[CE24-2] Giudizi universali. Luigi
1Giudizi universali. Luigi
Valeria Oldoini aprì la porta incurante degli sguardi delle impiegate ed entrò nella stanza senza aver bussato. Luigi, che dava le spalle alla porta d’ingresso, era intento a scrutare il panorama dalla vetrata fronte la sua scrivania. Mille pensieri si erano impadroniti della sua mente e correvano indisturbati tra la materia grigia: grigia quanto il suo stato d’animo. “ Non si usa più bussare?” Sbottò.
“Non ti piacciono più le sorprese?” Rispose la donna appena entrata.
Lui riconobbe la voce e si girò facendo ruotare la poltrona: “Sei tu! Scusami, sei il grande capo, non hai bisogno di farti annunciare. Pensavo fosse quello scocciatore di Marco Pavani con le sue continue lamentele sui filtri delle maschere… Cazzo! Non ha idea cosa costi sostituirli alla scadenza. Non stiamo parlando di latte fresco che dopo tre giorni va a male. Se li teniamo trenta giorni in più non moriranno di certo. Provassero a lavorare in Cina e poi li vorrei vedere se non abbasserebbero le pretese.
Lei mise sulla scrivania il fascicolo che conteneva le autorizzazioni definitive all’ampliamento del progetto della conceria: “Queste sono rogne tue, devi arrangiarti. Come vedi si riesce sempre in tutto quello che si vuole quando si hanno gli amici giusti” esclamò dopo essersi avvicinata a lui strisciando come una serpe e stampatogli un bacio sulla bocca. “Ti aspetto alla solita ora nel mio ufficio” replicò. Poi prese la direzione della uscita e andò via esclamando “vacci piano con i deodoranti, questa stanza profuma come un bordello!”
Luigi arricciò il naso come a rendersi conto della pesantezza dell’aria ammorbata dai miasmi esterni della conceria che passavano attraverso gli infissi e che per ovviare, aveva fatto installare un purificatore d’aria senza risultato. Non gli era rimasto che applicare a ogni presa il solito vaporizzatore dalle fragranze più accese. Il mix di profumi tempestavano l’aria, ma almeno funzionavano. Alzò gli occhi al cielo, prese il fascicolo tra le mani e lo aprì. Un leggero sorriso segnò il viso imbronciato sino a qualche minuto prima. Pensò al risultato che aveva ottenuto senza nessuno sforzo. Già dieci anni prima, grazie a Valeria, AD della società, era diventato in breve tempo il capo del progetto della nuova stazione di riciclo degli scarti di lavorazione delle concerie. Tonnellate di materiali da trasformare in nuove pelli per il mercato cinese da cui fare prodotti a basso costo. Dovevano solo stare attenti a non superare la soglia imposta dalle normative europee sulla formaldeide, e ai parametri del cloro. Gli affari andavano bene al punto di dovere aumentare gli impianti. Ma poi… Le immagini di tanti pomeriggi nell’ufficio di lei si fecero prepotenti a ricordargli il costo di quei tanti risultati.
Ricordi che svanirono al trillo del telefono che trasmise sulla superficie della scrivania tutto il suo nervoso vibrare. La segretaria lo avvisò: in linea c’era sua moglie Sofia. Lui parve rianimarsi e portò la cornetta sull’orecchio: “Ciao amore, dimmi pure”.
“Ciao caro, che fai? Sei andato da Don Paolo come ti avevo detto?”
E chi se la scordava quella telefonata fatta anche per ricordargli l’appuntamento con Don Paolo per la confessione di rito:” Don Paolo ci tiene che noi partecipiamo alla santa messa come veri cristiani, e non come gli habitué della domenica.”
E lui c’era andato da Don Paolo. Con sé il solito regalino in danaro da parte della società, per conto di Valeria Oldoini, allo scopo di contribuire alle necessità della parrocchia. Gli aveva portato inoltre un messale dalla copertina in pelle pregiata dove luccicavano alcuni rubini: altro che quelle porcherie di pelli che producevano loro. Don Paolo non si dimenticava di parlare bene della società benefattrice. Ricorda bene come anche quel giorno riuscì a uscirne alla grande e pure esente dalla penitenza rituale con tanto Ave Maria e Padre nostro: “Don Paolo, mi sento colpevole perché vorrei fare di più, ma il tempo da dedicare al prossimo non è tanto”.
Si era sentito rincuorato dalla risposta del prete che non lo aveva condannato, anzi, lo aveva esortato a continuare nel fare quello che già faceva. Insomma, ogni volta finiva così, assoluzione totale, niente accuse di inquinare l’aria e le acque, niente accuse di guadagni a scapito della comunità. Ne era uscito proprio come un bravo cristiano e tanto più si convinceva di esserlo.
“Per quale ragione dovrei raccontargli tutta la mia vita? Tanto Dio vede quello che faccio. Se il Padreterno ha messo lui a giudicarmi saranno affari suoi; a me sta bene così. Credo sia meno severo dell’Altissimo. Dio saprà pure che mi tocca scopare una vecchia di trent’anni più di me per avere una vita decente. Come saprà di come mi sento quando lei mi chiede di farle quei servizietti che la fanno impazzire. Mica li posso confessare a Don Paolo. Chissà a chi potrebbe rivelarli se un giorno gli girassero le palle chissà per cosa: meglio non rischiare. Che figura di emme farei come uomo?”
Già, i rischi che si corrono... Luigi ricorda bene quel giorno in cui si era dimenticato di levarsi di dosso l’odore di Valeria. Quell’odore di sesso inconfondibile che non seppe mai se Sofia lo avesse avvertito facendo finta di nulla: almeno lui sperò che fosse così. E poi, vedo che Sofia ha tutto quello che desidera e non si è mai posta problemi di sorta. Se non fosse per questo sacrificio, turpe e osceno, sarei ancora a spedire mail.”
“Mi vuoi tenere sulle spine? Penso che ci sia dell’altro che vorresti dirmi. Cominci sempre partendo da molto lontano e poi salti sopra l’argomento ostico” disse Luigi riprendendo la telefonata.
Sofia ruppe gli indugi inscenando una mezza risata: “Caro il mio Luigi, uomo integerrimo e marito fedele. Ti volevo solo dire di non prendere impegni per domani sera: sei tutto per me.”
Lui rimase perplesso da quelle parole. A cosa alludesse lo capì solo più tardi, quando una delle due impiegate gli ricordò del solito mazzo di rose da inviare alla moglie, come a ogni ricorrenza del loro anniversario di matrimonio. “A cosa servono le segretarie se non a ricordarti le incombenze della vita?”
Il giorno dopo Luigi uscì dall’ufficio a tarda sera, stanchissimo: gli era toccato l’incombenza di Valeria. Lei aveva insistito proprio perché sapeva del suo anniversario. Una sorta di rivalità da sfogare, dato il potere di averlo tra le mani sue e farne ciò che voleva.
Prima di aprire la porta di casa indugiò cercando di capire, dagli odori, cosa Sofia stesse preparando per cena. “Porca troia! Pollo e peperoni! Non è possibile, me lo fa apposta: lo sa che voglio essere vegetariano. Ma ha bisogno della illuminazione dall’alto per pensare di preparare qualcosa di diverso! Una insalata di astice no? Scampi in salsa rosa no? Col catering avrei fatto prima!”
Entrò in casa deluso, senza nessun trasporto. Posò la ventiquattrore sulla sedia e rimase di spalle intuendo che lei lo stesse osservando; preparò il consueto muso lungo prima di girarsi. Poi si gettò sul divano e aprì Il mondo come volontà di Schopenhauer. Allungò la mano verso la tazza sul tavolo accanto: annusò il contenuto. Pian piano lo bevette tutto, sapeva di biancospino. Qualche istante dopo: “Cosa mi prende, mi gira la testa, brucia lo stomaco, il cuore mi sta scoppiando: Dio, sto morendo di infarto. E cos’è questa musica per aria?”
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza calpestare il cuore
Ci si passa sopra almeno due o tre volte i piedi come sulle aiuole
“Giudizi universali! Quella orribile canzone nel giorno del mio giudizio? Sofia Sofia, cosa mi hai fatto bere! Sento gli occhi che vorrebbero uscire dalle orbite, come pure le mie budella. Ma chi è quello? Ma è Don Paolo. E l’altro? Non ci posso credere! Sembra Mefistofele con le chiavi dell’inferno. Che hanno da ridere i due? Anche Sofia ride… Don Paolo, Don Paolo, lo sa che sono un bravo cristiano, lo dica lei a tutti. I soldi, il messale coi rubini…”
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio