Chiedo scusa per la formattazione del commento, proprio non sono riuscito a porre rimedio. Comunque ho segnalato la cosa nel topic ufficiale, magari riesce lo staff ad aggiustare.
Traccia: Blackout
Anno dantesco
A quanto racconta la radio, dietro al fattaccio c’è la mano umana. Difficile dirlo, perché cambio stazione e la tesi propinata è quella opposta: inconveniente tecnico.
Quello che so è che sono fermo nel traffico e ancora non imbocco la galleria di Piedigrotta: mi attende un buco nero, mai così nero come in questo periodo di super-consumo di combustibili fossili. Dentro, una selva oscura di macchine e fanali posteriori rossi che mi deridono luciferini; mancano solo il leone, la lupa, la pantera e magari due liocorni.
È iniziata due settimane fa: un guasto alla centrale nucleare di Fessenheim ha mandato in tilt la rete elettrica di tutta Europa. Non si capisce bene, o almeno non riesco a capire, se il mondo si è spento per protocollo di sicurezza o proprio per impossibilità di mandare avanti la produzione. Se i francesi la stanno raccontando tutta o meno. Se i nostri figli nasceranno a due teste come quelli di Cernobyl o se l’umanità nel frattempo è davvero andata avanti. Non lo so davvero.
Sprofondo nella grotta, sia che ci trovi l’inferno sia che nasca il bambinello, che altrimenti Monte Sant’Angelo non lo posso raggiungere. Ma ho la tachicardia.
La mia mail, da quando sono ragazzo, contiene ancora il suffisso @virgilio.it. Mi attacco a questa puttanata per sopportare la fitta al ventre: qui sotto non prende nemmeno la radio. Che beffa! Pensare che l’hanno riattivata da soli due giorni, con uno di quei guizzi di intelletto che la scienza sa avere solo nei momenti di crisi estrema.
Sopravvivere, sopravvivere, sopravvivere. Vedere i ragazzi, insegnare loro i principi della catalisi, pensarmi vestito di rosso come un alchimista. Pregare per Giulia e Fabrizio. Sopravvivere. Penso alla stazione di Anish Kapoor e mi sento un po’ meglio.
La galleria è terminata. Da qui sarà tutta in discesa. Poi finiscono le lezioni, il pomeriggio. La sera va a finire che litigo con Antonietta perché Giulia piange.
Trasformerò qualcosa in oro? I miei frutti saranno commestibili? Ho letto da qualche parte - non mi ricordo se su di una pubblicazione scientifica o su internet, non sono sicuro più di niente - che si sta riuscendo a produrre carne commestibile in laboratorio. È giocare a fare dio o è salvare il mondo?
Scienza o cuore?
Poi è di nuovo un nuovo giorno. La luce solare inizia a filtrare dalle veneziane e si colora di azzurrino. Mi alzo di scatto e di buon umore. Vado al piano cottura per farmi il caffè, premo l’interruttore della lucetta che lo… E ripiombo nell’incubo.
Non posso chiedere a Google qual è il tempo di percorrenza a piedi da casa mia all’università. Faccio un rapido calcolo a mente. Poi osservo l’inferno del traffico e ho l’impulso di mettermi in cammino di buona lena. Come gli uomini della pietra: chilometri e chilometri al giorno per procacciarsi da mangiare e per compiere la propria missione. Solo che non ho la clava, né attitudine alcuna alla lotta, né con gli uomini,
né con le fiere, né con gli uomini-bestia, e da qualche giorno, su via Marina, ogni tanto, si spara. Scugnizzi in motorino contro uomini neri.
Entro in macchina.
Antonietta è a casa con Giulia e Fabrizio. A lavoro lei non vuole e non può andare. Fa scuola ai bambini. Antonietta è il mio carburante.
E poi i ragazzi, tutti presenti, che aspettano dalle mie labbra la parola che li salvi.
La parola che li salvi…
La parola…
Padre…
Padre nostro…
Polifosfato di sodio…
Ossido di zinco…
Ossigeno.
Ossigeno.
Ossigeno.
Catalisi.
Catarsi.
I bambini, alla sera, dormono. Fabrizio fa finta. Li bacio entrambi sulla fronte. Poi il calore di Antonietta.
Poi è di nuovo l’alba di un nuovo giorno, e stavolta non mi sveglio. Perché non sono riuscito a prendere sonno, quindi mi alzo e basta.
Solita inutile lucetta del piano cottura, solito caffè al buio.
Tuttavia, insolita scena sul marciapiede, a trenta o forse quaranta metri dal mio portone.
Uomini che discutono: un’assemblea di quartiere. Tra il “cosa serve” qualcuno propone di inserire anche “l’andare insieme”.
Dunque andiamo insieme, sotto al sole e a un cielo finalmente terso. Saremo in sei o sette, ma ci basta a sentirci tanti. Marco - così si è presentato - è un amministrativo, e deve arrivare a Santa Lucia. Giovanni, come me, va verso Fuorigrotta e oltre. Io ho mille passi in petto. Li sento battere.
Arrivo con un quarto d’ora di ritardo. Accademico. Ma ne è valsa la pena, mi ha risparmiato la selva oscura.
Non ho mai percepito la Merkel smarrita come in questi giorni. Balbetta. Chi non capisce il tedesco non ne avrà percezione, la voce della traduttrice è sicura. Ma io la ascolto, in sottofondo, farfugliare Ich… Ich…, Ich…, e improvvisare, sperando che i Francesi…
I Francesi… E poi, ancora una volta, i Russi i Russi gli Americani.
La prossima guerra mondiale si combatterà con la clava.
Ancora luce dalle veneziane. Ancora azzurro. Porto Antonietta e i bambini a prendere un po’ di sole, al sicuro dell’assemblea di quartiere. Mille occhi impauriti, ma anche qualche sorriso e urla di bambini.
Nonostante queste due settimane di blackout, mi sembra di non aver mai vissuto prima un momento di maggior luce. Nonostante i morti in ospedale, traditi dai guasti ai gruppi elettrogeni d’emergenza, mi sembra sia questa la vera vita.
Non può che essere una sensazione illusoria.
Eppure, solo, sul terrazzo, alzo lo sguardo al cielo e lo vedo: il sole!, con la sua luce chiara e accecante. Dov’era, prima? Chiudo gli occhi e li scosto un po’ più in su. Tra le macchie verdi - fantasmi? - forse è un attimo, e forse è anche questa un’illusione - mi sembra di vedere anche l’amore che lo move insieme alle altre stelle.
A quanto racconta la radio, dietro al fattaccio c’è la mano umana. Difficile dirlo, perché cambio stazione e la tesi propinata è quella opposta: inconveniente tecnico.
Quello che so è che sono fermo nel traffico e ancora non imbocco la galleria di Piedigrotta: mi attende un buco nero, mai così nero come in questo periodo di super-consumo di combustibili fossili. Dentro, una selva oscura di macchine e fanali posteriori rossi che mi deridono luciferini; mancano solo il leone, la lupa, la pantera e magari due liocorni.
È iniziata due settimane fa: un guasto alla centrale nucleare di Fessenheim ha mandato in tilt la rete elettrica di tutta Europa. Non si capisce bene, o almeno non riesco a capire, se il mondo si è spento per protocollo di sicurezza o proprio per impossibilità di mandare avanti la produzione. Se i francesi la stanno raccontando tutta o meno. Se i nostri figli nasceranno a due teste come quelli di Cernobyl o se l’umanità nel frattempo è davvero andata avanti. Non lo so davvero.
Sprofondo nella grotta, sia che ci trovi l’inferno sia che nasca il bambinello, che altrimenti Monte Sant’Angelo non lo posso raggiungere. Ma ho la tachicardia.
La mia mail, da quando sono ragazzo, contiene ancora il suffisso @virgilio.it. Mi attacco a questa puttanata per sopportare la fitta al ventre: qui sotto non prende nemmeno la radio. Che beffa! Pensare che l’hanno riattivata da soli due giorni, con uno di quei guizzi di intelletto che la scienza sa avere solo nei momenti di crisi estrema.
Sopravvivere, sopravvivere, sopravvivere. Vedere i ragazzi, insegnare loro i principi della catalisi, pensarmi vestito di rosso come un alchimista. Pregare per Giulia e Fabrizio. Sopravvivere. Penso alla stazione di Anish Kapoor e mi sento un po’ meglio.
La galleria è terminata. Da qui sarà tutta in discesa. Poi finiscono le lezioni, il pomeriggio. La sera va a finire che litigo con Antonietta perché Giulia piange.
Trasformerò qualcosa in oro? I miei frutti saranno commestibili? Ho letto da qualche parte - non mi ricordo se su di una pubblicazione scientifica o su internet, non sono sicuro più di niente - che si sta riuscendo a produrre carne commestibile in laboratorio. È giocare a fare dio o è salvare il mondo?
Scienza o cuore?
Poi è di nuovo un nuovo giorno. La luce solare inizia a filtrare dalle veneziane e si colora di azzurrino. Mi alzo di scatto e di buon umore. Vado al piano cottura per farmi il caffè, premo l’interruttore della lucetta che lo… E ripiombo nell’incubo.
Non posso chiedere a Google qual è il tempo di percorrenza a piedi da casa mia all’università. Faccio un rapido calcolo a mente. Poi osservo l’inferno del traffico e ho l’impulso di mettermi in cammino di buona lena. Come gli uomini della pietra: chilometri e chilometri al giorno per procacciarsi da mangiare e per compiere la propria missione. Solo che non ho la clava, né attitudine alcuna alla lotta, né con gli uomini,
né con le fiere, né con gli uomini-bestia, e da qualche giorno, su via Marina, ogni tanto, si spara. Scugnizzi in motorino contro uomini neri.
Entro in macchina.
Antonietta è a casa con Giulia e Fabrizio. A lavoro lei non vuole e non può andare. Fa scuola ai bambini. Antonietta è il mio carburante.
E poi i ragazzi, tutti presenti, che aspettano dalle mie labbra la parola che li salvi.
La parola che li salvi…
La parola…
Padre…
Padre nostro…
Polifosfato di sodio…
Ossido di zinco…
Ossigeno.
Ossigeno.
Ossigeno.
Catalisi.
Catarsi.
I bambini, alla sera, dormono. Fabrizio fa finta. Li bacio entrambi sulla fronte. Poi il calore di Antonietta.
Poi è di nuovo l’alba di un nuovo giorno, e stavolta non mi sveglio. Perché non sono riuscito a prendere sonno, quindi mi alzo e basta.
Solita inutile lucetta del piano cottura, solito caffè al buio.
Tuttavia, insolita scena sul marciapiede, a trenta o forse quaranta metri dal mio portone.
Uomini che discutono: un’assemblea di quartiere. Tra il “cosa serve” qualcuno propone di inserire anche “l’andare insieme”.
Dunque andiamo insieme, sotto al sole e a un cielo finalmente terso. Saremo in sei o sette, ma ci basta a sentirci tanti. Marco - così si è presentato - è un amministrativo, e deve arrivare a Santa Lucia. Giovanni, come me, va verso Fuorigrotta e oltre. Io ho mille passi in petto. Li sento battere.
Arrivo con un quarto d’ora di ritardo. Accademico. Ma ne è valsa la pena, mi ha risparmiato la selva oscura.
Non ho mai percepito la Merkel smarrita come in questi giorni. Balbetta. Chi non capisce il tedesco non ne avrà percezione, la voce della traduttrice è sicura. Ma io la ascolto, in sottofondo, farfugliare Ich… Ich…, Ich…, e improvvisare, sperando che i Francesi…
I Francesi… E poi, ancora una volta, i Russi i Russi gli Americani.
La prossima guerra mondiale si combatterà con la clava.
Ancora luce dalle veneziane. Ancora azzurro. Porto Antonietta e i bambini a prendere un po’ di sole, al sicuro dell’assemblea di quartiere. Mille occhi impauriti, ma anche qualche sorriso e urla di bambini.
Nonostante queste due settimane di blackout, mi sembra di non aver mai vissuto prima un momento di maggior luce. Nonostante i morti in ospedale, traditi dai guasti ai gruppi elettrogeni d’emergenza, mi sembra sia questa la vera vita.
Non può che essere una sensazione illusoria.
Eppure, solo, sul terrazzo, alzo lo sguardo al cielo e lo vedo: il sole!, con la sua luce chiara e accecante. Dov’era, prima? Chiudo gli occhi e li scosto un po’ più in su. Tra le macchie verdi - fantasmi? - forse è un attimo, e forse è anche questa un’illusione - mi sembra di vedere anche l’amore che lo move insieme alle altre stelle.