[Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 3 di 5)

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Capitolo 3
 
Nel salotto della casa di Stadera sua moglie Annedda discuteva con Chiaretta, la moglie di Kaffettera. Parlavano in dialetto stretto e Clara, moglie di Martino il primogenito di Stadera, assisteva sgomenta non riuscendo a capire tutto. Era scocciata avendo dovuto anticipare le ferie per la notizia che il suocero era stato ricoverato in ospedale d’urgenza, mentre il giorno dopo era evaso con una motoape. Martino stava seduto in un angolo, il volto tra l’affranto e il divertito, Clara ogni tanto gli chiedeva:  ― Ma che dicono?
Martino metteva la mano avanti, scuoteva la testa e faceva un gesto come a dire: lascia perdere.
Suonò il campanello. Suono lungo e deciso.
― Questo è il maresciallo! Adesso sì che siamo a posto! ― piagnucolò Annedda.
Il maresciallo Jaddanu entrò con una cartella sottobraccio.
― Buonasera. Dov’è  ziu Pedru?
― Dove vuole che sia? Nel capannone in giardino ad aggiustare quel carro sfasciato!
― Devo fargli firmare dei documenti che mi ha mandato l’ospedale.
― Ci saranno  denunce? ― disse preoccupato Martino.
― Ma no. L’ospedale vuole una liberatoria per non assumersi responsabilità.
Mi hanno mandato una email stamattina.
― Quindi mio padre non sarà denunciato?
― Certo che no. Vado nel capannone per farlo firmare.
 
Stadera stava seduto in un angolo con alle spalle un carro a buoi vecchio ma risistemato, la stanga di attacco del giogo inclinata in alto, le sponde laterali e i raggi delle ruote verniciate di  arancione agricolo.
― Permesso? ― disse il maresciallo.
― Prego, prego. Siete venuto ad arrestarmi?
― Ma no! Dovete firmare una liberatoria per l’ospedale.
― Ah io firmo, ma quelli non saranno mai liberi.
― Da cosa?
― Dalla stupidità.
Il maresciallo rise. Mentre Stadera, inforcati dei grossi occhiali firmava, comparve un ragazzino che fotografava il carro con il suo cellulare.
― È mio nipote Davide, gli piace fare foto.
― Queste le avete fatte voi? ― disse il maresciallo indicando un tavolino con sopra delle statuine di uomini e donne scolpite in legno e rivestite di costumi di stoffa.
― Sì, mi diletto, diciamo. Io lavoro il legno, mia moglie fa i costumi. Adesso è arrabbiata perché sono uscito dall’ospedale.
― Un bel modo di uscire. Ma tutto si aggiusta. Come state adesso?
― Bene. Basta che non vedo certe cose.
In quel momento comparve Kaffettera, reggendo un giogo di buoi in legno.
― Ah! Ecco il complice! ― disse il maresciallo sorridendo.
― Mi arrestate maresciallo?
― Forse oggi no. Vedremo.
― Posso offrirvi qualcosa maresciallo? Abbiamo qualche birretta in frigorifero.
― Grazie, ma ho un impegno. Magari la prossima. Piuttosto… Cosa ci dovete fare con questo carro? E il giogo? Non avete buoi.
― Eh… ma ce li prestano i buoi ― disse Kaffettera e subito si morse la lingua.
― Ve li prestano? Per fare cosa?
― Il fatto è…― intervenne Stadera guardando di traverso Kaffettera ―  che io da giovane avevo il carro a buoi. Non ero  maistru ‘e carru – un artigiano costruttore,  ma un semplice carradori – un conduttore. Per quanto me ne intendo lo stesso ad aggiustare.
― Ci credo. Avete fatto un buon lavoro. Sembra nuovo. Volete usarlo per portare la santa in processione?
Stadera scosse la testa sconsolato. ― No, no. Ho chiesto al prete, ma non è d’accordo: usano una jeep e mettono la santa sul cassone, poi la portano in processione a spalla ragazzini in costume e può anche andare, ma non è come prima. Non ci sono più nemmeno gli uomini a cavallo con i fucili che sparavano in aria in segno di saluto, non ci sono più is cunflarius, i confratelli  con i cappucci bianchi che cantavano le preghiere con le donne. Io da giovane ero un cunflariu, lo sa? Ho ancora la tonaca. Mi seppelliranno con quella tonaca, è un mio diritto. Ho chiesto al prete di rimettere i cunflarius e mi ha detto che non si può. È tutto cambiato, è tutto diverso. È tutto più brutto, maresciallo.
Il maresciallo guardava il carro pensieroso. ― È così in ogni posto,  ziu Pedru. Purtroppo. Bisogna avere pazienza. Per adesso vi saluto. Mi raccomando: riguardatevi la salute e lasciate perdere i turisti. Se ne andranno. Torneremo a essere da soli a Bauflores!
― Che è molto meglio!
 
― È simpatico il carabiniere ― disse Davide, che aveva 13 anni.
― Sì. Non è  proprio di qui, ma nemmeno di tanto lontano. Sa come la pensiamo.
― Ma allora nonno, mi porti con il carro quando…
― Per carità! ― disse Stadera guardandosi intorno e al contempo lo fece anche Kaffettera, assicurandosi che il maresciallo se ne fosse andato e non ci fosse nessuno fuori del capannone.
― Non parlarne mai a voce alta!  Se ci scoprono bloccheranno tutto.
― Tranquillo nonno! Non dico niente!
― Manca poco ormai. Domani mattina.  Difficoltà? ― disse rivolto a Kaffettera.
― Eh! A momenti il maresciallo sapeva!
― Ma tanto non ha capito ― rispose Davide.
― A te sembra così. Forse ha anche capito, ma mi ha sempre dato l’impressione che non ci ostacolerà. Però è sempre un carabiniere. Farà il suo.
― E noi il nostro ― disse Kaffettera. ― Ma volevo dirti: sei sempre dell’idea che dobbiamo fare la cosa proprio il giorno della festa? Non è meglio il giorno dopo? Per rispetto.
― Non manchiamo di rispetto alla santa. Io non sono arrabbiato con la santa. Manca più di rispetto il prete a dire la messa come la dice e a fare entrare in chiesa quella gente mezzo nuda. E manca di rispetto a non ascoltare me che anche se non sono prete ne so più di lui di come si fanno le feste e le celebrazioni!  E  ci  mancano poi di rispetto a noi, porca miseria! Piuttosto: gli altri verranno tutti?
 Non vedono l’ora. E non hanno detto niente a nessuno.
― Ci mancherebbe! E niente problemi con le pecore? Enrichetto passerà domani mattina?
― Enrichetto si diverte e  ci aiuterà a portare le pecore.
― Le so portare anche io. Ma dobbiamo fare una cosa alla volta.  Enrichetto come si veste?
― Lui non ha bisogno di vestirsi all’ “antica”. È sempre rimasto così. Metterà i vestiti e i gambali di suo padre buon’anima. I vestiti nostri sono in quelle scatole.
― Ci sono anche i miei? ― disse entusiasta Davide andando verso le scatole.
― Sì, sì. Ma non aprirle adesso, anzi: mettici quel telo, non vorrei che qualcuno li vedesse. Domani mattina ti devi ricordare di alzarti presto e uscire di casa senza che se ne accorgono.
― Tranquillo nonno! Ho il sonno leggero e ogni mattina faccio una corsetta!
― Era meglio andare a zappare.
 
Il sole era sorto all’alba del 15 agosto.
La caserma carabinieri stava nella via dove abitava Stadera e il maresciallo Jaddanu, affacciandosi al balcone del piano superiore del suo alloggio di servizio da scapolo,  poteva scorgere il cortile della casa di Stadera. Da qualche giorno aveva notato un viavai insolito, uomini che entravano e uscivano con scatoloni.  Gli era venuta curiosità,  aveva sondato, ma non aveva saputo molto. Segno che c’era qualcosa. Ma cosa? Quella mattina di festa doveva presenziare con un paio di carabinieri alla  processione. Si chiedeva come mai un furgone adibito al trasporto di animali di grossa taglia si fosse fermato in quel momento davanti al giardino di ziu Pedru, facendo scendere due buoi tirati a lucido.
E ziu Pedru aveva un carro. E la pensava in un certo modo circa la soppressione delle usanze. Vedeva Annedda in strada discutere  con il marito, alzando le mani verso le finestre con i vicini affacciati che ridevano. Si sentivano tintinnare una moltitudine di campanelli di un gregge di pecore nelle vicinanze, ma le pecore non comparivano,  tra l’altro era proibito il loro transito nelle vie del paese. Stava bollendo qualcosa in pentola. Intervenire? Per cosa?
Ziu Pedru si era messo in mezzo alla strada, esasperato dalle urla della moglie, infastidito dai vicini che lo guardavano. Indossava pantaloni scuri di velluto, gambali, camicia bianca senza colletto, gilè nero e berretta. Guardò verso la caserma, vide il maresciallo al balcone. Sollevò la mano in segno di saluto. Il maresciallo sollevò anche lui la mano. Sospirò. Immaginava una giornata impegnativa.


continua
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 3 di 5)

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Alberto Tosciri wrote: Nel salotto della casa di Stadera virgola sua moglie Annedda discuteva con Chiaretta
Alberto Tosciri wrote: Martino metteva la mano avanti, scuoteva la testa e faceva un gesto come a dire: lascia perdere.
le mani avanti (il modo di dire è al plurale)
Alberto Tosciri wrote: Mentre Stadera, inforcati dei grossi occhiali virgola firmava, comparve un ragazzino che fotografava il carro con il suo cellulare.
Alberto Tosciri wrote: Ziu Pedru si era messo in mezzo alla strada, esasperato dalle urla della moglie, infastidito dai vicini che lo guardavano. Indossava pantaloni scuri di velluto, gambali, camicia bianca senza colletto, gilè nero e berretta. Guardò verso la caserma, vide il maresciallo al balcone. Sollevò la mano in segno di saluto. Il maresciallo sollevò anche lui la mano. Sospirò. Immaginava una giornata impegnativa.
Chi sospirava? Il maresciallo o lo ziu Pedru?

Vado avanti a leggere. Mi piace!  :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab 9] A sicut erat - Com'era prima (cap. 3 di 5)

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Poeta Zaza wrote: Chi sospirava? Il maresciallo o lo ziu Pedru?
Il maresciallo. Penso si dovrebbe vedere dal fatto che non sono andato a a capo nella frase, avendolo nominato per ultimo. Però hai ragione: potrei essere più chiaro.  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

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