Ciao
@Adel J. Pellitteri , amica mia.
Questo racconto è indubbiamente imperdibile.
Una donna debole che ha perso il proprio universo e i suoi riferimenti che erano quelli d’essere moglie devota e madre di una figlia, per questo uomo al quale aveva votato la propria esistenza.
Muove tenerezza e compassione pensare a una donna dei nostri tempi, che viva il proprio rapporto matrimoniale con il disarmato e attaccamento alla persona amata che siamo ormai usi pensare sia rimasto un retaggio ottocentesco.
Ci appare incredibile che esista oggi, un genere di donna che possa concepire di vivere in funzione della compagnia dell’uomo della propria vita, quindi di entrare in una sorta di vedovanza o di morte civile nel momento in cui la sua figura venga a mancare, vieppiù perché un’altra se lo è portato via.
Ci appare incredibile, ma il tuo racconto ci rammenta in maniera assai verosimile, che oggi come ieri, nel campo degli affetti, dell’amore tradito e dell’abbandono, per molte donne le cose possono continuare ad avvenire come ce le racconti.
E’ possibile che la frattura di un rapporto consolidato, possa generare un crollo psicologico e fisico in chi viene abbandonato, un trauma tanto maggiore quanto quel rapporto appariva certo, rassicurante e immutabile nel tempo.
Eccellente anche la figura della figlia, all’apparenza più forte, battagliera e determinata della madre.
Una figlia (unica) che ha avuto evidentemente un rapporto di attaccamento al proprio padre, tanto profondo da vivere quel suo allontanarsi dalla propria famiglia come un vero tradimento personale.
Una figlia che non ha accettato quella separazione, soprattutto perché questa devastazione del “nido” famigliare ha lasciato macerie e ferite insanabili fra quelli che, quella separazione, l’hanno subita.
A questa figlia è rimasto il mesto prodotto di quel danno: una madre colpita da uno stato depressivo alienante, che l’ha costretta ad assumersi il ruolo di genitrice della propria madre ridotta a una larva umana.
Questa figlia che, nella disperazione della situazione in cui è costretta quotidianamente a vivere, decide di affrontare suo padre in un incontro con la donna che lo ha strappato alla loro famiglia e il piccolo nuovo fratello, figlio della nuova coppia.
Un incontro mosso dall’ingenua speranza di ricondurre alla sua prima casa
l’uomo che l’ha abbandonata.
Una speranza che si spegne nel confronto con la realtà, poiché il padre che ritrova non è certo quello eroico dell’idealizzazione infantile.
Quell’uomo è che non mostra più affetto o nostalgia per quanto si è lasciato alle spalle, ci lascia immaginare un reticente imbarazzo, forse anche una vergogna e un nascosto rimorso, sicuramente il disagio di incontrare sua figlia, sul cui volto legge il segno della propria colpa e della propria meschinità umana.
La donna di lui, la rivale, mostra i ruvidi segni della moderna amazzone: volitività, indifferenza, determinazione e spregiudicatezza.
Si comprende subito che nella nuova coppia è lei il soggetto dominante dei due, quella che ha scelto cosa prendersi e se l’è preso infischiandosene di ogni conseguenza pratica e dubbio morale.
Non la si può incolpare più che tanto, poiché come nei carnivori, la propria natura e l’istinto l’hanno portata a compiere ciò che geneticamente era scritto nel proprio DNA.
La colpa primaria resta di quest’uomo dall’animo di un mollusco, sicuramente attratto da questo genere di donna dotata di un carattere forte e direttivo, l’opposto della donna che aveva sposato e un tempo amata.
Davvero bello il finale, nel quale la madre, pur debole e afflitta, ritrova il suo ruolo protettivo e consolatorio verso la propria figlia, tornata da quell’incontro ferita e piena d’amarezza per aver compreso la pochezza del proprio padre.
Ottimo racconto amica mia, profondo e coinvolgente, non parlo dello stile e della scrittura, poiché la qualità è implicita.
Un abbraccio e un saluto.
