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by Alberto Tosciri
Ciao @Alba359
Grazie per la lettura e il commento. Mi dispiace di averti poi spiazzata alla fine, spero non in senso negativo. La poesia, chiamiamola così pure se io non posso definirmi un poeta, l'ho scritta di getto ma su idee che da parecchio meditavo. La favola Nera, per il bambino che ora è grande nel momento in cui la incontra, è la Vita e la Morte allo stesso tempo, la grande Artefice del tutto. È un bambino molto particolare, molto sensibile, molto solo. Potrebbe avere i genitori, ma la sua solitudine è una scelta tutta sua, il mondo gli va "stretto" in quanto si rende conto di non poter trovare quello che cerca, niente corrisponde alle sue aspettative. Questa cosa lo addolora, perché vorrebbe vivere frammisto all'umanità che lo circonda, di cui è consapevole, ma si rifiuta, creandosi dei mondi immaginari, degli immensi mondi di fantasia che momentaneamente lo appagano, lo placano, lo rendono consapevole di una possibile alternativa in un altra esistenza, una consapevolezza ancora confusa ma che lo rende felice. Questo sorprende quella che il bambino chiama favola Nera. Per lui le favole sono nere e parla con loro. La favola Nera sembra rimproverare il bambino di non essere mai uscito dai confini della sua mente. Il bambino confessa di aver navigato nel dolore della sua materiale umanità, di aver sofferto, di avervi forse cercato rimedio un giorno, cercando di essere come gli altri, ma non gli è stato permesso e quando era possibile vi ha rinunciato. La favola Nera lo consola dicendogli che ha creato dei mondi nonostante tutto, ma ha rinunciato a vivere nel mondo dove si trovava. Il bambino insiste nel dire che un uomo, un semplice uomo nel dolore cerca la vicinanza dei suoi simili, lui no. Cercava la vicinanza di una forza superiore. Questa secondo me è una ancestrale predestinazione, per quanto non osi addentrarmi troppo in questi meandri tortuosi della mente e dell'anima... La favola Nera afferma di sapere che non ha trovato questa forza, il bambino sperava che la forza fosse questa favola che gli parla nella mente. Ricorro spesso in quello che scrivo a questi dialoghi oltre il mondo materiale.
Il bambino capisce che la favola esiste, che lo toglierà al mondo, ma non ha paura. Chiede quale sia il nome della sua colpa e la favola gli dice che vivrà nei mondi mentali che ha creato nella sua disperata solitudine. Quando il bambino chiede il nome di questa condanna la favola gli fa capire che ha passato una vita di espiazione alla ricerca di qualcosa che ora ha trovato. Ha scontato le sue colpe, il suo peccato originale, privandosi di tutto nella vita materiale, non vivendo con i suoi simili, non godendo di nessuna felicità, di nessun amore. E questo non può passare inosservato. Ha salvato se stesso, ora salverà gli altri uomini, non pochi, ma gli uomini di altri mondi, i mondi che lui stesso ha creato con la mente, uomini che attendono anime come la sua in tutto l'universo infinito, uomini da sempre attesi che hanno superato prove indicibili, che si sono purificati nelle generazioni materiali e che sono in grado di assorbire tutti i mali degli uomini per purificarli: uomini che hanno superato la fase umana e che perciò saranno chiamati Messia nei nuovi mondi che dovranno salvare.
Non intendevo il Messia del mondo cristiano, ma un suo equivalente perfetto, uno degli infiniti Messia per gli infiniti mondi dell'universo.
Mi rendo conto di aver scritto un papiro palloso e meglio che non lo rilegga o lo cancello, in quanto capisco di non aver espresso chiaramente o con rimandi filosofici noti il pensiero che davvero ho in mente.
Posso dirti che nell'album dei miei ricordi ho diverse foto di quel bambino solitario vestito di nero che per un attimo si gira al fotografo che su disposizione dei genitori va a fargli qualche foto mentre gioca in cortile il giorno del suo compleanno... proprio oggi. Il viso del bambino sembra sorridere, ma il suo sguardo appare preoccupato nel timore che un estraneo stia per invadere il suo mondo...
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)