Il posteggiatore di pensieri. Parte 1

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 Lunedì è buon giorno per i ripensamenti sulla vita, sul bilancio che si ha evitato di fare nel fine settimana. Se si potesse Luca farebbe partire il calendario da martedì, suonerebbe meno faticoso, ma se ciò accadesse presto si stuferebbe anche del martedì e probabilmente vorrebbe partire da mercoledì. Apre il balcone per far prendere un po’ d’aria alla camera, bagna le sue due piante, mentre la città si agita e tutto si muove a passo rapido di marcia.
Ore sei di mattina: spendere le ore della vita è complicato, si finisce per sprecare il tempo o sognare a occhi aperti, ma Luca ha già imparato che i sogni non fanno mangiare. Dicono se fai quello che ti piace non lavori un giorno, quando lo si sente dire sembrano parole utili, ma la realtà è ben differente. Un giorno da piccolo Luca aveva chiesto a sua mamma se le piacesse lavare le scale. Lei non aveva risposto, ma gli aveva mollato uno scapaccione.  
Vent’anni, una famiglia tenuta insieme da una colla che ormai da tempo non tiene più: una mamma da sempre chiamata con il nome di battesimo, Elisa, e un padre, Rodolfo. Da piccolo gli sembrava così strano chiamarli per nome mentre tutti chiamavano i genitori mamma e papà. I suoi genitori erano strani al punto da mettere Luca in imbarazzo, pareva quasi che si vergognassero di essere genitori o forse erano inciampati in quel ruolo che gli stava stretto, ma ormai tornare indietro era impossibile.
Sta di fatto che Luca aveva imparato sulla sua pelle che le favole non camminano con i piedi sulla terra e il lieto fine fa star bene solo nei film. Elisa se ne era andata due anni prima con un uomo che Rodolfo aveva definito “il posteggiatore di pensieri” e che Luca detestava, anche se lui aveva fatto il possibile per entrare in sintonia e gli aveva perfino trovato un lavoro.  Non aveva preso in considerazione neanche per un secondo la possibilità di andarci, ma siccome Elisa insisteva fino a farlo diventare pazzo, mise piede in quel posto: due giorni, poi litigò prendendosi a pugni con il primo che gli aveva dato un pretesto e tutto finì prima di iniziare.
Luca non voleva favori, perché i piaceri creano debiti e non voleva dovere ringraziare chicchessia e in special modo quell’uomo. Elisa ci rimase male non tanto per lui, ma per la figura fatta fare al “posteggiatore di pensieri”: glielo ripeteva sempre che a sedici anni era rimasta incinta di Rodolfo e non aveva avuto nulla, solo dispiaceri e lacrime, sacrificando tutta la sua vita con un uomo sbagliato, era  tempo anche per lei di avere un po’ di felicità. Luca però ricordava anni in cui lei e Rodolfo ridevano come dei matti, forse fingevano, ma se lo facevano erano davvero bravi. 
Le famiglie non te le scegli, ci inciampi dentro e c’è poco da recriminare o angosciarsi, alla fine avrebbe potuto anche andargli peggio. Rodolfo non l’aveva mai picchiato, anzi aveva sempre voluto capire cosa agitasse il cuore di Luca. Elisa aveva il vizio di urlare, cosa che ha mantenuto, ma erano solo tuoni di un temporale che raramente si manifestava. Entrambi erano troppo occupati dai loro guai che li assorbivano divorandoli, distanziandoli chilometri dalla vita degli altri. Elisa ora pensa che sentirsi dieci minuti al telefono faccia stare bene sia lei che Luca, così quasi tutti i giorni telefona, lui ascolta il suo quotidiano rapporto fatto di discussioni, banalità, di una nuova ricetta per un dolce da lei inventato, e quando gli chiede “Come stai? “non gli esce nient’altro che “Tutto bene”.
Rodolfo sono anni che non lo vede, quell’uomo è un capitolo a parte, certo non concorre per il miglior padre dell’anno, sempre in moto anche se fermo, con in tasca un vagone di idee che puntualmente naufragano sul primo scoglio, sempre pronto a scherzare e a sdrammatizzare su ogni cosa. In quinta elementare Luca gli aveva chiesto che lavoro facesse per un tema. Rodolfo aveva assunto un piglio assorto per poi dire: “Scrivi che faccio il meccanico delle auto da corsa.”  Luca scrisse il tema e prese anche un bel voto, ma di vero come per tante altre cose non c’era niente. Luca buona parte della sua adolescenza se la rammentava con Elisa che urlava e se suo padre che se vedeva la mal parata se ne andava sbattendo la porta e tornando dopo giorni. Tornava con dei soldi, alcune volte tanti, allora la rabbia si trasformava in una strana euforia, si rideva, pareva che quei pezzi di carta appianassero ogni rancore.
Visto che i soldi portavano così tanta armonia Luca pensò bene di affittare un po’ di felicità per lui e per la sua famiglia e, dopo averci ragionato, pensò che rubare fosse l’unica soluzione. Rubava senza un preciso ordine logico, ma presto imparò che tutto si poteva trasformare in soldi. Un giorno i suoi genitori furono chiamati a scuola: Luca con altri due compagni avevano rubato nell’intervallo alcuni dei cappotti più belli per poi rivenderli. L’incredibile è che avevano trovato anche un compratore, un vecchio sorcio che aveva una bottega sotto casa di Luca.  Sua madre era furente aveva gli occhi di brace, suo padre stava in silenzio come se avesse perso la voce. Prese tante di quelle botte che suo madre si slogò il polso, suo padre stava seduto senza dire un fiato, ma il giorno dopo se ne andò, affrontare i problemi non era nelle sue corde. La mattina prima di andarsene gli scrisse un biglietto: -Non fare come me, fai il bravo -.
A modo suo si era sprecato, troppe parole affollano la testa diceva e ovviamente Luca non diede retta a quella  mezza frase detta da un uomo che certo non si poteva porre come esempio. A pensarci l’ultima volta che l’aveva visto era entrato in casa scarmigliato come se avesse attraversato una tempesta, un uomo in fuga, una faccia grigia con la barba sfatta e la solita sigaretta in bocca, si guardava intorno come se quella casa dove aveva abitato per anni non la conoscesse, sembrava imbarazzato. Si era avvicinato a Luca e con tono solenne aveva detto: “Nascondi questa scatoletta e aprila solo se ne avrai bisogno”.  Luca allora aveva tredici anni e non seppe dire nulla se non “Grazie papà”.
Un giorno però sua madre, facendo le pulizie, scoprì il nascondiglio e gli chiese cosa fosse quella scatola. Lui non voleva dirlo e alla fine provò ad inventarsi una storia a cui lei non credette quindi l’aprì senza troppo pensarci e trovò un quadernino con la copertina scura. Subito la prese una rabbia incontrollata e strappò il quadernino urlando verso il mondo, verso suo marito, verso Dio, verso lui stesso. Quando il tornado si placò Luca prese il quaderno diviso a metà e lo nascose sotto il suo letto. Più tardi cominciò a leggere quelle parole accostate spesso a caso e provò una grande delusione. Si aspettava tanto, forse troppo: soldi oppure un qualcosa di valore da poter vendere e alla fine come molte volte accadeva le aspettative deludevano la realtà. Luca aveva giurato a suo padre di non aprire la scatoletta, ma a pensarci bene che diavolo di segreto aveva tenuto nascosto? Solo parole inutili che certo non facevano mangiare meglio. Alla fine sua madre aveva ragione, papà era da rinchiudere o in una cella o in un ospedale, meglio pensare ad altro.
Luca continuò per la sua strada fino a prendersi due denunce per furto e alla fine, di colpo come l’aveva iniziata, mollò la scuola fino a farsi sei mesi di casa-famiglia: fu l’inizio di assistenti sociali, psicologi, di bugie, di ravvedimenti e di ricadute, di voglia di strangolare chi lo guardava e lo analizzava come fosse un insetto. Da un passato burrascoso si può costruire un presente felice, ma Luca la speranza la usava quando doveva incantare qualcuno e se la gente gli chiedeva se fosse felice rispondeva veloce certamente, ma in verità la felicità quella di cui tutti parlano non l’aveva mai conosciuta se non nei sogni.

Re: Il posteggiatore di pensieri. Parte 1

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Sarano wrote: Se si potesse Luca farebbe partire il calendario da martedì, sembrerebbe suonerebbe meno faticoso, ma se ciò accadesse presto si stuferebbe anche del martedì e probabilmente vorrebbe partire da mercoledì. 
Sarano wrote: Elisa se ne era andata due anni prima con un uomo che Rodolfo aveva definito “il posteggiatore di pensieri” e che Luca detestava, 
A me come lettrice manca la spiegazione di quella definizione...
Sarano wrote: ma siccome Elisa insisteva fino a farlo diventare pazzo, mise piede in quel posto: due giorni, poi litigò prendendosi a pugni con il primo che gli gliene aveva dato un pretesto
Sarano wrote: sacrificando tutta la sua vita con un uomo sbagliato, era  tempo anche per lei di avere un po’ di felicità.
La virgola è per pause brevi; qui sopra ci sta meglio il punto e virgola.
Sarano wrote: Elisa ora pensa che sentirsi dieci minuti al telefono faccia stare bene sia lei che Luca, così quasi tutti i giorni telefona, lui ascolta il suo quotidiano rapporto fatto di discussioni, banalità, di una n
Anche qui sopra, dopo "telefona" ci sta meglio il punto e virgola.
Sarano wrote: Luca buona parte della sua adolescenza se la rammentava con Elisa che urlava e se suo padre che se vedeva la mal parata se ne andava sbattendo la porta e tornando dopo giorni.
Te la riscrivo qui come la "sento io":
Luca si rammentava buona parte della sua adolescenza con Elisa che urlava e suo padre che, se vedeva la mal parata, se ne andava sbattendo la porta e tornando dopo giorni.
Sarano wrote: Visto che i soldi portavano così tanta armonia Luca pensò bene di accaparrarne affittare un po’
"affittare" non mi sembra adatto, nel contesto.
Sarano wrote: Prese tante di quelle botte che suo sua madre si slogò il polso, suo padre stava seduto senza dire fare  un fiato, ma il giorno dopo se ne andò, due punti al posto della virgola affrontare i problemi non era nelle sue corde.
I due punti prededono una spiegazione ed è questo il caso.
Sarano wrote: A modo suo si era sprecato, troppe parole affollano la testa diceva e ovviamente Luca non diede retta a quella  mezza frase detta da un uomo che certo non si poteva porre come esempio.
Metterei in corsivo le parole attribuite al padre.
Sarano wrote: Lui non voleva dirlo e alla fine provò ad inventarsi una storia a cui lei non credette punto e virgola quindi l’aprì senza troppo pensarci e trovò un quadernino con la copertina scura
Sarano wrote: verso suo marito, verso Dio, verso lui stesso il figlio stesso.
Sarano wrote: Quando il tornado si placò Luca prese il quaderno diviso a metà e lo nascose sotto il suo letto. Più tardi cominciò a leggere quelle parole accostate spesso a caso e provò una grande delusione.
Possibile che abbia aspettato così tanto a sfogliarlo? Non ha senso, secondo me. 
Sarano wrote: Si aspettava tanto, forse troppo: soldi oppure un qualcosa di valore da poter vendere e alla fine come molte volte accadeva le aspettative deludevano la realtà.
L'inciso va messo tra due virgole.
Sarano wrote: e se la gente gli chiedeva se fosse felice rispondeva veloce certamente, ma in verità la felicità quella di cui tutti parlano non l’aveva mai conosciuta se non nei sogni.
Sarano wrote: Tue Jun 04, 2024 7:36 pmsembrava imbarazzato. Si era avvicinato a Luca e con tono solenne aveva detto: “Nascondi questa scatoletta e aprila solo se ne avrai bisogno”.  Luca allora aveva tredici anni e non seppe dire nulla se non “Grazie papà”.
Ecco, scusami @Sarano ma per me è inverosimile questo dialogo. Il padre dà una scatoletta al figlio senza dirgli cosa contenga (poteva dirgli: i miei pensieri, per esempio), e il figlio adolescente non chiede nulla, ringrazia e mette via a scatola chiusa?  :umh:
Sarano wrote: Tue Jun 04, 2024 7:36 pmSubito la prese una rabbia incontrollata e strappò il quadernino urlando 
E lui la lascia fare? Pare non raccolga nemmeno i fogli stracciati da ricomporre... 

Spero che il secondo capitolo dia più chiarezza. Per intanto, grazie della lettura, @Sarano   :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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