Silverwillow wrote: Sun Mar 27, 2022 12:34 amDisuguaglianze che con ogni evidenza non si possono eliminare mai del tutto, perché su di esse si regge un intero sistema sociale. Anziché continuare a lottare per ottenere un miglioramento, magari piccolo ma costante, si è lasciato perdere. Così, nonostante tutta la nostra civiltà, abbiamo ancora lavoratori sfruttati, sottopagati e sempre più precari.
Ma ciò per me non è dovuto alla globalizzazione.
Silverwillow wrote: Sun Mar 27, 2022 12:34 amPoi io di economia mi intendo quanto di cucina, quindi non entro nel merito, ma ci sono sempre persone anche dietro gli affari, e posso solo augurarmi che in questa crisi ci sia qualcuno che sa bene quel che sta facendo.
Permettimi di dissentire, e di farlo attraverso le parole dell'economista di chiara fama sopra citato. Mille grazie per l'attenzione.
"Oggi (...) i cinque pilastri che reggono l'economia mondiale sono: la finanza, gli armamenti, la droga, il commercio di organi, la prostituzione. Gli aiuti e le donazioni fanno da contorno a questa organizzazione criminale dell'economia mondiale.
L'economia registrata, quella capitalista - perché, per fortuna i due terzi dell'economia mondiale vanno per conto proprio - è del tutto simile a quella dei mercanti del '400, che si reggeva sulla schiavitù, sul furto, sulla sopraffazione.
Mi sembra particolarmente importante una ricerca che chiarisca i motivi culturali che, dopo il crollo del muro di Berlino, hanno condotto non a colpevolizzare l'economia criminale, ma a criminalizzare i grandi esperimenti sociali del XIX secolo: i sistemi di welfare, i sistemi socialisti e le esperienze dei paesi del Sud del mondo usciti dal colonialismo. In un decennio il neoliberismo ha azzerato tutti i seri tentativi nati in Occidente di coniugare etica ed economia" (p. 159-60).
"Proprio le spinte disgregatrici della globalizzazione rendono urgente ridefinire il concetto di comunità.
Il primo elemento costitutivo della comunità è la popolazione. Non è concepibile una comunità senza persone, eppure la globalizzazione immagina, a beneficio di pochi utenti, sistemi societari completamente automatizzati, nei quali la popolazione non serve o, meglio, non ha ruolo. (...) La popolazione, origine e fine di ogni comunità e società, per la globalizzazione diviene una semplice 'risorsa' . Ne fa uso, per sfruttarla economicamente. La popolazione non è un vincolo ma una variabile: si deve adattare ai sistemi produttivi con le emigrazioni, la flessibilità e, in qualche caso, con l'estinzione (da "La popolazione" a "estinzione": pp. 21-2).
Il secondo elemento costitutivo della comunità è il territorio. Le comunità senza territorio sono nuclei d'instabilità, come è dimostrato dall'insanabile ostilità fra palestinesi ed ebrei. (...) La caratteristica fondamentale della globalizzazione, invece, è la deterritorializzazione: il territorio non conta perché si può produrre ovunque.
Le compagnie transnazionali, del resto, hanno ancor meno bisogno di territorio perché nemmeno producono: giocano in Borsa e, dopo aver sfasciato un paese, si spostano in un altro. Il mancato radicamento in un 'suo' territorio elimina per l'impresa transnazionale qualsiasi ragione di tener conto del territorio nel quale opera (e di tener conto della gente che vi risiede) al di là del dell'uso che ne può fare per il periodo ristretto che le interessa: il problema ecologico nasce da questa costatazione. Per questo i 'selvaggi' dell'Amazzonia rispettano la propria foresta mentre gli uomini 'civili' delle compagnie occidentali no (da "Il mancato a "no": p. 21).
Il territorio ha bisogno di essere utilizzato e mantenuto applicando, correttamente e con affetto, il binomio coltura-cultura. Non si possono trasferire i sistemi di coltura con una semplice legge della Cee, perché le colture riflettono secoli di civiltà e riguardano gli aspetti più vari della vita, dell'urbanistica ai sistemi socio-produttivi, alle forme di organizzazione delle comunità.
Altro aspetto fondamentale della comunità sono le istituzioni: queste sono basate su forme di rappresentanza dal basso di persone che parlano la stessa lingua ed hanno le stesse motivazioni e, perciò, anche il sistema istituzionale deve essere saldamente ancorato al territorio.
La globalizzazione distrugge il sistema istituzionale esistente e lo fa evolvere verso forme tecnocratiche di rappresentanza che si allontanano sempre di più dalle popolazioni.
L'ultimo punto nodale della comunità sono i sistemi produttivi. Un paese che viva solo di rendita non costituisce una comunità. Eventualmente deve essere connotato come una comunità perversa. Produrre richiede usi e adattamenti intelligenti della natura e della popolazione.
Le fortissime pressioni esercitate sulla gente dal capitalismo e dalla modernizzazione della globalizzazione rendono urgentissima la ricostruzione culturale del senso della comunità e la riaffermazione del diritto di ogni gruppo umano di autodefinirsi, di sviluppare le proprie forme istituzionali e giuridiche, di stabilire rapporti interni di solidarietà e comunicazione con gli altri" (pp. 161-4).