bwv582 wrote: ma voglio segnalare questo articoloVai a capire. A volte l'enfasi dei cronisti di dare la notizia per primi o di scoprire il fatto più d'effetto induce all'errore. Ma credo che nel bombardamento di informazioni che riceviamo sulla guerra ci siano tante cose inevitabilmente (o forse no) imprecise.
@ivalibri bello il frammento di Primo Levi.
Però su questa cosa dei campi di sterminio e delle varie ideologie politiche va detta qualcosa.
Gulag o Lager sono comunque luoghi di tortura e di morte e a riguardo c'è poco da cavillare. In Italia ci preoccupiamo dei carceri troppo pieni, inoltre è stato definito un luogo di tortura Guantanamo (giustamente). Figuriamoci se non lo sono i Gulag o i Lager: in entrambi i casi siamo oltre ogni limite di rispetto della dignità umana.
Quando si parla di comunismo e di nazifascismo occorre fare una premessa di metodo. Se parliamo di dottrine politiche entriamo nel campo ideologico.
Sul fronte delle dottrine non si troveranno nei testi di Marx, Engels o Lenin teorie che parlano di sterminio, violenza verso i popoli o cose di questo tipo, tanto meno una teoria dei Gulag. Mentre documenti come il manifesto della razza in Italia o il Mein Kampf teorizzato cose come l'odio razziale e l'antisemitismo.
Altra cosa è l'applicazione presunta o tale di queste dottrine e l'uso ideologico che se ne fa. Dal nostro osservatorio di occidentali nel ventunesimo secolo è difficile salvare qualcuna delle esperienze totalitarie dell'ultimo secolo. Credo che nessuno o quasi preferirebbe vivere in qualcuna di quelle.
Eppure, pur dando per acquisito quanto detto sopra c'è una questione che rende il discorso più complesso.
Le formazioni economico-sociali e la veste politico-ideologica che si danno non coincidono e non sono la stessa cosa. Per essere più chiari: il modo in cui le persone si alzano la mattina e fanno ciò che gli serve per perseguire le loro esigenze non coincide con la forma con cui si raccontano questo processo. Il primo aspetto è strutturale, il secondo sovrastrutturale. Potremmo sbizzarrirci osservando casi bizzarri in cui i due aspetti si combinano. Molte democrazie sono formalmente delle monarchie, la più famosa è il Regno Unito. Abbiamo il caso di un paese dove a capo c'è una famiglia che si passa il comando per via ereditaria chiamando questo "comunismo", ed è la Corea del Nord. Non molto differente è il caso cubano. Inoltre abbiamo l'esempio di due paesi in cui un gruppo di potere detiene il controllo assoluto sullo stato. Questo vale per l'Urss e per la Cina. Secondo i canoni classici questo modello politico si chiamerebbe oligarchia. A volte le parole possono essere illuminanti: non è un caso che una volta tolto il drappo rosso alla Russia chiamiamo oggi quei signori oligarchi. Sulla natura sociale di questi paesi esistono già dagli anni quaranta testi che ne identificano la forma economica in capitalismo di stato. Potremmo giocare a lungo su questi paradossi ma tornando a citare il laboratorio d'analisi di Limes, essendo il riferimento geopolitico più "mainstream", le forme ideologiche non incidono in nessun modo nelle relazioni tra stati. Aggiungo: perché si rivolgono ai loro popoli. Nel diciannovesimo secolo un capo militare che prendeva il potere si preoccupava di ottenere una legittimazione di tipo nobiliare. L'esempio più eclatante è Napoleone.
Nel ventesimo secolo inizia a essere ridicolo assegnarsi un titolo nobiliare, così sì prende il potere in nome del popolo e spesso ci si definisce socialisti. Addirittura la Libia sotto Gheddafi si definiva "repubblica socialista islamica". Tre parole difficili da tenere assieme.
Sintetizzando, il cappello ideologico che si mettono in testa gli stati non esprime la loro società nella sostanza. L'economia oggi è capitalista perché questo la muove. Abbiamo capitalismi liberali e democratici. Capitalismi di stato più o meno produttivi e più o meno totalitari. Quello cinese tiene testa per ora ai modelli democratici, anche se la forma politica più funzionale alle economie industrializzate oggi rimane quella democratica.
Ma il mercato è unico e le economie parti di un unico flusso che non cambia se uno stato si dà un nome o un altro.
Fermo restando che delle ideologie che hanno nel loro impianto teorico concetti di discriminazione raziale e religiosa vanno condannate.
Tutte le forme totalitarie messe in pratica nel novecento da stati sufficientemente significativi sono l'espressione di economie deboli o frustrate e se non fossero state assunte da quei paesi per veicolare il consenso e la stabilità di governo in momenti di difficoltà neanche ne tratteremmo sui libri di storia.
Questo per dire che le dinamiche storiche le fanno gli stati, le forme politiche ne danno solo una veste. Il nazismo è la forma politica con cui la Germania si è ribellata al giogo di Versailles. Senza questa congettura storica lo ricorderemmo solo come una grottesca corrente politica marginale del primo dopoguerra tedesco. Così il fascismo che sopperisce alla debolezza dello stato liberale italiano incapace di domare le forti pressioni sociali del dopoguerra in Italia.
O lo stalinismo: il prodotto di una classe politica che si trova a gestire lo sviluppo industriale di uno sterminato paese arretrato e senza retaggio politico moderno. Queste ideologie hanno solo dato forma nel modo più drammatico alle ambizioni di potenza dei rispettivi paesi. La violenza è già strutturale nell'economia. E lo vediamo in questi giorni.