Cheguevara ha scritto: Credo che dopo la fine del secondo conflitto mondiale il fenomeno abbia ampliato la propria dimensione, ma credo anche che i vari dialetti abbiano sempre mutuato termini dalle lingue straniere.Non quelli trentini, ti assicuro. L'italiano sì aveva molti termini stranieri già prima, per questo Mussolini ha cercato di introdurre a forza termini italianizzati (come "arlecchino" al posto di cocktail) ma nessuno di essi è rimasto. È rimasto "tramezzino" al posto di sandwich, forse perché coniato da D'Annunzio (che di linguaggio ci capiva di più).
Cheguevara ha scritto: La globalizzazione che viviamo oggi accelera - è ovvio - i due processi: da un lato l'introduzione nel linguaggio scritto e parlato di sempre nuovi termini presi pari pari da lingua straniere, dall'altro la graduale omogeneizzazione dei dialetti alla lingua ufficiale, termini stranieri inclusi.È un processo iniziato già da molto tempo, tanto che anche parlando dialetto, almeno un quarto dei termini sono in italiano o altre lingue. Tutto cambia nel mondo, non vedo perché il linguaggio debba fare eccezione.
dyskolos ha scritto: Questo pezzo tuo mi lascia perplesso perché ti contraddici con ciò che hai detto prima. Forse è un problema mio: mi manca qualcosa.Non mi contraddico mai (almeno su questioni importanti) e se gli altri non capiscono la colpa è mia, che non mi so spiegare.
dyskolos ha scritto: Dici che la lingua è scollegata dalla cultura e contemporaneamente che le lingue sono legate alla cultura.Nella mia testa è semplice, ma è più difficile spiegarlo. Non è vero che una lingua vale l'altra, o che siano scollegate dalla cultura. Io sono contenta di parlare italiano, se domani mi costringessero a parlare un'altra lingua probabilmente farei come altri hanno già fatto: scuole clandestine e resistenza passiva. La lingua è radicata nella cultura da cui nasce, e ha l'importanza che le si dà, ma non la rappresenta in toto. Se cambia nel tempo è un fatto naturale, così come cambia la moda, o la tecnologia e gli strumenti di lavoro (altrimenti io andrei in giro con un grembiale scomodissimo e un qualche attrezzo agricolo in mano di cui non saprei neanche il nome). Niente di tutto ciò è un male in sé, non si può fermare il tempo. Ciò che resta intatto sono solo i valori e un senso di appartenenza, spesso tenuti vivi da tradizioni o simboli, tutto il resto cambia, e per me va bene così.
dyskolos ha scritto: Forse io dovrei smetterla di studiare linguistica e tu hai ragione nel senso che il tuo modello ha già vinto e io perso. Mi sa che hai ragione tu nel dire che le lingue sono solo mezzi di comunicazione quindi l'una vale l'altra.Come ho detto sopra, no, una non vale l'altra. Ma tutte sono valide, tutte hanno le loro radici. Ho cercato di imparare qualcosa di tutte le lingue con cui sono venuta a contatto, e le ho sempre associate al modo di pensare. La lingua farsi, in particolare, mi ha dato molto da pensare, perché la prima cosa che la guida turistica iraniana ha messo in chiaro è che loro non sono arabi, ma persiani. Il legame tra lingua, cultura e identità era qui molto stretto (gli iraniani hanno ancora di traverso l'invasione araba, dopo secoli).
Le lingue dovrebbero essere un mezzo di comunicazione, ma quasi sempre viene dato loro un significato più ampio, legato all'identità. Quello che probabilmente volevo dire, in origine, è solo che si possono integrare termini stranieri, o lasciar andare quelli locali ormai inutili, senza patemi d'animo.
Noi possiamo solo parlare del presente, il futuro non esiste.Io personalmente preferisco le lingue che hanno il tempo futuro, forse solo perché mi sembrano più ottimiste

dyskolos ha scritto: Se una lingua ha bisogno di prestiti linguistici anche per decenni, come dici, questa è la prova che quella lingua è viva.Prima o poi i prestiti linguistici supereranno quelli originali, rendendola inutile. Penso al dialetto trentino: se metà delle parole devono essere prese a prestito dall'italiano, allora tanto vale parlare italiano (e già è così, per le nuove generazioni: i miei nipoti il dialetto non lo sanno, mentre mia madre inventa parole in simil-dialetto, distorcendo quelle italiane). Ma lo stesso si può applicare ad altre lingue locali e minoritarie.