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by Simona M.
I partecipanti a Io Scrittore a conti fatti si prestano a una molteplicità di istanze e stimoli diffrenti. Scrivono un romanzo (mica uno scherzo), pubblicano l'incipit seguendo le loro regole, scrivono la sinossi ai loro romanzi seguendo le loro regole, leggono i testi degli altri partecipanti e li giudicano seguendo le loro regole, sono invitati a segnalare le altrui mancanze (delazione) in ossequio alle regole. E alla fine ne resterà solo uno. È un gigantesco programma educativo e di adeguamento a uno standard. Al tuo posto il tizio non l'avrei segnalato. Ma perché devi fare tu il poliziotto? Loro le regole, sia anche loro il servizio d'ordine.
La mia impressione è che comunque, a prescindere dal gioco a cui ciascuno si presta con voti e giudizi, Dio solo sa quanto in buonafede e quanto validi, una manina interna nella scelta dei finalisti ci sia.
E non dico che sia una cattiva cosa. Preferisco credere che vi sia qualcuno che sappia quel che fa e quel che vuole, piuttosto che una ciurmaglia acefala dedita unicamente a far sgambetti e sberleffi se va bene. Imparziali infatti non si può essere. Già alla seconda partecipazione i più avranno capito che conviene essere, se non altro, severissimi, nella speranza di tagliare più teste possibili.
Un gioco al massacro che per la casa editrice Spagnol è a costo praticamente zero.
Però, ecco, credo che il gioco al massacro non possa portare a un vincitore pubblicabile perché le variabili in negativo sono un numero elevatissimo. Ma è una cornice ideale, la gara all'ultima penna tra tremila gentiluomini e gentildonne che porta alla scelta del romazo migliore. È un'idea, una narrazione molto sentita ai nostri tempi, quella del self made man, del genio sbucato dal nulla e che basta strofinare la lampada. Una lotteria ogni anno con un vincitore. Perché non provare?