Traccia di mezzogiorno: Le scarpe
[MI165] Il sassolino e le sue scarpe
Il posto l’avevano chiamato “Sasso” e i suoi abitanti sassolini.
Non era la prima volta che i suoi conterranei lo visitavano, e con sempre migliori mezzi di trasporto. Per Terrino era la prima volta, e si trattava di un viaggio premio scolastico.
Aveva sentito parlare di Sasso, e ne aveva visto a casa sua, sul luminol-riproduttore, in diretta, i panorami e gli usi e costumi degli abitanti. Soprattutto, aveva visto agire i sassolini, muoversi, e relazionarsi tra di loro, diversi di colore e di ambiente.
Ne aveva osservati di tutti i tipi: giovani, vecchi, uomini e donne, con lingue e inflessioni diverse, per dire le stesse cose, e pianti e risa, per una gamma di emozioni, così chiamate in millanta gradazioni.
Strano a dirsi, al suo paese c’era una lingua sì, che permetteva di capirne qualsiasi altra, ma quelle “emozioni” erano solo una parola imparata e mai compresa, per Terrino e i suoi. Nella sua famiglia, nella sua terra, non esistevano. Loro vivevano ”senza”. Così gli aveva detto sua madre e il padre aveva rincarato: “La nostra razza è superiore: non per niente noi andiamo da loro per diporto e esplorazione, mentre loro non sanno neppure come scavalcare il loro sistema solare.”
Gli abitanti del Sasso potevano essere arretrati, retrogradi e ignoranti, ma il fatto delle emozioni lo intrigava, e lui aveva ben chiaro il suo obiettivo: un coetaneo, maschio come lui, per cominciare, così sarebbe stato più facile fare un parallelo di vita, di esperienze. E farsi spiegare.
Eccolo arrivato sul posto, che è così come glielo avevano prefigurato. Di strano, sente un formicolio dentro di sé che gli giunge nuovo.
Se deve andare a cercare un ricordo di esperienze simili, trova solo lo spazio piramidale col vertice in basso in cui si infila a scuola con la protesi mentale durante le interrogazioni, quando annaspa a salire cercando le risposte. A differenza di quello, adesso lui sa che non troverà le risposte in lui, in cose studiate o vissute. Dovrà chiederle al sassolino sconosciuto: il suo idioma lo conosce già, di massima.
Eccolo, il sassolino-persona: nelle sue propaggini terminali c’è una leggera diversità con quelle degli altri che glielo fa scegliere tra mille.
Sa come attirarlo nella sua sfera di influenza. Gli appare accanto nelle sembianze di un sosia e lo calamita a sé.
“Wow” è la prima parola intraducibile che quello pronuncia.
Terrino crede sia il suo nome:
“Ciao, Wow, io sono Terrino. Piacere. Ti ho scelto per farmi il tuo doppio, ma dentro tu sei un altro da me e dovremmo scambiarci la figura che siamo.”
“Non so se sei imbastito positivo o negativo…” risponde l’altro.
“Capisco il tuo sconcerto ma sappi che nessuno ci vede adesso che sei con me”.
“Non mi piove in testa. Ho tanto di ombrello, io." (E lo agita.) "Se ti sei messo nelle mie scarpe, non ci hai camminato… Ah ah... hai una scarpa blu e una marrone! Acc…” s’interrompe il sassolino, arrossendo di colpo.
Terrino non si capacita di come il coetaneo abbia cambiato colore. Sa che ci sono sassolini bianchi, neri, gialli, ma che da bianchi diventino rossi non l’aveva mai sentito dire.
“Penso che non andrò a scuola oggi. Capisco perché prima mi babbiavano già da lontano…”
“Ah! Non lo fai perché sei con me adesso?”
“Scialla, Terrino. Tranquillo. Mi sembri uno sgammato, positivo. Non strafare.”
“Ricominciamo, vuoi? Dimmi perché sei diventato rosso.”
“Per la fanga, le scarpe diverse. Dormo con mio fratello. Lui va alle elementari, e io alle medie, per cui mi sveglio prima di lui e non devo fare rumore a prepararmi e devo vedere solo col lumino. Ho due paia di scarpe invernali sotto il letto. Indovina di che colore sono? Stamane ho preso la destra e la sinistra a caso e per caso non sono uguali… Capito mi hai? Tu non diventi rosso quando sei in imbarazzo? Per la vergogna?”
“Noi della nostra Terra non sbagliamo mai, se non da giovani, quando andiamo a scuola appunto per imparare. Una volta cresciuti, siamo tutti bravi uguali, non sbagliamo niente, continuiamo a crescere in bravura, progettando, creando cose nuove e visitando altri mondi come il vostro “Sasso”. Ma emozioni come voi che piangete, ridete o arrossite no, noi non le abbiamo...” sospira l'alieno.
“Dici Terra al tuo pianeta mentre io chiamo Terra il mio. E se i terrini come te non hanno emozioni, che vita è mai la vostra? Tutti uguali? Ma che divertimento c’è? Ma devo essere flippato io a credere di essere sveglio… Non ci fossero le mie scarpe a provarlo…”
“Voglio imparare le tue emozioni. Me le insegni?”
“Non ne sono capace. Posso solo provare a spiegarti perché non le conoscete. Forse.”
L'altro fa il tentativo di piegare le labbra in un sorriso simile a quello che vede davanti a lui: “Dimmelo, Wow.”
“Uso le parole di mio padre, che una volta mi ha detto:
C’è in ciascuno di noi una cosa che si chiama coscienza, ed è la cosa più personale che esista.
Ci auto-giudichiamo con lei, in base al rispetto dei valori importanti nella vita che ci hanno trasmesso.
Le emozioni sono il linguaggio della coscienza. Sono comuni a tutti, ma ciascuno ne usa nella misura che crede e, soprattutto, le mostra o non le mostra agli altri.”
“Ma perché dalle mie parti non ci sono, secondo te?”
“Nella tua Terra, devono avere omologato la coscienza. Se è appiattita per tutti, non c’è emozione che possa esaltarsi o sprofondare. Scialla, non fare quella faccia… posso cannare, sbagliarmi di brutto. E poi, più importante di tutto, comunque tu ce l’hai la coscienza, e la puoi risvegliare da solo, lei e le tue emozioni insieme.”
Terrino si copre la faccia con le mani e si lascia cadere per terra. Wow si mette al suo livello e con premura gli separa le mani, gli accarezza la guancia. Mentre il sassolino terrestre gli sorride con gli occhi, una lacrima sconosciuta riga il volto dell’alieno.
[MI165] Il sassolino e le sue scarpe
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