Genere fantastico
Tema: partenze
Empatia transgenerazionale
Partire. Non voglio partire, ma devo. Che scelta ho? È peggio perdere controllo su quello che faccio o su quello che voglio fare? E che importanza ha, alla fine? Qualsiasi risposta troverò in fondo al mio cuore, il futuro non può cambiare, e che io prenda o meno questo aereo è già successo, solo che ancora non lo so. Almeno c'è qualcuno che lo sa? Un essere onnisciente a noi invisibile? Vorrei fargli un paio di domande, ma le uniche persone con cui potrò interagire, tra poche ore, saranno giovani ricercatori con moltissime domande e pochissime risposte.
Forse avrei dovuto imparare a dire di no più spesso, chissà. A me non è mai importato granché di antropologia, faccio la web designer, come una piccola Aracne, ed ero là semplicemente in vacanza. Faceva un caldo infernale ed era il pomeriggio dell'ultimo giorno e io e i miei amici, senza sapere cosa fare, ci siamo infilati nei musei universitari. Fabio doveva aver letto qualcosa a riguardo su una guida turistica; ne valse la pena, non erano niente male. Fu lì che successe l'incidente che, come un domino invisibile, mi ha portato qui a prendere questo aereo.
Carta d'imbarco, carta d'identità, eccole qui, e prima che me ne accorgo sono nel corridoio che porta al velivolo. Posso ancora cambiare idea? Certo, posso sempre. La domanda è: sono ancora in tempo per far sì che questo cambio di sentimenti abbia un impatto significativo sulla realtà? Nessuno lo sa, tranne l’intelligenza invisibile e onnisciente. Che poi, che vuol dire significativo? E che vuol dire realtà? Nel momento in cui io mi sento in un certo modo, quella è già la mia realtà che muta forma, anche se da fuori non si nota. Troppo tardi per cambiare idea, l'istante in cui la decisione porta a conseguenza e chiude vie alle proprie spalle; vittima degli eventi, forse.
Non sapevo che un museo potesse esporre pubblicamente una tale collezione di mummie fino all'istante che me la sono trovata davanti. Mi concentrai su uno di loro. Erano passati più di duemila anni da quando era stato un essere umano, ma lo vedevo benissimo e soprattutto lo sentivo: era come me. Mi vedevo in quella mummia, ma non so dire se anche ella si vedesse in me. Era come... Ah, non so come spiegarlo. Strano, solo questo. Cos'è peggio, venire divorati dagli avvoltoi o avere il proprio corpo conservato ed esposto col passare di strani eoni? Venire dimenticati, o diventare un simbolo? Venire capiti, o venire usati?
Qualunque sia la spiegazione, io mi persi in quelle orbite vuote, come negli occhi pieni di vita di un amato. Non poteva sussurrare nulla da duemila anni, ma sapevo che aveva avuto segreti e pettegolezzi che aveva bisbigliato agli amici, che aveva confessato ai figli una sera che aveva esagerato un po’ troppo col vino. Quella mummia immortalata alla soglia dell'eternità aveva avuto una vita mondana. Anche perché quale vita non lo è? Quale santo non ha mai avuto un fulminante episodio di diarrea, o non ha mai fatto finta di capire cosa stesse dicendo l'interlocutore perché si vergognava di non avere ancora capito dopo la terza volta che ha chiesto “cosa?”, o qualunque fosse l'equivalente di “cosa?” e “eh?” nella lingua parlata nel luogo e nel tempo esperiti da suddetto santo? Non c'è modo di capire se qualcuno sia stato un santo o un demonio, solo dalla mummia.
La connessione tra ogni persona, da qui a duemila anni nel passato o nel futuro, dà le vertigini. Rimasi indietro, mentre i miei amici andavano avanti a vedere le altre teche del museo, e presi ad ansimare con affanno, immobile davanti alla mummia, circondato da altre mummie. Una folla di universi umani fossilizzati. Da star male. Cosa che feci, in effetti. Non intenzionalmente, chiaro; anche se, a dire il vero, cos'è l'intenzione?
Fu cosa di pochi istanti, ma, per l'attacco di panico che seguì quando i miei amici mi vennero a soccorrere assieme a quella coppia di sposini giapponesi, dovemmo uscire dal museo e mi portarono a bere una bibita fresca. Ero scossa, perciò non mi resi conto dell'occhio silenzioso della videocamera di sorveglianza puntata verso le mummie. Non credo che fosse lì per riprendere il momento in cui si sarebbero alzate a camminare di nuovo, ma non ne sono più così sicura. In fondo, non ci sarebbe nulla di fantastico in un morto che cammina, sarebbe solo una persona, e perderebbe quella caratteristica che lo distingue dal resto di entità simili, cioè quella di essere morto. Una pera che ha l'aspetto, la consistenza, l'odore e il sapore di una mela non è un frutto magico, è solo una mela.
Il pilota biascica parole incomprensibili dagli altoparlanti mentre mi stringo nel posto troppo stretto, mi allaccio la cintura e mi è capitato un posto tra un bambino che strilla e un vecchio con la flatulenza. Non è questo a essere grottesco, sono gli occhi della hostess. Cosa sta accadendo in quella testa mentre mostra come gonfiare il giubbotto salvagente? Cosa farà, una volta staccato il turno di lavoro? Non è poi così importante, non la sta guardando nessuno. Però succede che lo fa, il suo lavoro. Succede perché non può succedere altrimenti e tutto ciò è fantastico. Cosa farà una volta morta? Lei niente, ma lei in senso lato, cosa farà? Qualcuno che lo sa ci deve essere, un essere onnisciente e invisibile. Cerco di figurarmi come la sua coscienza lascerà questo mondo ma non riesco proprio a immaginarmelo. Quali saranno i suoi ultimi pensieri? Cosa ne faranno poi del suo corpo? Chi? E quando è nata qual è la prima cosa che ha visto? Cosa ha pensato del primo odore annusato? Cosa ha pensato sua madre quando ha visto per la prima volta quegli occhi, ora annoiati dal proprio lavoro, allora incastonati nella testa di un neonato che scopriva una nuova realtà? Sono quasi tentata di alzarmi a chiederlo, ma sono abbastanza sicura che neanche lei lo sappia. E allora, chissà da quanti anni non si chiede quale sia il proprio dinosauro preferito.
Li trovo ad aspettarmi già fuori dall'aeroporto, sono venuti a prendermi in auto. Ricordo la mia confusione quando ho ricevuto la loro telefonata. Non ne capii granché, ma a quanto pare era stata una serie di coincidenze in apparenza senza significato ma che portano verso l'unico inevitabile canale del fato. Il custode stava staccando il proprio turno e, nel farlo, si è messo a chiacchierare col collega, e ha accennato l'episodio del mio svenimento. Uno dei ricercatori che passava di lì per caso ha sentito il tutto e ha chiesto di poter vedere la ripresa della videocamera di sorveglianza.
Ed è così che sono finita in questa... non lo so, questa cosa. È un progetto di ricerca interdipartimentale sulla tanatologia. Non ho mai avuto esperienze pre-morte, però; è vero, a volte sogno di morire, ma questo che c'entra? Proprio non capisco, ma volevano me, tra i soggetti dello studio. L'alloggio è gratuito, i pasti calmierati, e posso comunque portare avanti il mio lavoro di web designer, quindi perché no?
Mi si presentano, stringo mani, guardo occhi che guardano i miei e sorridono, sento nomi e ripeto il mio nome per presentarmi e ripeto i loro nomi per provare a non dimenticarli. Dove sono stata, mi chiedono. In che senso? Mi metto sulla difensiva; come sanno del legame? Pensano che io sia una pazza che stringe legami con gente morta da duemila anni? Ma per piacere; non sono partita per questo, ma loro mi chiedono dove sono andata in quel momento. Ed è solo naturale, no? Insomma, è soffocante sia stare in una folla sui mezzi pubblici, sia essere circondati da morti. Presente o passato poco importa, sono comunque tutti esseri con sogni e passioni. Quella signora seduta in metropolitana, che legge il giornale, il viso rugoso corrucciato: qual è l'amore più struggente che ha mai provato? Quella mummia avvolta in un panno: qual era stato il suo passatempo, nei pomeriggi noiosi e solitari?
Ma non è così immediato ricreare quel sentimento, dovrebbero saperlo, così come ogni sentimento unico, positivo o negativo o neutro, è irripetibile una volta provato dai mondi isolati dei vivi e dei morti e delle persone che nasceranno; provo a spiegarlo, ma non trovo parole adatte, nonostante tutta la sensibilità di antropologi e psicologi, giovani ricercatori con una passione sconfinata per la tanatologia.
Prova la psicografia, dicono allora, che è poi quello che sto facendo in questo momento, queste parole non destinate a essere lette. Viene usata anche in parapsicologia: che sia un gruppo di ciarlatani, allora? Ma no, perché l'università dovrebbe finanziare una ricerca del genere? Va be’, non importa. Finito questo esercizio di psicografia mi riporteranno al museo, e allora sì che potrò risperimentare il legame di duemila anni. Queste parole non portano nulla con sé e con ogni probabilità finiranno con semplicità all'intelligenza invisibile e onnisciente, ma non le leggerà perché le avrà già lette quando ancora il tempo non esisteva. Io ora sono qui e sto per andare. Dove mi porterà, quella mummia? Dov'è ella adesso, al di fuori del museo? Ho fatto bene a venire qui? Faccio bene ad andare dove quel legame mi porta? Senza paura, posso seguire il fato.
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- Argomento: [Lab13] Empatia transgenerazionale
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- dom apr 28, 2024 9:27 pm
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