Cara amica mia
@Ippolita
E’ bello e intenso questo tuo racconto, sarà una coincidenza, ma, mia ha riportato alle sensazioni del recente libro della Perrin che ho letto in queste ultime settimane: “Cambiare l’acqua ai fiori”.
Questo rapporto con la morte che ci tocca, quando siamo nell’ età adulta, per la scomparsa di un nostro genitore.
Quante volte quando era ancora in vita, non abbiamo potuto evitare di pensare a come sarebbe stato il momento del distacco da chi ci aveva generato.
A me, che li ho persi entrambi, a distanza di due anni per una malattia incurabile, per altro assai comune come ragione di morte nei nostri tempi, era accaduto, man mano che la loro età avanzava, senza che mai avessi supposto quella causa.
Eppure la vita dovrebbe averci insegnato che procede sempre secondo un suo disegno, non tiene conto delle nostre congetture, dei nostri progetti e dei nostri tempi.
So di aver pianto la loro morte molti anni prima del giorno in cui è avvenuta:
Per mia madre accadde quando avevo trent’ anni, si era al mare e nel cuore della notte mio padre mi svegliò dicendomi che aveva chiamato l’ambulanza, perché lei si stava dissanguando per una forte emorragia.
RRicordo il mio pianto accorato, nel vederla esanime e cianotica, poi le lacrime che mi impedivano di vedre la strada, mentre seguivo in auto, a tavoletta, la corsa dell’ambulanza verso l’ospedale.
Avevo in cuore la sensazione tragica che la stavamo perdendo.
Mio padre pensai di vederlo morire, quando ebbe un infarto: era solo nella casa che i miei avevano in affitto in liguria, quando comprese cosa gli stava accadendo, invece di chiamare il 118, si fece un biglietto alla stazione di La Spezia e viaggiò nella notte fino a Torino, dalla stazione andò al pronto soccorso del Mauriziano e si fece ricoverare.
Era un sardo roccino, ex minatore ed ex fabbro, disse che se doveva morire, voleva farlo a casa vicino alla famiglia.
Sapendo cosa era successo, nonchè l’aggravante dato alla cosa, per quel comportamento folle, credtti davvero che non ce l’avrebbe fatta.
Entrambi sono vissuti ancora oltre vent’anni da quegli episodi.
Dandomi la quasi convinzione che fossero eterni.
Come nel tuo racconto, quando la loro fine è avvenuta, il dolore aveva modi e forme diverse da quelle immaginate.
La notizia della morte di mio padre mi giunse al cell mentre mi trovavo far le bancarelle di un meracto, in un insolito giorno di sole pieno, come a novembre difficilmente se ne vedono.
Ricordo di aver pensato che tutta quella luce era insultante, offensiva.
Nulla dei momenti della loro morte e dei riti funebri che ne sono seguiti, si è svolto seguendo il mio copione mentale degli eventi.
Questo nel tuo bel racconto è un concetto che analizzi con una penetrazione psicologica estremamente centrata e puntuale.
Così come lo è il non sapere dire nel doverne fare un racconto a una terza persone quali siano i fatti che ci toccano e ci restano in quei momenti.
Al più siamo in grado di elencare cose secondarie e accessorie, di ciò che abbiamo visto e fatto.
Dentro noi, il dolore sovente trova strade più sotterranee delle lacrime immediate, il dolore si colora di ricordi piacevoli o amari, di consolazione per cose ricevute o rimpianto per cose rimandate e non fatte e dette,
Complimenti, inoltre per il titolo, che è un piccolo gioiello di poesia.
E’ sempre un piacere per gli occhi e la mente leggerti, complimenti.
Un abbraccio
