Sto seguendo con grandissimo piacere questa discussione, ora ho un attimo di tempo per portare il mio piccolo contributo.
Secondo me un dialogo deve essere realistico e credibile: i personaggi devono parlare come persone, non come maschere, e la funzione informativa deve essere ridotta al minimo. Trovo abbastanza anti-immersiva l'esposizione. Anzi, non riesco più a leggere o ascoltare un dialogo del genere senza pensare a questo video:
https://youtu.be/IQew6ZWJtfI
Non condivido che i personaggi
wrote:Domenico S.Non devono parlare come nella realtà, ma come in una versione ideale della realtà
perché trovo anch'esso anti-immersivo. Dipende dal registro della narrazione, ovviamente, ma trovo molto efficace quando un personaggio compie errori grammaticali o usa espressioni colloquiali. Basti pensare a esempi illustri di anacoluto, come quelli di Manzoni:
wrote: Il coraggio, uno non se lo può dare
Questo è ancora più realistico con la forma più comune di scambio al giorno d'oggi: le chat. Trovo che una narrazione tramite chat abbia una potenzialità immensa. In una narrazione più "classica", invece, la scelta di quanto il dialogo debba essere realistico, oltre che dal registro, dipende anche dal punto di vista; intendo, è molto più semplice ed efficace se il POV è, ad esempio, prima o seconda persona al presente, piuttosto che terza persona al passato.
Esempio a random:
"Non credo che ha mentito" mi dice Luca, "a me mi sembra un tipo apposto".
"Non credo che abbia mentito", disse Luca a Stefano, "mi sembra un tipo a posto".
I dialoghi più belli che mi vengono in mente sono quelli del teatro, in cui appunto il dialogo è il motore della storia. A proposito del tema della promessa, non posso non citare Aspettando Godot:
wrote:
ESTRAGON Andiamocene.
VLADIMIR Non si può.
ESTRAGON Perché?
VLADIMIR Aspettiamo Godot.
ESTRAGON Già, è vero. (Pausa). Sei sicuro che sia qui?
VLADIMIR Cosa?
ESTRAGON Che lo dobbiamo aspettare.
VLADIMIR Ha detto davanti all'albero. (Guardano l'albero). Ne vedi altri?
ESTRAGON Che albero è?
VLADIMIR Un salice, direi.
ESTRAGON E le foglie dove sono?
VLADIMIR Dev'essere morto.
ESTRAGON Finito di piangere.
VLADIMIR A meno che non sia la stagione giusta.
ESTRAGON Ma non sarà poi mica un arboscello?
VLADIMIR Un arbusto.
ESTRAGON Un arboscello.
VLADIMIR Un... (S'interrompe) Cosa vorresti insinuare? Che ci siamo sbagliati di posto?
ESTRAGON Dovrebbe già essere qui.
VLADIMIR Non ha detto che verrà di sicuro.
ESTRAGON E se non viene?
VLADIMIR Torneremo domani.
ESTRAGON E magari dopodomani.
VLADIMIR Forse.
ESTRAGON E così di seguito.
VLADIMIR Insomma...
ESTRAGON Fino a quando non verrà.
VLADIMIR Sei spietato.
ESTRAGON Siamo già venuti ieri.
VLADIMIR Ah no! Non esagerare, adesso.
ESTRAGON Cosa abbiamo fatto ieri?
VLADIMIR Cosa abbiamo fatto ieri?
ESTRAGON Sì.
Per capire quanto un dialogo possa essere credibile, di solito lo rileggo ad alta voce, cercando di recitarlo come a teatro, e mi chiedo: "qualcuno parlerebbe mai così?"
Una delle potenzialità dei dialoghi che amo di più è quella di esprimere riflessioni di carattere etico o metafisico in forma dialettica. Si possono scrivere pagine di dibattito tra due personaggi con punti di vista diversi su un tema e, se scritto in maniera corretta, toccare questioni importanti senza annoiare.
Leggendo questa discussione, mi sono trovato d'accordo con
@Alba359
wrote:Alba359Io credo che scritta così faccia uscire il lettore dal punto di vista. Peché senti l'esigenza di spiegare che sta succedendo adesso? Se sei dentro la testa del protagonista seve solo quello che avverti, nent'altro.
più che altro perché mi fa strano che qualcuno pensi "come succede adesso".
wrote:dyskolosÈ giusto non uscire dal punto di vista, ma quel "come succede adesso" fa parte del punto di vista della protagonista. Cioè è sempre il personaggio che pensa quella cosa, e allora compare sul foglio di carta, o almeno credo, però la tua considerazione è notevole :)
Sulla carta mi sembra abbia senso, ma non conosco nessuno che penserebbe queste esatte parole nel proprio flusso di coscienza. Io penserei una cosa tipo "Mi si stanno bagnando i capelli!" o qualcosa del genere, seguito da "porc* pu***** vaff******" :asd: Ma forse è la stessa questione di prima, della versione ideale della realtà contro una frase credibile. Non lo so.
Sul "contorno" del dialogo, sono d'accordo sull'usarlo per mostrarci i gesti degli interlocutori:
wrote: «Cosa prendiamo?» domandò la ragazza. Si era tolto il cappello e l’aveva messo sul tavolo.
Di solito uso i caporali, ma trovo efficace, quando motivato, riportare le battute senza virgolette e segni di interpunzione, come Cormac McCarthy. Questo ad esempio è l'incipit di un romanzo di un mio amico scrittore (Tutto è come sembra, Giovanni Benzi) che mi torna sempre in mente come una storia chiara ed efficace che utilizza questa forma di dialogo:
wrote: Cazzo Banti il quaderno.
Stavano tutti lungo il muretto, uno di fianco all'altro, e copiavano l'uno dall'altro, e il primo copiava dal mio quaderno. Un meccanismo perfetto.
Senti Banti oggi non ho da pagare.
Pagherai domani.
Avrebbe pagato, non c'erano dubbi che avrebbe pagato. Tutti prima o poi pagavano. La regola era chiara e nessuno poteva tirarsi fuori.
Banti, Pastorello è assente io come faccio col mio tema.
A che ora abbiamo italiano.
Alla quarta.
Non ti preoccupare ci penso io te lo scrivo adesso e poi tu lo copi all'intervallo.
Grazie Banti.
Non ti preoccupare non c'è problema non c'è da ringraziare basta che paghi.
Ho fatto qualcosa di simile con il romanzo breve per cui sto or ora cercando una buona opportunità. Penso che sia anche un buono spunto per chiedersi quando sia necessario il discorso diretto e quando no. È un diario e riporta i pensieri di getto della protagonista, perciò non ci sono discorsi diretti, tranne casi particolarissimi in cui lei li ricorda perché di grande importanza. Sono d'accordo con
@Silverwillow su questo.
Questo è il dialogo più lungo della narrazione e non a caso è il punto centrale della storia, il momento che la narratrice, Silvia, ricorda nei minimi dettagli:
wrote: Eravamo quasi arrivati. La carrozza era mezza vuota, e abbiamo deciso di ingannare il tempo con quello stupido gioco. Ho fatto sdraiare Giò sul sedile accanto a me, le gambe a penzoloni nel corridoio, la testa poggiata sul mio grembo. Ha chiuso gli occhi, e ho iniziato a massaggiargli le tempie.
Cosa vedi? Gli ho chiesto, dopo un po’.
Delle porte, ha risposto.
E quale ti attira di più?
Quella gialla. È un bel giallo canarino. Sì, ha usato questa espressione, “giallo canarino”.
Bene, la apri, cosa vedi? Gli ho chiesto.
Una stanza cubica. Non c’è nessuno.
E cosa c’è in questa stanza?
Scatole. Una scrivania. Sulla scrivania penne, una tazza, dei fogli. Una sedia girevole. Un orologio, appeso sopra una porta.
Cosa c’è scritto sui fogli?
Niente. Sono fogli bianchi, da stampante. Ma non c’è una stampante.
Come ti senti?
Non lo so. Ma voglio andare avanti.
Oltre la porta sotto l’orologio cosa c’è?
È un’uscita, fuori sta nevicando. Non vedo molto, nella bufera. (Neve, come quando ho sognato mio padre)
Ricordo che allora è rabbrividito. Era lì, la testa sulle mie gambe, e ha avuto un brivido di freddo.
Da dove sei uscito, gli ho chiesto.
Non lo so. Non c’è nessun edificio, deve essere scomparso. C’è una distesa innevata fino a perdita d’occhio. Ma penso di essere su una strada. Sì, dev’essere una strada. Spostando un po’ di neve, qui c’è asfalto. E ci sono quei tubi gialli e neri che segnano i confini della strada quando nevica. Laggiù c’è anche un cartello.
Che cartello?
Non lo so. Non so che segno sia, non ho mai visto nulla del genere. Non mi fa sentire molto bene.
Girati, percorri la strada dall’altra parte.
Anche dall’altra parte c’è un cartello.
Allora allontanati dalla strada.
No, Silvia. C’è solo la strada.
Apri gli occhi, Giò.
Quello...
Cosa?
Quello che cazzo è? Ha urlato.
Giorgio, apri gli occhi adesso. Gli ho sfilato il ciondolo, ma non è servito a niente.
Le mie gambe stanno sprofondando nella neve. Non riesco a muovermi. Mi ha visto. Mi ha visto, Silvia! Sta venendo verso di me!
APRI GLI OCCHI
Infine
wrote:Alberto TosciriNon sempre un dialogo è totalmente funzionale alla storia in cui è immesso. In genere chi dialoga parla del momento presente, si rapporta a ciò che lo circonda, ma può anche divagare, parlare di tutt’altro.
su questo, invece, non sono d'accordo, ma è una questione mia, infatti non sopporto le divagazioni e gli excursus. Penso che una narrazione debba riportare solo quello che è funzionale alla storia, e ciò vale sia per le descrizioni, sia per i dialoghi. Tutto il resto è "distrazione" e, per quanto interessante, se non porta avanti la trama allora è, brutalmente, inutile, e anzi spesso dannoso. Anzi, per i dialoghi questo vale a maggior ragione, perché secondo me il discorso diretto va riservato per i passaggi più importanti. Perché per il narratore della storia è interessante riportare questo scambio di battute o questa descrizione? Qualsiasi sia il POV, secondo me bisogna sempre rispondere a questa domanda.
Quando si parla di dialoghi, la cosa che personalmente trovo più difficile è dare una voce propria a ogni personaggio, un modo di parlare diverso dagli altri. Cerco di imparare ascoltando la gente intorno a me parlare, ma vi chiedo se qualcuno ha un qualche metodo o un qualche segreto a riguardo.