Silverwillow wrote: Io che sono donna non mi sentirei esclusa né svilita nell'essere chiamata avvocato, e non credo proprio di dovermi giustificare con l'autrice dell'articolo per questo. Io mi ritengo di mentalità aperta, ma fatico a vedere a chi possa giovare questo cambiamento linguistico, e sono sicura di non essere la sola. Se io come donna non vedo minacce maschiliste ovunque, magari grazie alla mia esperienza personale e limitata (ma neanche tanto), il dubbio che si stia gettando fumo negli occhi perché si è incapaci di risolvere i problemi veri mi viene. Come dire: sì da donna magari sarai violentata o ammazzata, ma nell'articolo di cronaca nera ti chiameranno col titolo lavorativo al femminile, perciò rallegrati...
Non solo. Un tempo la discussione sulla lingua come strumento di discriminazione verteva (anche e soprattutto) su altro: per esempio, su espressioni tipo "per questo lavoro ci vogliono le palle" oppure "è un lavoro da veri uomini" (che oltre a essere sessista è pure omofoba) o "tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge". Ma anche, per esempio, sulla sistematica sostituzione di "padre" con "genitore", in espressioni come "terra dei nostri padri". Insomma, verteva nel rendersi conto dei concetti non inclusivi che ci portiamo in testa.
Invece ora sembra che quando hai detto "avvocata" hai fatto il tuo: e pace se usi la frase "quella è un'avvocata con le palle".
Sarebbe ora di "Maria è un avvocato con due ovaie così"?
ivalibri wrote: L'obiezione principale che a me viene in mente alle diffuse resistenze alla questione è: come mai nessuno ha nulla da obiettare di fronte al femminile di professioni come serva, cameriera, cassiera e commessa e invece suona male avvocata e ministra?
Perché in realtà, almeno in origine, non indicavano il femminile di una professione ma proprio un'altra professione. Il cameriere serve a tavola e/o si occupa di un signore, la cameriera pulisce le stanze e/o si occupa di una signora. La cassiera sta alla cassa, il cassiere è un contabile. Il commesso fa commissioni (consegna lettere o pacchi per esempio), la commessa serve al bancone. E così via: sono professioni tra loro correlate, che magari si assomigliano, ma che non sono uguali. Un po' come banchiere e bancario.
E poi perché le lingue sono complicate: perché mela, pera, arancia, banana sono femminili e il maschile indica l'albero, invece il fico è maschile? Perché la Senna è femminile, il Po è maschile ma pure Il Cairo è femminile? Perché il filo, la fila, i fili, le file e le fila?
ivalibri wrote: non è una questione nuova, se ne parla dagli anni '80, non dai tempi dei social.
Anna Lepschy &co. scrivono: «La seconda tendenza, che pare avere radici più antiche nel movimento femminista, e, a giudicare impressionisticamente, sembra oggi prevalere, preferisce ricorrere, per designare uomini o donne indifferentemente, al termine che abitualmente serve a indicare chi esercita una data funzione, anche se tale termine è di solito grammaticalmente maschile». Quando è stato scritto quest'articolo era il 2001, mentre le famose
Raccomandazioni di Alma Sabatini (quelle su cui si basa l'attuale tentativo di riforma) sono del 1987. Dal 1987 c'è stato un lungo lungo dibattito in ambito linguistico (ho trovato pochi linguisti favorevoli alla posizione di Sabatini), ma ha comunque prevalso la posizione delle Raccomandazioni che sono una presa di posizione politica, non linguistica: basta vedere il fatto che Sabatini era un politico (una politica?) e che il testo è il risultato di una commissione parlamentare, non di un congresso di linguistica.
E ha prevalso dopo un lungo periodo (diciamo dalla fine degli anni '80 all'inizio del XXI secolo) in cui l'orientamento femminista era diametralmente opposto. L'idea era che si dovesse arrivare a cose del tipo "Antonio è un'infermiera", "Anna è un avvocato", "Giovanni è una baby-sitter", "Maria è un generale". Quando io ho cominciato a occuparmi della questione, questa era considerata la via migliore, perché portava a un abbattimento della differenza di genere.
Tra l'altro non ha alcuna controindicazione grammaticale e renderebbe finalmente giustizia anche a quelle professioni che sono appannaggio femminile ma che diventano improvvisamente maschili appena un uomo fa capolino. Infermiere, per dire, è un termine che è stato ripescato più volte nella lingua. Fu espulso, quantomeno dagli atti pubblici, quando si decise negli anni venti/trenta che gli uomini non avrebbero potuto più fare gli infermieri (eh sì, la discriminazione è una strada a due sensi) e fu ripescato nel 1971, quando il divieto fu tolto, e le scuole passarono da essere "scuole per infermiere" a "scuole per infermieri" [
Olivia Fiorilli, La signorina dell'igiene. Genere e biopolitica nella costruzione dell'"infermiera moderna"].
Detto questo, a me sembra una pericolosa deriva quella di voler imporre un cambiamento linguistico di tale portata. Le lingue sono oggetti complicati, e manovrarle dall'alto è sempre un atto di hybris. Un conto è quello che ognuno di noi fa come singolo, ma cercare di imporre una riforma è creazione di una neolingua, per quanto a fin di bene, che non si può sapere dove porti, soprattutto se chi la propugna non è in grado di vedere che esistono condizioni di vita e ambientali molto diverse dalle sue.
Does Gender-Fair Language Pay Off? The Social Perception of Professions from a Cross-Linguistic Perspective
Per esempio, quello che io vedo sulla mia pelle è che questa soluzione non fa che accentuare le discriminazioni che vorrebbe rimuovere.
Per quella che è la mia esperienza di persona col sesso sbagliato nel posto sbagliato, il problema del femminile se lo sono sempre posto (da prima che diventasse politically correct intendo) quelli che non trovano possibile/corretto/adeguato/opportuno che io sia un ingegnere e ne mettono in discussione la validità. Loro hanno bisogno di sapere come si dice ingegnere donna, e dicono "quindi ti devo chiamare ingegnera?" col tono di chi ha scoperto che anche il cane di casa sa parlare. Stesso tono che usava chi voleva denigrare Raggi o Appennino chiamandole "la sindaca" o quelli che allo stesso modo chiamano Lamorgese "la ministra".
La questione linguistica in questi casi non è sul maschile/femminile del nome della professione o del titolo, ma sul riconoscimento dello stesso: nelle comunicazioni aziendali, gli uomini sono tutti ingegneri e le donne tutte signore (anche quando i primi non sono neanche laureati e le seconde lo sono proprio in ingegneria - e pure abilitate).
Ellen Spertus ha scritto: «The Sapir-Whorf hypothesis of linguistics states that the limits of human thought are determined by the nature and the structure of the language in which thought occurs. One corollary, on which this chapter is based, is that the English language's use of gender forces people to think in terms of male and female, with its gender-specific third-person singular pronouns and its different titles, in some cases, for males and females.
While it is not necessarily bad to be immediately aware of the sex of someone being discussed, the connotation of male and female terms differ so greatly that the distinction not only implies difference but inequality. Biases in language are important because they show both the biases people hold and how they are communicated.»
Ma vorrei aggiungere un ulteriore punto: una tecnica per capire se una cosa è discriminatoria o no, è cambiare la categoria di discriminato: di solito si suggerisce di sostituire le donne con i neri o gli ebrei. Non sarebbe fastidioso leggere "abbiamo intervistato l'ingegnere ebreo Giovanni" o "come riporta il sindaco nero Mario"? Eppure secondo questa teoria sarebbe da fare perché darebbe più visibilità a un mondo che è fatto anche di ingegneri ebrei e sindaci neri. E perché non andiamo anche sulle religioni, visto che certe sono decisamente invisibili? "Buongiorno, siamo in contatto con l'astrofisica dottoressa atea razionalista Margherita".
Infine, ho un'ultima considerazione: sembra che rientrerà la dicitura "genitore 1" e "genitore 2" al posto di padre e madre. Ma nel caso che almeno uno dei due genitori sia una donna (cosa mi dicono abbastanza frequente) non dovremmo parlare, secondo certe logiche, di genitrice? Quindi una cosa tipo "genitore/genitrice 1" e "genitore/genitrice 2"?

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