La sintesi

1
La ragnatela ondeggiava pigra nella luce del primo pomeriggio, l’odore del gesso mi stuzzicava pigro il naso e io tacevo. Tacevo giá da un po’.
La maestra Alice Marinetti mi guardava dubbiosa, i suoi occhi azzurri mi proiettavano addosso tre lustri di insegnamento alle elementari di Colfusco.
Mi torna in mente Carolina in primo banco che mi guardava piena di ammirazione mentre, in quinta elementare, sciorinavo le capitali d’Europa. La maestra annuiva soddisfatta per finire a segnare un bel dieci di geografia nel suo registro. Carolina era una bambina bellissima, un visino ovale incorniciato da riccioli castani. La sua mamma le metteva spesso dei nastri fra i capelli suscitando l’invidia mia e delle mie compagne. Ma quando si trattava di geografia ero imbattibile e non c’era riccio che teneva. Tornavo al mio banco impettita e fiera, sapendo che nessuno avrebbe fatto di meglio. Geografia era la mia materia preferita, dei fiumi sapevo la lunghezza, il percorso, delle montagne l’altezza sul livello del mare.
Il livello del mare mi affascinava moltissimo, mi chiedevo quando lo misuravano, come facessero a fermare le onde per renderlo liscio, altrimenti a seconda delle onde l’altezza delle montagne sarebbe cambiata.
La maestra Marinetti continua a fissarmi pazientemente con i suoi zigomi perfetti, e io ricambio frugando nella borsetta alla ricerca di qualcosa. Un fazzoletto? Una caramella? Ecco sì, forse la caramella avrebbe potuto aiutarmi a scollare la lingua dal palato, a risvegliarla da questa paralisi pelosa e secca. Mi infilo in bocca una liquerizia, mi rinfresca la bocca ma le labbra le sento ancora prive di vita. E dire che parlo tanto nella vita di tutti i giorni, parlo con i clienti, con i fornitori, durante le ore di formazione ai venditori, parlo con i dirigenti e anche al consiglio d’amministrazione. Non sono timida, eppure.
Accavallo la gamba destra sulla sinistra, cambio idea e metto la sinistra sulla destra. Mi contorco su questa sedia delle elementari per non scivolare giù e mi cade una spallina del reggiseno. Infilo una mano poco elegante nella camicetta e con l’indice aggancio la bretellina e la tiro su con noncuranza.
La maestra Marinetti vorrebbe disapprovarmi e invece dai suoi occhi esce comprensione. Inclina leggermente la testa per invitarmi a parlare, i suoi capelli si appoggiano delicati al collo. Ma il punto non è parlare, è anche solo pensarci.
Finché taccio, finché alle cose non impongo un nome, queste forse si dissolvono senza lasciare traccia. Provo almeno a iniziare a riflettere su quello che potrei dire. La prendo alla lontana. Sono qui perché il rendimento di Davide è calato, dal nove e passato all’otto e ha preso addirittura un sei in storia, che quella basta solo studiarla.
Cerco disperatamente di incanalare l’aria verso le corde vocali , ma queste si rifiutano di eseguire il loro compito. La saliva mi scende lenta in gola, inghiotto senza emettere nemmeno un suono.
Deve aver studiato psicologia la Marinetti, perché continua a fissarmi con il viso quasi privo di espressione se non quella leggera aspettativa, le labbra piene atteggiate a un vago sorriso sereno.
Mi rendo conto di aver messo troppo rossetto, sento le labbra appiccicate e agli angoli della bocca mi si è formata quella crosticina sgradevole e briciolosa.
La fisso decisa.
Sono io che ho chiesto questo colloquio e chissà cosa mi sono immaginata. Cerco di recuperare la mia sicurezza, cerco di ricordarmi tutte le parole che volevo dirle, i ragionamenti che avevo fatto, le metafore e i sillogismi con cui avevo indorato il mio discorso. In macchina lo avevo ripetuto mille volte prima di arrivare. Mi ricordo che ero molto soddisfatta di certi passaggi che brillavano di indignata ironia. Ora, qui, solo tabula rasa su cui scivola inerme il mio occhio interiore. Nemmeno il mio orecchio serba memoria dei roboanti discorsi.
Forse l’Alice inizia a sentirsi a disagio immersa in questo inquietante silenzio, forse vedo qualche piccola incrinatura nella sua sicurezza da maestrina. Magari sta iniziando a preoccuparsi, farà qualche congettura. Mentre si inclina avanti di poco, vedo il dubbio farsi strada, aggrotta un tantino la fronte liscia e le si alzano le sopracciglia ad ala di gabbiano. Carina anche così.
Sento la sicurezza che torna a fluire nelle mie vene, abbasso gli occhi sull’orologio, sono passati appena dieci minuti.
A me sembra una vita.
Ricambio lo sguardo con decisione. Adesso la guardo bene. Il viso acqua e sapone, gli abiti semplici e femminili, le labbra invitanti, le gambe lunghe, la vita stretta e soprattutto dieci anni meno di me: ho visto tutto quello che c’era da vedere.
Non voglio restare nemmeno un minuto di più, ho capito che non c’è niente da capire.
Mi accingo ad alzarmi, mi infilo la borsetta al braccio accompagnata dallo sguardo perplesso della maestra Marinetti, maestra Alice Marinetti, insegnante di italiano e storia di mio figlio, disponibilissima a incontrare i genitori anche fuori orario, tutti i genitori, anche i papà.
Adesso è preoccupata, destabilizzata, forse si merita una sintetica spiegazione del mio comportamento, una spiegazione che le dia la sicurezza di non aver frainteso il mio silenzio.
Con la mano sulla maniglia mi giro: “ Baldracca, lo so che ti scopi mio marito!”

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