Un delitto da dimenticare
È ancora buio. Marcello si chiude nello studio, sceglie con misurata lentezza un vinile dalla collezione e indossa le cuffie. Mentre la puntina accarezza i solchi, si lascia avvolgere dalle note umanizzate del sax di Coltrane. Se non fosse così presto, accenderebbe il sigaro e si verserebbe del boubon: un brivido di piacere gli attraversa la schiena al sol pensiero. Siede alla scrivania, accende la lampada da tavolo, avvia il computer e, come d’abitudine, scorre sullo schermo le prime notizie del giorno.
È soprappensiero quando il display del suo smartphone s’illumina: è Duccio Neri, avvocato; subito una ridda di ricordi gli affolla la mente. Prima di rispondere, si assicura che la porta dello studio sia ben chiusa.
«Pronto. Ma certo, avvocato, che mi ricordo di lei. Che succede? No, no. Non sono più in servizio da tempo» posa lo sguardo sulla foto del nipotino. «No, no. Nessuna nostalgia, mi creda… Sì, mi dica.»
«Ho bisogno di parlare con lei. Di persona. Oggi.» risponde il professionista.
La richiesta dell’avvocato è inattesa come la neve a ferragosto. Marcello aggiorna la pagina del calendario da tavolo.
«Sta scherzando, dottore? Le ho detto che sono fuori dal giro. Ormai, sono un nonno a tempo pieno e…»
«Lo consideri uno scambio di favori in memoria dei vecchi tempi» dice l’avvocato senza fargli terminare la frase.
L’ex carabiniere guarda l’orologio e fa un rapido calcolo. Sospira. «D’accordo.»
L’autostrada, prima dell’alba, è un nastro scuro proteso verso l’ignoto. Spinge a fondo l’acceleratore.
La città rinascimentale lo accoglie col profumo di caffè e di paste appena sfornate.
Raggiunge palazzo Neri alle otto in punto. Preme l’unico pulsante sulla bottoniera d’ottone lucidata a specchio e attende la risposta. L’occhio discreto di una telecamera proietta la sua immagine sul monitor dell’avvocato Neri.
La serratura del grande portone ligneo fa uno scatto. Marcello entra con circospezione. All’ingresso, un odore antico gli penetra le narici. La luce fioca di lampade a basso consumo illumina la grande scala in pietra serena che conduce al piano nobile. Solleva lo sguardo verso la piccola finestra decorata a mosaico che e si apre sul pianerottolo davanti all’ingresso dello studio. Il cielo coperto lascia filtrare timidi raggi che illuminato la parete affrescata. Un leggero pulviscolo sembra danzare nell’aria. Tanta bellezza vale sempre il prezzo del viaggio, pensa.
Il ronzio di una sedia a rotelle precede il click dell’apriporta.
«Entri pure, scusi se non le vengo incontro.»
Duccio Neri non è che l’ombra dell’uomo energico che ricordava. Solo l’innata eleganza pare essere sopravvissuta allo scempio del tempo e della disgrazia. Marcello, ammutolito, non riesce a distogliere lo sguardo da lui. L’avvocato risponde ugualmente alla domanda scritta nei suoi occhi.
«Un incidente, due anni fa. L’uomo che mi ha investito è fuggito e non sono mai riuscito a sapere chi fosse».
«Mi spiace molto. Non sapevo. Ha bisogno di aiuto? Ho ancora degli amici in servizio, se occorre.»
«No, grazie del pensiero. Non l’ho chiamata per parlarle dei miei guai, non si preoccupi.»
Marcello ammira il soffitto a volta interamente affrescato. «È sempre splendido come lo ricordavo…»
«Un tempo, qui c’era la cappella di famiglia. Pensi che l’ho scoperto solo di recente; eppure il palazzo appartiene alla mia casata da secoli, ma non voglio farle perdere tempo. Vengo subito al motivo del nostro incontro.» L’avvocato apre un cassetto della scrivania, estrae un foglio ingiallito e glielo porge.
Marcello indossa gli occhiali e scorre il testo in silenzio. È costretto a tornare indietro più volte. Il documento è parecchio danneggiato.
“Mi accoglierà l’Eterno nella schiera dei santi per aver difeso la Chiesa? Oppure le mani mie, lorde di sangue, arderanno tra le fiamme? Lo confesso, sì. Per codardia non fui capace di distruggere il regale dono. Lo celai agli occhi del mondo, sí che la Chiesa non corresse periglio alcuno. A guardia posi quattro paladi…
Donato Neri servo della C… A.D. 1600”
A lettura ultimata, una ruga profonda gli solca la fronte. «Dove l’ha trovata?»
L’avvocato indica un’antica Bibbia nella libreria: «Fra quelle pagine, a metà del libro.»
Marcello raggiunge lo scaffale e preleva il prezioso volume. All’interno né una dedica, né un segno rivelatore, soltanto una frase appare sottolineata nel libro di Giosuè: “Fermati, sole, su Gàbaon e tu, luna, sulla valle di Aialon”. «Un’eclisse… sembra incredibile che queste parole abbiano avuto il potere di bloccare per secoli il progresso della scienza e fatto giustiziare parecchi uomini…» pensa a voce alta.
«Già, proprio così: un’interpretazione cieca delle sacre scritture. Ma la storia dell’uomo è piena di errori» risponde l’avvocato. «Vede, da quando ho trovato questa lettera, non riesco a pensare ad altro. Cosa può essere stato nascosto? Chi è stato ucciso? Queste domande mi danno il tormento. Sono certo che lei può aiutarmi a capire prima che sia troppo tardi. Non mi resta molto da vivere, ormai.»
«Perché lo chiede proprio a me?»
«Perché lei è un uomo colto, arguto, e…» prosegue sottovoce «mi deve un favore» risponde l’avvocato.
Marcello sospira. Anni prima, una certa indagine fiorentina gli aveva tolto il sonno per parecchie notti. L’esito brillante dell’operazione, risolta grazie all’aiuto dell’avvocato Duccio Neri, aveva fatto decollare la sua carriera nell’Arma. Rilegge la lettera con maggiore attenzione. Più e più volte. «Chi era Donato Neri?» chiede infine.
«Un mio antenato. Pare che avesse preso i voti e fosse un accanito detrattore di Giordano Bruno. In famiglia si tramanda la diceria che abbia speso una fortuna per assistere di persona al rogo. Questo è tutto.»
«Non è molto. Farò il possibile, ma temo che sarà un buco nell’acqua.»
Una stretta di mano sigla l’accordo.
Forse potrei tentare una ricerca presso l’archivio arcivescovile. L’ex carabiniere estrae il portatile dalla borsa e prenota la visita on line. La sede, da lì, è raggiungibile a piedi.
Un sacerdote di colore, dopo una serie innumerevole di firme, lo porta in una stanza asettica e gli fornisce un paio di guanti bianchi. Sul tavolino c’è già l’annuario richiesto per la consultazione.
I fogli sembrano fragili come ali di farfalla. La calligrafia ordinata è certo opera di qualche novizio dell’epoca, ma il linguaggio antico è ostico da decifrare. Molte pagine sono dedicate al matrimonio di Maria de’ Medici col re di Francia Enrico IV: un nutrito elenco di alte autorità ecclesiastiche intervenute alle nozze celebrate il 5 ottobre del 1600.
Marcello si stropiccia gli occhi. Il sacerdote controlla ogni sua mossa. «Ha bisogno di aiuto?» chiede.
«Sì, grazie. Cerco notizie di un certo Donato Neri. Un prelato molto vicino alla famiglia Medici nel 1600.»
Il prete aggrotta le sopracciglia. «Sa con quale nome fosse consacrato?»
«No. So soltanto che era di famiglia nobile.»
Il prete s’accarezza la barba, scuote la testa mentre sfoglia le pagine fino a raggiungere l’ultima parte dell’annuario. In data 20 ottobre 1600 è registrato il rito funebre di un certo ser Lapo Adimari, officiato da frate Cosma, domenicano. Marcello si sofferma sui simboli accanto a quel nome: una croce, un ramo d’olivo e una spada racchiusi in un ovale. «Cosa significano?» chiede.
«È probabile che il frate fosse un membro della Santa Inquisizione» risponde il religioso.
«E se Donato Neri fosse stato un inquisitore?» chiede Marcello come folgorato da un’improvvisa intuizione.
«In tal caso, lei dovrebbe cercare la conferma negli archivi vaticani.»
Marcello si alza, ringrazia il prete ed esce.
Immerso nei pensieri, si trova davanti al cancello dell’antico Convento delle Oblate, oggi adibito a biblioteca. Bere un caffè nel bar allestito all’ultimo piano con vista sulla cupola del Brunelleschi è quanto di meglio potesse chiedere prima di proseguire la ricerca.
Per codardia non fui capace di distruggere il regale dono… Le parole della lettera gli ronzano in testa. Forse era un dono per le nozze reali, pensa. La documentazione che trova sul matrimonio di Maria de’ Medici è più di quanto si aspettasse. Tutto è minuziosamente documentato: dagli abiti della nobiltà, al ricco menù, alla lista dei doni per gli sposi. Scorre l’elenco: gioielli, statuette, perfino un corsiero napoletano. Nel girare le pagine, lo colpisce la didascalia sotto alla riproduzione di un dipinto: “Ritratto del giovane inventore Lapo Adimari († 4 ottobre 1600). Deceduto il giorno prima del matrimonio reale... Un’idea si fa strada nella sua mente. Marcello guarda l’orologio. Forse faccio ancora in tempo. Si affretta a uscire.
Palazzo Bastogi, sede dell’archivio storico della città di Firenze, si trova giusto nelle vicinanze. La signorina all’ingresso lo blocca: «Tra mezz’ora si chiude. Può prenotare per lunedì prossimo, se vuole.» Sul badge spicca il nome Daniela Adimari.
«Se le dicessi che sto facendo una ricerca araldica proprio sulla sua famiglia?» Marcello gioca l’asso «Sia gentile, la prego. Mi faccia entrare.»
«Questa è la scusa più originale che mi sia capitata» risponde la giovane con un mezzo sorriso.
Quando esce, Marcello ha in testa un mormorio di nomi, date e informazioni, ma un nuovo tassello si è aggiunto: Lapo Adimari, il giovane rampollo di una nobile famiglia Fiorentina dotato di grande ingegno, fu trovato morto in un vicolo nei pressi del Palazzo della Signoria. Nella lettera si parla di omicidio. E se Donato Neri fosse proprio Fra’ Cosma? Allora tutto avrebbe senso. pure l’omicidio a difesa della Chiesa… ma perché confessare?
Firenze è magnifica anche sotto la pioggia primaverile. San Cristoforo degli Adimari, oggi, è un’autorimessa per le ambulanze della Misericordia.
«La cappella della famiglia è stata sconsacrata alla fine del 1700» risponde uno dei volontari. Non resta più nulla.
Gli stemmi della potente casata fiorentina non sono che cicatrici levigate dai secoli e dalle intemperie sulla facciata dell’antico edificio di culto. Marcello si avvia verso la casa dell’avvocato Neri con poche idee confuse.
L’anticamera ora gli sembra meno affascinante. L’ambiente è umido, la sedia emette una specie di lamento lugubre a ogni suo minimo movimento. L’avvocato lo invita a entrare con voce stentorea. «Allora, Marcello, ha scoperto qualcosa d’interessante?»
«Dottore, mi spiace, ma ci sono troppo pochi elementi per indagare. Ho più domande che risposte.»
«Purtroppo ho solo la lettera che ha visto; è riuscito almeno a farsi un’idea di chi potesse essere la vittima?»
«Solo una vaga intuizione. Da quanto ho potuto ricostruire, pare che Lapo Adimari, un giovane inventore protetto dalla famiglia Medici, sia stato assassinato e derubato il giorno prima delle nozze di Maria de’ Medici.»
«Interessante. Nella lettera, il mio antenato dice aver agito in difesa della Chiesa. E se avesse ucciso l’Adimari perché aveva delle idee pericolose?»
«Non ne vedo il motivo. Donato Neri potrebbe essere stato un frate domenicano, frate Cosma, membro della Santa Inquisizione. All’epoca avrebbe potuto far condannare a morte un eretico per un semplice sospetto. Perché sporcarsi le mani?»
«Per i Medici sarebbe stato uno scandalo… un loro protetto condannato per eresia! Meglio evitarlo, no?»
«Si vede che lei è un bravo avvocato» risponde Marcello.
«Cosa mi dice dell’oggetto nascosto? Cosa potrebbe essere?»
«Mah, non saprei. Forse si trattava di un regalo per le nozze di Maria de’ Medici, dato che nella lettera che mi hai mostrato, si parla di un dono regale. Ne riparleremo, ma ora devo proprio andare. Non si disturbi, conosco la strada.»
«Comunque, avrei piacere che lei continuasse a occuparsi del caso. Si prenda il tempo necessario, la ricompensa sarà adeguata.»
«Ci penserò. Per oggi si è fatto tardi e mi aspettano a casa.»
Marcello apre la porta e alzo lo sguardo verso la finestra dell’anticamera. Al tramonto i raggi, filtrati dalle tessere del mosaico, proiettano una luce colorata che illumina un globo terracqueo dipinto sulla parete. Il pianeta è sostenuto ai quattro lati dalle ali di arcangeli.
A guardia posi quattro paladi… La suggestione è irresistibile.
Rientra nello studio, prende la scala della libreria la porta nell’anticamera e sale per osservare da vicino l’affresco. Le dita affusolate degli angeli puntano dritto verso il centro della Terra, proprio dove s’intravede un minuscolo foro. Marcello scende per avvisare l’avvocato ma lui è già lì. Nella mano destra stringe una piccola chiave. «Forse le serve questa» dice porgendogliela «era insieme alla lettera del mio antenato ma non avevo idea di cosa aprisse.»
Marcello lo guarda di traverso, la vena del collo si gonfia. «Perché non me l’ha detto subito? Credevo si fidasse di me.»
«La prego… Chiudiamo questa faccenda.»
La chiave entra alla perfezione nel foro. Occorrono tre giri per far scattare l’antica serratura. Il vano che si apre è piuttosto profondo. All’interno c’è un astuccio in pelle malridotto.
L’ex carabiniere lo preleva con cura e lo consegna nelle mani dell’avvocato.
Una volta aperto, il contenuto lascia entrambi senza parole: un piccolo rotolo e due mezzi tubi in cuoio, ciascuno dei quali reca all’estremità una lente.
Marcello prende la pergamena: «Posso?» Ottenuto il tacito assenso, inizia a srotolare piano il documento costellato qua e là da infiorescenze di muffa e macchie scure. Sulla parte superiore del foglio c’è una serie di disegni: una stella racchiusa in un cerchio e quattro stelline che sembrano ruotarle intorno. Giove e i quattro satelliti medicei: Io, Europa, Ganimede e Callisto… incredibile! Marcello smette per un attimo di respirare. La lettera prosegue, ma il contenuto è molto deteriorato.
“Mia Regina, vi reco in dono un istrumento che mostra il cielo in tutta sua bellezza e movimento.” La lettera prosegue ma è del tutto illeggibile. L’unica cosa certa è la firma: “L. Adimari A.D. 1600.”
«Il dono regale… Un cannocchiale! Adimari l’aveva puntato verso il cielo nove anni prima di Galilei… Si rende conto della portata di tutto ciò, avvocato? Si dovranno riscrivere i libri di storia!»
Ma l’uomo, le spalle curve come schiacciate da un peso, è ammutolito. Quando risponde, la voce è poco più di un sussurro:
«Ma a chi gioverebbe saperlo? Chi vorrebbe mai vedere infangato il nome dello scienziato toscano più famoso al mondo? Sarebbe un danno irreparabile anche per il buon nome della mia famiglia.»
«Dottore, Galilei ha subìto un processo ingiusto, ma ha ceduto all’intransigenza della Chiesa rinnegando le sue scoperte. Questo giovane, al contrario, è stato condannato a morte senza appello, senza ricevere alcun merito per la sua invenzione.»
«Ci penserò… Ora, la prego, rimetta tutto dov’era e mi restituisca la chiave. Per quanto ovvio, conto sulla sua assoluta discrezione riguardo a tutta la faccenda.»
«Dottore, credo che lei abbia un dovere morale nei confronti di quel giovane e nei confronti della Storia. Ha quelle lettere, può fare la cosa giusta.»
«Quali lettere?» Con un gesto fulmineo, il dottor Neri estrae un accendino dalla tasca della giacca. In un lampo gli antichi documenti sfrigolano nel piccolo incendio divampato tra le sue dita.
Marcello si avventa sulle carte divorate dalle fiamme, ma, di loro, non resta che un mucchietto di cenere sul pavimento. Quando riprende la parola, il tono non lascia spazio all’indulgenza. «Con questo, dottore, credo di aver saldato il mio debito con lei.»
In breve, il tutto viene riposto con cura e gli arcangeli tornano a custodire il prezioso reperto.
Appena uscito, Marcello, senza indugio, elimina il contatto dell’avvocato Duccio Neri dalla rubrica dello smartphone.
La chiusura della giornata meriterebbe l’ascolto di una musica rilassante, ma nel viaggio di rientro sono le note del Carmina Burana di Orff a tenergli compagnia. Il segreto di cui è venuto a conoscenza continua a mulinargli nella testa. Un delitto da dimenticare pensa alzando il volume della radio.
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