Fuori dal finestrino del treno, la campagna provenzale scorreva sotto gli occhi di Dafne a 300 all’ora, assolata e bellissima. Era un paesaggio ormai familiare, in cui si perdeva pensosamente ogni volta che tornava in Italia a trovare la famiglia e gli amici. Ma questa volta era diverso: stava tornando per restare. E avrebbe rivisto lei. Si rigirava il vecchio dado portafortuna tra le mani, ma non riusciva proprio a calmarsi.
Continuava a pensare all’ultima volta che si erano parlate, ormai dieci anni prima, intrappolate tra la fine dell’adolescenza e i primi scorci dell’età adulta. Quei diciott’anni che concedono la benedizione di un futuro ancora da scrivere, ma, per loro, anche la sensazione di portare sulle spalle il peso del mondo. Avevano litigato per una stupidaggine; per un ragazzo, il motivo più imbecille di tutti. E così anni di pomeriggi passati insieme dopo la scuola, di sabati sera a parlare della vita, a chiamarsi migliori amiche, si erano semplicemente dissolti.
Dafne appoggiò il dado nervosamente e riaprì il messaggio che la teneva sveglia da diverse notti ormai.
Ehi.
So che è stupido, ma ricordi che dieci anni fa ci eravamo dette che ci saremmo incontrate nel 2030, qualunque cosa accadesse? Beh, volevo solo farti sapere che io ci sarò. Anche se è stupido. Anche scrivere a un’amica con cui non parli più, per giunta, è stupido.
Fa niente. Mi piacerebbe sapere come stai. Che piega ha preso la tua vita, come sta tuo fratello, se hai visto l’aurora boreale.
Spero di vederti.
Carolina
Dafne non si sarebbe mai aspettata che lei volesse rivederla, dopo tutto quel tempo, men che meno per rispettare una stupida promessa adolescenziale fatta da ubriache. Credeva che qualunque possibilità, con lei, fosse chiusa; che si sarebbe portata i suoi sentimenti segreti nella tomba. Ma ora non era più così. Le aveva risposto, non sapeva neanche perché: “ci sarò”. E questo aveva cambiato tutto. Il suo sguardo rimbalzava dal finestrino, al dado, a quel dannato messaggio, segno dell’incertezza e di una scelta da fare. Dovrei dirle la verità?
***
Rivedere la sua città natale era sempre dolceamaro. Sembrava più un grosso paese, ipertrofico e deforme, abitato da vecchi acidi e spoglio di calore umano. Ma le mura medievali ed il bellissimo lago, incastonato nelle montagne, le ricordavano l’adolescenza e le notti passate a camminare nei vicoli. I negozi, nati per truffare i turisti, le ricordavano le magliette di moda comprate insieme, con i pochi soldi che avevano nelle loro prime borse ancora infantili. E poi i pomeriggi di nuvole grigie, in cui si erano rivelate sentimenti che sembravano tutto, e avevano lasciato che la profondità buia del lago facesse sembrare più piccoli i propri dolori.
Dopo un’attesa che sembrò lunghissima, Dafne la vide, dall’altra parte della piazza. Dopo dieci anni, era ancora come la ricordava: bellissima e consapevole di esserlo. L’aveva sempre invidiata per questo. I boccoli corvini cadevano in un caschetto corto che lasciava vedere i vistosi orecchini blu e arancioni, abbinati perfettamente al vestito lungo e agli stivali a punta. Anche i suoi gusti fieramente estrosi non erano cambiati.
Le due si videro, si sorrisero timidamente. Dafne iniziò a pensare a cosa dire mentre lei si avvicinava, ma non trovò una risposta soddisfacente e riuscì solo a dire piano:
“Ehi”.
“Ehi”, rispose l’altra con un piccolo sorriso, “sei venuta davvero”.
“Già, anche tu”, rise nervosamente Dafne.
“Vuoi andare al solito posto? Parliamo”.
Si avviarono verso il Chocolat, che, da ragazze, amavano particolarmente in inverno, quando fuori pioveva e si scaldavano le mani sulle tazze bollenti della cioccolata calda. Non avevano ancora rotto il ghiaccio, in effetti. Nessun “come stai?”, nessuna considerazione sul meteo. Dafne fu felice che non ne avessero sentito il bisogno.
***
“E ti ricordi di quella volta che c’era anche Mia, e quei tizi che avevi conosciuto a scuola avevano iniziato a farsi i buchi alle orecchie con gli aghi della mamma di Pavel?”, rideva Dafne.
“Sì, e tu eri talmente impressionata che ci avevi trascinato subito via, prima che io e Mia facessimo cazzate. Dovevi lasciarti andare un po’ di più!”
“Ehi, non me ne frega niente se vi bucate le orecchie o no; è che non era sicuro! Non volevo prendeste un’infezione!”
“Lo so, lo so. Oh, scusi? Cameriere? Potrebbe aggiungere la cannella alla cioccolata della mia amica per favore?" e guardando Dafne, "Ti piace ancora con la cannella, giusto?”
Le due si guardarono e Dafne si sentì di nuovo pervadere da un sentimento che credeva dimenticato. Quella sensazione di essere vista, in ogni singolo gesto. La sensazione di sentire la parola “amica” provenire da quella voce calda e familiare.
“Te lo ricordi ancora. Della cannella”, sorrise.
“Beh… Certo che sì”.
Dopo un momento di silenzio, Dafne riprese: “Senti, Lilla…”
“Lilla”, la interruppe la vecchia amica, “Erano dieci anni che nessuno mi chiamava più così. Mi mancava”.
“Preferisci che ti chiami Cara? All’ultimo anno delle superiori non volevi più essere chiamata Lilla”
“No, no. Lilla va bene”.
Ed eccola di nuovo, quella sensazione. Dafne la sentiva nel petto e quasi le veniva da piangere. Ripensò a quando uscivano a correre nei campi vicino casa, d’inverno, e poi tornavano al calare del buio e si stringevano per scaldarsi. E a quando leggevano insieme, ad alta voce, un capitolo a testa, e non riusciva a fare a meno di fissare rapita il movimento delle labbra di Lilla. Era come tornare a casa.
***
“Allora, com’è tornare a vivere qui dopo tanti anni?”
Dafne ci pensò e rimase un attimo in silenzio. Si erano spostate in riva al lago, ancora illuminato dal giallo limone dell’ultimo sole della giornata.
“Strano. Quando me ne sono andata ero decisa a lasciarmi alle spalle questo posto, e tutto il bagaglio che si portava dietro. Ma ora è diverso”. Pensò tra sé che, forse, il merito era anche di Lilla. “Ne ho passate davvero tante qui. Vivere coi miei faceva schifo, mio fratello era malato, mio padre era un pezzo di merda. E poi stavo male anche per te… Anche tu ne hai passate tante.”
Si sorrisero amaramente.
“Però adesso”, continuò Dafne, “stare qui non fa per forza schifo. Credevo che avrei associato questi luoghi al dolore per sempre, ma mi sbagliavo. Forse è bastato semplicemente che passasse del tempo.”
“E che morisse tuo padre…” aggiunse Lilla sottovoce.
"Già, probabilmente", rise tristemente Dafne.
Si guardarono di nuovo con lo stesso sorriso sarcastico, appena accennato, e Dafne decise di lasciarsi andare e dire tutto ciò che pensava ad alta voce, come ai vecchi tempi.
“Sai, credevo che anche tu saresti rimasta per sempre associata a quel periodo. Che non avremmo mai più potuto essere amiche. E mi faceva male.”
Entrambe ora avevano gli occhi lucidi.
“Lo capisco”, rispose Lilla a bassa voce. “Onestamente, se avessi scelto di non volermi mai più vedere l’avrei capito. Sono stata un’amica di merda, il più delle volte”.
“Non dire così. Cioè, sì, tante volte non ti sei comportata bene, ma non era colpa tua. Eri molto depressa e anche tu non potevi sentirti al sicuro in casa tua. E non è che io fossi perfetta.”
“Invece sì che eri perfetta.", disse Lilla con la voce rotta. "Dafne, non te l’avevo mai detto, ma… Dopo che ho tentato di… Mi hanno fatto una diagnosi. Bipolare di tipo 1.”
“... Cosa? E perché non me l’avevi mai detto?”
Lilla sospirò, accendendosi una sigaretta. Dafne pensò che era un peccato; sperava che avesse smesso. Diceva sempre di voler smettere.
“Non te l’ho mai detto perché avevo paura del tuo giudizio. Mentre io sbandavo, bevevo e fumavo, non andavo a scuola, tu tiravi dritto, eri una brava ragazza e prendevi voti perfetti. Pensavo che non potessi capirmi. Avevi troppi pregi per stare dietro a un disastro come me. Così, ti allontanavo.”
“Ironico”, rispose Dafne, prendendo a sua volta una sigaretta e avvicinandola all’accendino di Lilla. All’accendersi della fiamma, gli occhi delle due si incontrarono, illuminati di rosso nella penombra del crepuscolo.
“Anche io ti avevo idealizzata totalmente. Mi sembravi come una fenice, che brucia, si consuma nelle fiamme e muore, ma proprio per questo vive al massimo, e poi rinasce più fiera di prima. Quando ti guardavo vedevo la tua bellezza e il tuo coraggio di accogliere pienamente i sentimenti. In confronto a te mi sentivo banale e noiosa.”
Guardando il lago, dipinto di rosa, Dafne prese una decisione: sì, voglio essere com’era lei allora. Non voglio più rifiutare i miei sentimenti.
“Lilla… In questi anni ho capito molte cose di me stessa. E ho capito anche il motivo per cui, come ricorderai, non ero particolarmente interessata ai ragazzi.”
Lilla scoppiò a ridere: “Oh, Dafne, era ovvio. Lo sapevo già.”
Dafne si fece coraggio: “Ma forse non sapevi che la persona che mi interessava davvero… eri tu.”
Le montagne avevano ormai inghiottito il sole e l’aria si faceva fredda.
Lilla non rispose; le due rimasero in silenzio. Dafne visse di nuovo la stessa greve delusione, lo stesso rifiuto implicito che aveva percepito anni addietro. Ma almeno, pensò, era stata finalmente coraggiosa.
Stava per alzarsi e chiudere così quello strano incontro, ma Lilla le prese la mano. Dafne sentì il cuore battere forte, in modo fin troppo familiare.
“Dafne, nessun altro è mai stato come te. Scusami per averti fatta soffrire. Mi sei mancata. Vuoi essere di nuovo mia amica?”
Dafne si perse per un momento negli occhi grandi di Lilla.
“Amiche, dici?”
“Sì, ma un altro tipo di amiche. Le amiche che avremmo voluto essere allora.”
“Mi piacerebbe.”
Mentre i primi lampioni si accendevano e le labbra delle due vecchie amiche si incontravano, così calde nel freddo della sera, Dafne si inebriò del sapore di Lilla, simile a quello delle infinite cioccolate bevute insieme. Era la dolcezza di una ricetta che si crede persa per sempre e che, alla fine, si è potuta assaporare di nuovo. Per la prima volta, era felice di essere tornata.
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
2Areeanna wrote: Dafne appoggiò il dado nervosamente e riaprì il messaggio che la teneva sveglia da diverse notti ormai.Qui non mi piace molto come è messa la frase. "nervosamente" può diventare la descrizione dell'azione, come "picchiò il dado sul tavolino" o simili. E "ormai" lo anticiparei, come "ormai da diverse notti"
Areeanna wrote: Dovrei dirle la verità?Qui lo metterei in corsivo o tra virgolette, perché è un pensiero. Oppure per tenerlo così nel testo va al passato e terza persona singolare
Areeanna wrote: Non dire così. Cioè, sì, tante volte non ti sei comportata bene, ma non era colpa tua. Eri molto depressa e anche tu non potevi sentirti al sicuro in casa tua. E non è che io fossi perfetta.”Be', che cos'è la colpa?

Un racconto rosa da manuale, secondo me. Non ho moltissimo da dire, onestamente, per due ragioni. La prima è che lo trovo scritto molto bene, e non ho alcun consiglio da dare: la trama è lineare e chiara, lo stile pulito e a tratti ispirato. La seconda ragione è che l'emozione che mi veicola è quella di una dolcezza infinita, e non ho granché da elaborare a riguardo, se non un "CHE CARINE!" (da leggersi con la stessa voce di quando vedi un gatto). I personaggi pensano e agiscono come persone reali e sono complessi pur essendo appena abbozzati.
Certo che è proprio narrativa, perché è difficile immaginare che i tasselli ritornino perfettamente al loro posto così rapidamente. Non dico sia impossibile, anzi; però è proprio una grossa botta di fortuna. Già è tanto se due persone che si sono ferite a vicenda sono in grado di rincontrarsi senza risentimento e parlare a cuore aperto (mi è piaciuto parecchio il passaggio sull'essere onesti), arrivare a un bacio è proprio qualcosa di incredibile. Ma è anche a questo che servono i rosa, raccontare situazioni incredibili, perché a volte la realtà è più che incredibile

Faccio fatica a empatizzare con un ritorno di fiamma così intenso a distanza di dieci anni, oltre che con questo tipo di nostalgia, ma personalmente mi hanno colpito molto i piccoli gesti d'amore e lo scoprirsi pian piano. E in ogni caso, anche se io non sono il lettore-tipo per questo racconto (faccio molta fatica a credere alle seconde possibilità), posso capire da dove arrivi tutto questo

Areeanna wrote: Quella sensazione di essere vista, in ogni singolo gesto.È una cosa meravigliosa, ci stavo giusto riflettendo ultimamente. Vedersi, accertarsi, comprendersi. Per nulla scontato, in effetti.
Mi è piaciuto molto. Ricco di sentimenti e toccante.
Keep going sis

Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
3Areeanna wrote: Mentre i primi lampioni si accendevano e le labbra delle due vecchie amiche si incontravano, così calde nel freddo della sera, Dafne si inebriò del sapore di Lilla, simile a quello delle infinite cioccolate bevute insieme. Era la dolcezza di una ricetta che si crede persa per sempre e che, alla fine, si è potuta assaporare di nuovo. Per la prima volta, era felice di essere tornata.Molto bello! Dall'inizio alla fine! Traccia rispettata alla perfezione. Mi associo ai complimenti di Mina, Complimenti @Areeanna
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
4Pensosamente, semplicemente, nervosamente, perfettamente, fieramente, amaramente, semplicemente, probabilmente, tristemente, onestamente, totalmente, pienamente, particolarmente e… finalmente!
Quattordici avverbi in mente in un testo così breve sono troppissimi! Ora io non sono proprio del tutto fissata nel rimuovere gli avverbi in “mente” ma secondo me vanno usati con parsimonia. Ti consiglio di trovare delle soluzioni alternative per alleggerire il testo.
Il testo abbonda anche di dimostrativi (quel, quella) che puoi rimuovere per renderlo più asciutto e scorrevole.
Hai scelto un narratore onnisciente focalizzato su Dafne, forse poteva essere più coinvolgente una narrazione in prima persona al presente indicativo,
Per il contenuto il tuo racconto mi ha convinta @Areeanna. Il testo è delicato e racconta l’amore tra le due “amiche” in “punta di penna” .
Non mi è piaciuta molto la storia della bipolarità, alcolismo ecc. un carico da undici troppo impegnativo per essere appena sfiorato. Oltretutto di questa problematica non emerge nulla nei ricordi giovanili di Dafne, dunque queste problematiche le riserverei a una trattazione più approfondita, cosa che in un racconto breve non si può fare.

Quattordici avverbi in mente in un testo così breve sono troppissimi! Ora io non sono proprio del tutto fissata nel rimuovere gli avverbi in “mente” ma secondo me vanno usati con parsimonia. Ti consiglio di trovare delle soluzioni alternative per alleggerire il testo.
Il testo abbonda anche di dimostrativi (quel, quella) che puoi rimuovere per renderlo più asciutto e scorrevole.
Hai scelto un narratore onnisciente focalizzato su Dafne, forse poteva essere più coinvolgente una narrazione in prima persona al presente indicativo,
Per il contenuto il tuo racconto mi ha convinta @Areeanna. Il testo è delicato e racconta l’amore tra le due “amiche” in “punta di penna” .
Non mi è piaciuta molto la storia della bipolarità, alcolismo ecc. un carico da undici troppo impegnativo per essere appena sfiorato. Oltretutto di questa problematica non emerge nulla nei ricordi giovanili di Dafne, dunque queste problematiche le riserverei a una trattazione più approfondita, cosa che in un racconto breve non si può fare.
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
5E' un bel racconto, @Areeanna perché sai scrivere. Scorre, regala suggestioni sensoriali, dispiace che finisca.
Tuttavia, lasciami fare qualche osservazione.
Sembra la storia di un ritorno, ma ormai è cosa nota: non esistono. Per quanto tortuoso e impervio sia il tragitto, nessuno tornerà mai al punto partenza. Ci sono soltanto arrivi.
Questo accade a Dafne: arriva a Lilla e dunque a quella se stessa che aveva abbandonato. Ma, paradossalmente è proprio quanto manca al racconto.
Dieci anni, praticamente una vita. Condotta come? Della rinuncia alla sua anima, di quanto le sia costata, non c’è traccia.
Perché, va detto: a parlare d'amore si tirano dentro esistenza e identità, mica solo fiocchetti e cuoricini.
Invece, il passato, custode di quella verità, affiora timido, reticente, per poi svelarsi tutto con quel bacio, proposto da Lilla come un pasticcino assieme al tè e dunque orfano di consapevolezza autentica. Come se entrambe non sapessero ancora distinguere l’amicizia dall’amore, che sono diversi, ancorché potenti allo stesso modo.
Evidentemente è qualcosa di più: il primo anello di una catena di fraintendimenti, utilissimo a tratteggiare anni di vita dirottata. Ma anche quello è rimasto un abbozzo, quasi un inciampo per poi andare oltre.
A quel ragazzo spettava il seguito di molti altri, cornice adeguata al volo della fenice che si dà fuoco da sola, appagata della fiamma quanto ignara della rovina (una bottarella di HIV ormai non ammazza nessuno e con poche parole può definire un contesto)
Sarebbe bastato un aggettivo, il segno di una cinghiata, poca roba ma sufficiente a dare spessore a quei dieci anni di fuga.
Insomma una storia interessante, però secondo me, ancora da raccontare. Magari senza il guinzaglio dei 16000 caratteri
Pensaci. Ne vale la pena
A rileggerti
Tuttavia, lasciami fare qualche osservazione.
Sembra la storia di un ritorno, ma ormai è cosa nota: non esistono. Per quanto tortuoso e impervio sia il tragitto, nessuno tornerà mai al punto partenza. Ci sono soltanto arrivi.
Questo accade a Dafne: arriva a Lilla e dunque a quella se stessa che aveva abbandonato. Ma, paradossalmente è proprio quanto manca al racconto.
Dieci anni, praticamente una vita. Condotta come? Della rinuncia alla sua anima, di quanto le sia costata, non c’è traccia.
Perché, va detto: a parlare d'amore si tirano dentro esistenza e identità, mica solo fiocchetti e cuoricini.
Invece, il passato, custode di quella verità, affiora timido, reticente, per poi svelarsi tutto con quel bacio, proposto da Lilla come un pasticcino assieme al tè e dunque orfano di consapevolezza autentica. Come se entrambe non sapessero ancora distinguere l’amicizia dall’amore, che sono diversi, ancorché potenti allo stesso modo.
Areeanna wrote: Avevano litigato per una stupidaggine; per un ragazzo, il motivo più imbecille di tutti.Motivo imbecille, che però è riuscito a demolire anni di comunanza e di intimità.
Evidentemente è qualcosa di più: il primo anello di una catena di fraintendimenti, utilissimo a tratteggiare anni di vita dirottata. Ma anche quello è rimasto un abbozzo, quasi un inciampo per poi andare oltre.
A quel ragazzo spettava il seguito di molti altri, cornice adeguata al volo della fenice che si dà fuoco da sola, appagata della fiamma quanto ignara della rovina (una bottarella di HIV ormai non ammazza nessuno e con poche parole può definire un contesto)
Areeanna wrote: mio padre era un pezzo di merdaBene, ce ne sono tanti a piede libero, ma anche a questo forse spettava qualche parola in più. Perché è in famiglia che Dafne ha cominciato a morire.
Sarebbe bastato un aggettivo, il segno di una cinghiata, poca roba ma sufficiente a dare spessore a quei dieci anni di fuga.
Insomma una storia interessante, però secondo me, ancora da raccontare. Magari senza il guinzaglio dei 16000 caratteri
Pensaci. Ne vale la pena

A rileggerti
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
6mi associo al coro, racconto godibile, eppure mi pare rimanga al livello di bozza, Non so, forse è solo una sensazione ma non credo che il problema sia il limite di battute (almeno non solo quello), anch'io, come @Monica ho notato l'uso eccessivo di avverbi in mente, ma ciò che mi è mancato è stato l'elemento che avrebbe dovuto acchiapparmi lo stomaco. Questa sfida sul rosa, secondo me, si è rivelata davvero ostica per tutti.
in ogni caso hai una buona scrittura.
in ogni caso hai una buona scrittura.
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
7Grazie davvero per le utili osservazioni.
Dal punto di vista formale, farò certamente più attenzione agli avverbi in futuro
Per quanto riguarda il contenuto, vi do del tutto ragione @Mina, @Monica e @aladicorvo. Tutti e tre avete posto una giusta critica: sono troppe le questioni irrisolte ed i problemi, pur cruciali nel definire le protagoniste, che ho mancato di affrontare. Il limite di caratteri ha avuto un ruolo in questo, ma, nello scrivere, mi sono concentrata su ciò che ancora queste due vecchie amiche avevano in comune, sui loro ricordi condivisi e sul legame stretto che ha permesso loro di ritrovarsi subito, come se tutto quel tempo non fosse mai tascorso. Ma, in realtà, quel tempo è passato e non può essere tutto come prima. Certamente il maggior limite del racconto è proprio qui, come mi avete fatto notare. Ne prendo nota.
A rileggerci!
Dal punto di vista formale, farò certamente più attenzione agli avverbi in futuro

Per quanto riguarda il contenuto, vi do del tutto ragione @Mina, @Monica e @aladicorvo. Tutti e tre avete posto una giusta critica: sono troppe le questioni irrisolte ed i problemi, pur cruciali nel definire le protagoniste, che ho mancato di affrontare. Il limite di caratteri ha avuto un ruolo in questo, ma, nello scrivere, mi sono concentrata su ciò che ancora queste due vecchie amiche avevano in comune, sui loro ricordi condivisi e sul legame stretto che ha permesso loro di ritrovarsi subito, come se tutto quel tempo non fosse mai tascorso. Ma, in realtà, quel tempo è passato e non può essere tutto come prima. Certamente il maggior limite del racconto è proprio qui, come mi avete fatto notare. Ne prendo nota.
A rileggerci!
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
8Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmQuei diciott’anni che concedono la benedizione di un futuro ancora da scrivere, ma, per loro, anche la sensazione di portare sulle spalle il peso del mondo.È un concetto un po' logoro. Lo vestirei a nuovo.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmDovrei dirle la verità?Per coerenza: "Avrebbe dovuto dirle la verità?".
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmmen che meno per rispettare una stupida promessaNel messaggio subito sopra, l'aggettivo "stupido" viene ripetuto seguendo una ratio. Qui invece stona, sembra proprio una ripetizione sfuggita alla rilettura. Nei passaggi precedenti (ma anche nei successivi) ti segnalo una sproporzionata quantità di avverbi in -mente. Poverini, un tempo non facevano male a nessuno, oggi va di moda dargli la caccia. Adeguiamoci.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmSembrava più un grosso paese,"Più che una città, sembrava un grosso paese". Altrimenti quel "più" sembra orfano.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmed ilEcco un altro elemento da considerare per fare pulizia nei testi prima che ci mettano le mani gli editor: la d eufonica tra vocali diverse andrebbe evitata.
"Grosso", "bellissimo", lunghissima", "bellissima": a parte l'abuso di superlativi, l'uso eccessivo di aggettivi che dicono "tutto e niente" andrebbe tenuto sotto controllo.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmEhi, non me ne frega niente"Fregava".
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmalla cioccolata della mia amica per favore?Dopo "amica", ci vuole una virgola. Anche se nel parlato queste pause non ci sono o non si sentono, nello scritto sono necessarie.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmQuella sensazione di essere vista, in ogni singolo gesto.Vero. Un po' come Carmelo Bene e il suo "Mi vedo visto".
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmancora illuminato dal giallo limone dell’ultimo sole della giornata.Il sole che tramonta color "giallo limone"? Mi pare assuma toni aranciati/rossastri, perdendo quasi del tutto la componente gialla.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmNe ho passate davvero tante qui. Vivere coi miei faceva schifo, mio fratello era malato, mio padre era un pezzo di merda. E poi stavo male anche per te… Anche tu ne hai passate tante.”"Passarne tante" è un luogo comune e andrebbe evitato. Il discorso di Dafne mi pare inutile, perché l'amica conosce bene il suo passato.
Areeanna wrote: Sun Jun 16, 2024 2:07 pmcome ai vecchi tempi.Altro luogo comune. Una scrittura "sorvegliata" ha il fine di evitarli.
Il dialogo che segue non decolla, nonostante la diagnosi dolorosa. Sono due adulte, ma parlano come adolescenti poco strutturate.
Sono comunque felice di averti letto, @Areeanna. Grazie per essere qui.
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
9Ciao @Areeanna
Ho apprezzato il racconto per la delicatezza e riservatezza di questa amore. Nel passato ho scritto anche io racconti del genere, in versione maschile.
Mi piace quando gli amori omosessuali sono descritti, come dovrebbe essere naturale, senza ostentazioni e provocazioni, cosa che nella società di oggi non sembra ovvio e che talvolta suscita dissapori e inutili incomprensioni.
Come anche altri ti hanno fatto notare i caratteri a disposizione sono pochi per spiegare appieno, in tutte le sue sfumature, la vita di queste due splendide donne che si amano di un amore puro, naturale, assoluto. Non ci possono essere compromessi.
Dopo dieci anni di lontananza mi sarebbe piaciuto vedere affiorare nei ricordi di Dafne qualche avvenimento un episodio particolare del suo passato con Carolina, sia positivo che anche, perché no, negativo, di quelle negatività che in amore feriscono, permangono, desiderano essere appianate, chiarite, anche dopo il passare del tempo, lasciando nell’animo lunghi strascichi.
C’è molta delicatezza nelle due amiche, nell’ambiente che le circonda, direi un ambiente “rosa”, ma non sono pratico del genere. Questa delicatezza appare un po’ incrinata quando affiorano nei ricordi i comportamenti del padre di Dafne, ricordi che non specifichi ma che sono facilmente intuibili, inerenti forse ai primi atteggiamenti di Dafne nei confronti dell’amore.
Alla fine, nell’atmosfera evocativa e delicata del loro incontro Dafne e Carolina si scambiano un bacio dal sapore emblematico del cioccolato si direbbe, ma amo credere che oltre a questo ci sia anche il sapore dell’una e dell’altra nell’essenza di tutto quello che avrebbe potuto essere in un mondo felice e che ora, dopo il ritorno di Dafne e della loro riunione, probabilmente sarà.
Ho apprezzato il racconto per la delicatezza e riservatezza di questa amore. Nel passato ho scritto anche io racconti del genere, in versione maschile.
Mi piace quando gli amori omosessuali sono descritti, come dovrebbe essere naturale, senza ostentazioni e provocazioni, cosa che nella società di oggi non sembra ovvio e che talvolta suscita dissapori e inutili incomprensioni.
Come anche altri ti hanno fatto notare i caratteri a disposizione sono pochi per spiegare appieno, in tutte le sue sfumature, la vita di queste due splendide donne che si amano di un amore puro, naturale, assoluto. Non ci possono essere compromessi.
Dopo dieci anni di lontananza mi sarebbe piaciuto vedere affiorare nei ricordi di Dafne qualche avvenimento un episodio particolare del suo passato con Carolina, sia positivo che anche, perché no, negativo, di quelle negatività che in amore feriscono, permangono, desiderano essere appianate, chiarite, anche dopo il passare del tempo, lasciando nell’animo lunghi strascichi.
C’è molta delicatezza nelle due amiche, nell’ambiente che le circonda, direi un ambiente “rosa”, ma non sono pratico del genere. Questa delicatezza appare un po’ incrinata quando affiorano nei ricordi i comportamenti del padre di Dafne, ricordi che non specifichi ma che sono facilmente intuibili, inerenti forse ai primi atteggiamenti di Dafne nei confronti dell’amore.
Alla fine, nell’atmosfera evocativa e delicata del loro incontro Dafne e Carolina si scambiano un bacio dal sapore emblematico del cioccolato si direbbe, ma amo credere che oltre a questo ci sia anche il sapore dell’una e dell’altra nell’essenza di tutto quello che avrebbe potuto essere in un mondo felice e che ora, dopo il ritorno di Dafne e della loro riunione, probabilmente sarà.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
(Apocalisse di S. Giovanni)
Re: [Lab14] Un altro tipo di amiche
10Grazie @Alberto Tosciri del bellissimo commento. Hai colto molto bene le mie intenzioni e la tua interpretazione è molto bella. Mi ha fatto piacere.