Traccia n1. "Lontano da tutto
Sempre azzurra non può essere l’età
Roberto aveva passato la settimana a portare via le sue poche cose. Con Sandra, la sua ex moglie, erano arrivati all’accordo che sarebbe stato lui a lasciare la casa. Una firma dall’avvocato e la sua vita passata si era dissolta. In balia di un tormento che non riusciva a materializzare e neanche a metabolizzare, aveva acquistato una vacanza in Thailandia di tre settimane con i pochi soldi che gli erano rimasti.
Quando prese il volo per raggiungere la lontana Phuket tutti i pensieri si staccarono dalla sua mente, al momento in cui il 737, lanciato lungo la pista, s’innalzò nella salita tra le nuvole che affollavano il cielo. Quando la coltre grigia si aprì e apparve il sole, Roberto realizzò di stare sospeso per l’aria e guardando giù dall’oblò, vide pian piano la terra farsi più piccola.
“ Papà! Mi dispiace!”
Era stato l’ultimo messaggio che aveva ricevuto dalla figlia quarantenne Antonella. Gli ronzò per la testa per tutto il viaggio, non riuscendo a metterlo da parte.
Quando la lunga tratta terminò, sbarcò dall’aereo, ritrovandosi nella calca del terminal. Cercò la persona che doveva prelevarlo e portarlo all’hotel e la trovò poco distante. Il giovane Saman apparve sorridente; per le mani il foglio di carta con inciso il suo nome e cognome. Col suo italiano sgangherato lo invitò a seguirlo e salirono nella macchina di servizio dell’hotel.
Roberto si rilassò sentendosi arrivato a destinazione e cominciò ad assaporare l’inizio della vacanza.
Col primo bagno che fece nell’acqua cristallina di Phuket fu il rinnovarsi di sensazioni che non provava più da tanto tempo. Lontani erano i tempi trascorsi al mare con Sandra e la piccola Antonella. Quel sole che adesso gli scaldava la pelle si perdeva nel cielo di un profondo azzurro che niente poteva fare se non inchinarsi sulla sabbia bianca della spiaggia. E le rocce maestose che emergevano fuori dall’acqua, lì, tra mare e cielo, gli apparivano come un’opera d’arte divina.
Ma venne la notte che scese cupa a tormentare Roberto.
Finito di cenare si preparò e uscì per andare a Patong beach, il noto quartiere a luci rosse.
Si ritrovò a camminare per la strada affollata dai turisti in cerca di compagnia. Le ragazzine ai tavoli aspettavano i clienti avvolte dalle luci delle insegne che tutto dipingeva di quell’alone sinistro ma caldo, dove passioni e desideri si mescolavano tra le anime perse di chi vende e di compra amore.
Roberto camminò a lungo non avendo il coraggio di approcciare l’iniziativa. Era come stordito dall’odore della strada, impregnata di profumi femminili e di sudore, di ormoni di donna, di pelli vellutate.
“Hei, amore! Sex with me?” La voce proveniva da dietro di lui. Quando si voltò vide la ragazzina che ancora lo chiamava.
Lui si fermò nascondendo l’imbarazzo, ma lei velocemente gli prese la mano e lo tirò verso l’ingresso di un locale: “Amore! Sex with me!”.
Roberto si fece condurre senza opporre resistenza. Il cuore prese a battergli all’impazzata. Si ritrovò nel retro del locale suddiviso da varie tende e da dove si avvertiva l’atmosfera lussuriosa. La giovane ragazza lo invitò a sdraiarsi sul materasso coperto da lenzuola rosso fuoco, addobbato da cuscini variopinti. Lui lascio fare tutto a lei: slacciargli la cintura dei pantaloni, sfilargli scarpe, calze, pantaloni, e camicia, prepararlo al rapporto protetto. Poi lei si tolse l’attillatissimo vestito mostrando l’acerbo fisico e montò su Roberto. Lei prese a muovere i fianchi e lui non poté che allungare le mani sul seno di lei. In dieci minuti si consumò l’ardore e la ragazza si rivestì velocemente, ritmando il prezzo che lui doveva pagare: venti dollari. Roberto, ancora sconvolto per quella esperienza, si rivestì e messo mano al portafoglio, gli diede quanto chiesto. Lei quasi gli strappò la banconota dalle mani e prese a spingerlo verso l’uscita. Lei poi si dileguò lasciandolo senza parole per la strada. A questo punto si diresse verso l’hotel con impressa l’immagine del corpo acerbo di lei, del suo profumo, dell’umido della sua carne. La vergogna e la dolce sensazione che gli aveva lasciato quell’amore a pagamento, si miscelavano tra sensi di colpa e ricordi.
Passò la notte in albergo. Il nuovo giorno arrivò, azzurro e caldo, tra bagni di mare e sole. Ma ritornò anche la notte tormentata per le strade di Patong Beach. Ancora una notte di sesso acerbo a cui lui non riuscì a tirarsi fuori per le notti che ne vennero. Il richiamo di quei corpi era diventata una droga che lo avevano disinibito. Adesso era lui a cercare le ragazzine sempre più giovani. Quando arrivava puntuale al quartiere, a volte quasi sbronzo, tante già lo aspettavano. Cosa covasse dentro di lui lo realizzò quando prese a tirare per i capelli violentemente la ragazzina di turno: la rabbia. Lei si mise a strillare e a lui piacque vederla soffrire tanto che aumentò la violenza. Le urla di lei attirarono gli uomini messi a protezione delle ragazze che intervennero sbattendolo fuori nudo per strada. Qualcuno gli lanciò addosso i vestiti e il portafoglio vuoto. Lui si rivestì e prese a insultarli minaccioso chiedendo indietro i soldi. Il gruppo di uomini lo circondò e lo pestò a sangue dietro al locale, lontano dagli sguardi indiscreti. Poi lo caricarono su di un auto e lo abbandonarono sulla spiaggia vicino al suo hotel.
Quando riprese conoscenza, il chiarore delle stelle si riflettevano sullo specchio di mare e sul suo corpo. Sentiva atroci dolori dappertutto, tanto che non riusciva a muoversi. Si portò la mano sul labbro spaccato, sul naso sanguinante. Poi si abbandonò al pianto e poi si addormentò. Furono gli uomini della vigilanza a trovarlo e a portarlo all’infermeria più vicina. Dopo le medicazioni fu riportato in hotel e messo a letto. Intanto la notizia del fatto era arrivato alla direzione.
La mattina seguente, il dolorante Roberto rimase in camera. Fu raggiunto da una chiamata telefonica in camera: “Ciao papà”. Poi la voce di Antonella fu rotta dal pianto. “Perché fai cosi? Mi vuoi far morire di ansia?”.
A Roberto si strinse il cuore nel sentire la figlia e cercò di tranquillizzarla: “Non è successo niente! Una piccola scaramuccia con dei balordi. State tutti sereni che so badare a me stesso” disse chiudendo la conversazione.
Ma la notte ritornò con tutti i suoi incubi. Il richiamo della trasgressione era troppo forte. A Patong beach si era sparsa la voce della sua voglia di rapporti violenti: c’era già qualche donna ben disposta alle prestazioni forti ad aspettarlo e a spillargli i soldi. Ma le notti di sesso estremo finiscono male. Si ritrovò nuovamente stordito dalle botte sulla spiaggia dell’hotel.
E la mattina la oramai solita telefonata in camera della preoccupata Antonella: “ Papà che ti succede? Questi dell’albergo sono preoccupati. Dicono che un giorno o l’altro finisci male! Perché ti stai distruggendo così?”
“Sono affari miei, rimanine fuori come fa tua madre”. Sbottò.
“Ecco! Adesso capisco. Ci vuoi far star male per questo?”
“Tu non centri, lo sai bene”.
“Non puoi mettere a rischio la tua vita solo perché la mamma ti ha lasciato! Non è il modo né il caso di vendicarsi. Tanto sei tu ad avere la peggio!”. Ribatté lei.
Roberto rimase ad ascoltare e poi si lasciò andare ai pensieri. “Ti ricordi quando eri piccola e andavamo al mare assieme con la Harley-Davidson?”.
“Sì, ricordo. Tu avevi la tua bandana rossa e ne avevi fatto una identica per me. Quanto eri affezionato a quella moto, era parte della tua vita. Ti sentivi libero e felice sino a quando la mamma ti costrinse a venderla, e tu ti arrabbiasti molto con lei.”
“Già. Lei voleva una macchina più bella e non gliene fregava nulla del mio svago. E poi a cosa è servito rinunciare a tante cose per lei? Niente! Per un collega di ufficio mi ha scaricato!”
“Ma papà! Pensavo che te ne fossi fatto una ragione arrivando a un pacifico accordo. Mi lasci senza parole a questo punto.”
“Questo lo pensavo anch’io, ma da come mi sento una merda non è così! Adesso chiudo, sono stanco!”
Ancora una notte tra le vie di Patong Beach. Ancora una notte di botte e il risveglio sotto il chiarore delle stelle in riva al mare luccicante. Ancora l’ennesima telefonata in camera a cui non volle rispondere questa volta. I trilli si fecero insistenti. Qualcuno dello staff della struttura gli bussò pure la porta della camera: “signore, la prego risponda!”.
“Cosa è che vuoi ancora? Ti ho detto di stare tranquilla”, esordì aspro.
Antonella era in lacrime, a malapena riusciva a parlare: “Ho saputo che non hai preso in affitto l’appartamento che mi avevi promesso di prendere vicino a me! Sei partito che io sapevo che avevi pure traslocato e invece non è così. Non c’è traccia di te. Dove hai messo le tue cose?”
“Se ti fa piacere saperlo, le ho vendute, tanto che ci torno a fare lì!” Rispose lui.
“Ma allora mi hai preso in giro! Io che pensavo che saresti stato vicino a me, a Denise! Ti ricordi che hai una nipote di dieci anni? Ma è a sessantasette anni, adesso che sei pure in pensione che ti metti a fare il bambino? Che intenzioni hai di fare quando finirai le vacanze?”
Silenzio. A questo punto la risposta era superflua; infatti non arrivò.
“Hai deciso di farti ammazzare in qualche bordello, papà! Mi hanno riferito che fai la notte e come ti vanno a recuperare quelli dell’hotel. Io vengo a prenderti e portarti via da quel posto. Mollo tutto adesso stesso. Preparati che arrivo.”
Fu Roberto che a sua volta fu preso dal pianto. Antonella lo ascoltò mentre lui si svuotava l’anima.
“Lascia stare figlia mia. Non serve che vieni qui. Mi passerà.”
“Papà! Ti ricordi quando andavamo al mare in moto del casino che faceva la marmitta e noi ce la ridevamo quando passavamo per le strade di Cattolica? E cantavamo quella canzone che a te piaceva da morire e che mi avevi insegnato?”
“Sì, ricordo… “Io un giorno crescerò e nel cielo della vita volerò, ma un bimbo che ne sa, sempre azzurra non può essere l’età!”
“Papà, ti prego, canta con me, adesso, come ai vecchi tempi! Poi una notte di settembre mi svegliai il vento sulla pelle - Sul mio corpo il chiarore delle stelle”
Le due voci rotte dal pianto si unirono lungo quel filo telefonico “Chissà dov’era casa mia, e quel bambino che giocava in un cortile”.
Il pianto lasciò spazio ai lontani ricordi felici. Antonella sentì il padre risalire dall’abisso. Anche Roberto realizzò che non poteva continuare così.
“Sì! La strada è ancora là, un deserto mi sembrava la città. Ma un bimbo che ne sa, sempre azzurra non può essere l’età. Poi una notte di settembre me ne andai, il fuoco di un camino non è caldo come il sole del mattino.”
Antonella rise: “Sai bene dov’è casa tua e quella bambina che gioca nel cortile! E sai che ti vuole bene e ti aspetta per insegnarle il senso di libertà che ti ha sempre contraddistinto.”
Roberto rispose amaramente: “E già! Soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio”.
“Papà! Hai finito con le tue idee di fare il vagabondo?”
“Stai serena. L’hai detto prima. A sessantasette anni non sono un bimbo e sempre azzurra non può essere l’età. A domani, ti voglio bene”.
Ma il giorno corse veloce e il sole andò a gettarsi in fondo al mare. La notte complice scese ancora con il suo richiamo di luci di porpora e inebrianti profumi di anime in vendita… Le phuoyng ha kin (Quelle che cercano da mangiare), le miriade di giovani andate via di casa per lavorare nei bordelli, presero posto nelle loro vetrine. Per Roberto era il momento della decisione, della verità. Di capire se si trattava di pulsioni represse negli anni, della voglia di trasgressione. O semmai la vendetta verso l’universo femminile che lo aveva fatto tanto soffrire, e per la quale, come condanna da scontare come uomo peccatore, era disposto a farsi pestare a sangue ancora una notte.
[CE24] Sempre azzurra non può essere l'età
1Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio