalee bianche e rosa addolciscono il rigore della pietra. Nemmeno un fiore secco, e le foglie di un intenso verde brillante.
«Vedo che papà viene a trovarti più spesso di quando eri vivo. Certo, con un morto è più semplice. Sei finalmente diventato il genitore ideale che ha sempre voluto.»
A lui invece manca il nonno in carne e ossa, con i suoi difetti. Forse perché era in quelli che si riconosceva. Osserva la fotografia al centro della lapide. I suoi stessi occhi grigi, le stesse ciglia lunghe, la piccola ruga all’angolo della bocca. «Quanto ti assomiglio, nonno. Più passano gli anni e più ti rivedo in ogni specchio. "Il suo ritratto". Non era un complimento, in bocca a papà, ma lo era per me.»
Aldo Borghi, 1941-2013
Strana sensazione leggere i propri nome e cognome su una tomba. La foto, poi, rafforza l’impressione. Chiude gli occhi e immagina due nuove date: 1989-2024.
Chissà se papà si prenderebbe cura con tanta abnegazione anche della mia tomba. Probabilmente sì, gli sarebbe meno penoso che affrontare tutte le delusioni che gli ho dato nella vita.
Chissà se papà si prenderebbe cura con tanta abnegazione anche della mia tomba. Probabilmente sì, gli sarebbe meno penoso che affrontare tutte le delusioni che gli ho dato nella vita.
Sbuffa e riapre gli occhi: non è lì per commiserarsi o tessere fantasie macabre.
È venuto per parlare con il nonno, spiegare, chiedere il permesso e forse anche scusa. Bella prova di coraggio, cercare comprensione e perdono da chi non c’è più. Ma sa che anche da vivo glieli avrebbe offerti. Nonno Aldo è stata il solo da cui si sia sempre sentito accettato. Perché siete uguali. Uguali. L’astio con cui suo padre l’affermava. Chissà perché ha voluto dare al proprio primogenito il suo nome, se lo disprezzava tanto. Scaramanzia? O quella stupida ossessione di dover seguire le tradizioni, le regole, il decoro. L’uomo irreprensibile.
È venuto per parlare con il nonno, spiegare, chiedere il permesso e forse anche scusa. Bella prova di coraggio, cercare comprensione e perdono da chi non c’è più. Ma sa che anche da vivo glieli avrebbe offerti. Nonno Aldo è stata il solo da cui si sia sempre sentito accettato. Perché siete uguali. Uguali. L’astio con cui suo padre l’affermava. Chissà perché ha voluto dare al proprio primogenito il suo nome, se lo disprezzava tanto. Scaramanzia? O quella stupida ossessione di dover seguire le tradizioni, le regole, il decoro. L’uomo irreprensibile.
«Eh già, nonno. È irreprensibile, tuo figlio, mica come noi. Quante volte lo ha ribadito? Quante volte mi hai accolto quando lui non voleva più saperne? Avevi fiducia in me, ripetevi. Mi sa che ti sbagliavi. Non l’ho mai messa la testa a posto, né trovato la mia strada. O meglio… sto sempre sulla stessa, anche a te piaceva percorrerla, ogni tanto. Tu sei riuscito a gestirla, io invece…
Sono nei debiti fino al collo, nonno. Anzi, annaspo con la testa sotto. Non ho più soluzioni, o, piuttosto, me ne resta una sola. E imploro la tua comprensione. Devo vendere la casa. La tua, nonno. Quella che hai voluto lasciarmi, come un porto sicuro. Quella che tante volte hai rischiato di perdere per amore del gioco, come ti rinfacciava nonna quand’era arrabbiata.
Hai rischiato ma ti sei sempre fermato sull’orlo del baratro. Io sono rotolato nel fondo del burrone.
Sono nei debiti fino al collo, nonno. Anzi, annaspo con la testa sotto. Non ho più soluzioni, o, piuttosto, me ne resta una sola. E imploro la tua comprensione. Devo vendere la casa. La tua, nonno. Quella che hai voluto lasciarmi, come un porto sicuro. Quella che tante volte hai rischiato di perdere per amore del gioco, come ti rinfacciava nonna quand’era arrabbiata.
Hai rischiato ma ti sei sempre fermato sull’orlo del baratro. Io sono rotolato nel fondo del burrone.
Vorrei ci fosse un altro modo, te lo giuro. Ci sta un po’ di te in ogni muro. Non ho cambiato quasi nulla, sai? Sulla mensola c’è ancora il tuo vecchio giradischi degli anni Sessanta. L’ho fatto rimettere a nuovo. Ho ancora tutti i tuoi 33 giri. Voglio bene alla mia casa. Mi si strappa il cuore a dovermene separare. Ma potrei saldare tutti i debiti e mi resterebbe abbastanza per trovare un bilocale decente, e ricominciare.»
Ricominciare? O si giocherà anche quelli? Sa che deve smetterla, è arrivato al punto di non ritorno. Ho perso tutto, trentacinque anni buttati tra dadi, bische e scommesse. Smettere, per davvero, è l’unica via. Ma che gli resterà, poi? Non c’è nulla che ami più del gioco. Non c’è mai stato nulla. L’eccitazione, la sensazione inebriante di stringere il destino nella mano…
«La conosci, nonno, so che mi capisci. L’elettricità che ti vibrava dentro quando prendevi in mano le carte. Ti brillavano gli occhi anche solo a parlarne. Non c’è nulla di meglio, per me. Nemmeno il sesso.»
«La conosci, nonno, so che mi capisci. L’elettricità che ti vibrava dentro quando prendevi in mano le carte. Ti brillavano gli occhi anche solo a parlarne. Non c’è nulla di meglio, per me. Nemmeno il sesso.»
Già a sedici anni, quando i suoi amici parlavano solo di femmine, li imitava, si lasciava trascinare, scherzava, immaginava di provarci con questa o quella, di metterle le mani sotto la gonna… ma bastava che uno dicesse “scommettiamo che riesco a farmela” e tutto il suo interesse si concentrava lì: quanto sei disposto a scommettere?
«Forse sono davvero malato, come diceva Alice. Dovrei farmi curare. Ha avuto un bambino, Alice, sai? Qualche mese fa, non ricordo bene. Mi ha mandato un Whatsapp… abita a Torino, adesso. Non so che effetto mi faccia, non ho mai voluto figli, non rimpiango… Se lo merita, sarà una madre fantastica. È una persona fantastica, ero io quello sbagliato dei due. Le cose sono andate come dovevano andare, insomma. Come diceva la tua canzone, nonno? Il mondo non si è fermato mai un momento… quello di Alice è andato avanti, solo io resto fermo.»
L’ha sentita pochi giorni fa, la canzone del nonno. Girava in macchina, senza meta, ripensava alle minacce del capo-settore, alle lettere di sollecito della banca, si diceva che forse era ora di darci un taglio. A chi mancherei, pensava, basta debiti, basta scommesse, basta domeniche da solo alle macchinette… e dalla radio è spuntata la voce di Jimmy Fontana.
E intorno a me
Girava il mondo come sempre
Gira, il mondo gira
Nello spazio senza fine
Con gli amori appena nati
Con gli amori già finiti
Con la gioia e col dolore
Della gente come me
Girava il mondo come sempre
Gira, il mondo gira
Nello spazio senza fine
Con gli amori appena nati
Con gli amori già finiti
Con la gioia e col dolore
Della gente come me
Un segno, ha pensato. Quando mai passa alla radio, quel pezzo, è un cimelio da museo.
«Un segno. Era come sentire la tua voce che diceva: “certo che c’è la soluzione, c’è sempre.” Non mi ero reso conto di quanto mi mancasse non avere più un rifugio a cui tornare, quanto mi mancassi tu.
Te la ricordi la prima volta che papà scoprì che m’ero giocato la paghetta a poker? Era fuori di sé.
“È colpa tua!” Non mi guardava nemmeno, urlava solo contro di te quando venne a riprendermi. “Sei marcio dentro e glielo hai trasmesso, il tuo marcio!”
Non so se ci credesse davvero, forse era il suo modo per discolparsi, lui non c’entrava, era una tara ereditaria, la mia.
Lo è? Non credo, non sentirti in colpa. Anche se la nonna ti sgridava quando mi insegnavi a giocare a bestia, quando ti accompagnavo al bar a fare due mani con i tuoi amici. Non ce l’ho nel DNA. È una passione, come quelli che sfidano le onde con il surf. Ma le mie onde non le cavalco più, sono loro ad avermi messo sotto, hanno vinto la partita.»
Te la ricordi la prima volta che papà scoprì che m’ero giocato la paghetta a poker? Era fuori di sé.
“È colpa tua!” Non mi guardava nemmeno, urlava solo contro di te quando venne a riprendermi. “Sei marcio dentro e glielo hai trasmesso, il tuo marcio!”
Non so se ci credesse davvero, forse era il suo modo per discolparsi, lui non c’entrava, era una tara ereditaria, la mia.
Lo è? Non credo, non sentirti in colpa. Anche se la nonna ti sgridava quando mi insegnavi a giocare a bestia, quando ti accompagnavo al bar a fare due mani con i tuoi amici. Non ce l’ho nel DNA. È una passione, come quelli che sfidano le onde con il surf. Ma le mie onde non le cavalco più, sono loro ad avermi messo sotto, hanno vinto la partita.»
È buio fatto ormai. Aldo si guarda intorno, si chiede cosa succederebbe se dovessero vederlo: un pazzo dentro un cimitero chiuso, accovacciato su una tomba a straparlare. Ma con chi altri potrebbe confidarsi? Non ha più nessuno, anche gli amici li ha persi al gioco.
E se fosse sorvegliato? Ormai ci sono telecamere ovunque, anche al cesso, perché non al camposanto. Potrebbero arrestarmi per violazione di proprietà?
E se fosse sorvegliato? Ormai ci sono telecamere ovunque, anche al cesso, perché non al camposanto. Potrebbero arrestarmi per violazione di proprietà?
Non sarebbe questo ad aggravare la sua situazione, peggio di così… «Pensa la faccia di papà se mi faccio arrestare dai carabinieri come un barbone che bivacca sulle tombe.»
Poco gli importa, ha bisogno di essere lì, concedersi un’ultima notte di tregua protetto dal nonno. Domani deciderà. Sa di non poter più rimandare, sarà il momento dell’ultima scelta: fold o all-in. Domani. Adesso vuole solo restare in pace, avvolto dal buio.
Perché in fondo vuole ancora pensare che la notte insegue sempre il giorno.
Perché in fondo vuole ancora pensare che la notte insegue sempre il giorno.
Ed il giorno verrà.