Addio, primavera

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In un fresco pomeriggio di Aprile due fratelli camminavano lungo la pista ciclabile. Si trattava di un sentiero sterrato costeggiante il fiume, che i residenti del piccolo paese utilizzavano per le loro biciclettate primaverili. Giovanni aveva 13 anni, ed era il maggiore dei due. Antonio aveva tre anni in meno e per il fratello più grande, che pure gli voleva bene, cominciava ad essere un peso: la madre lo costringeva a portarselo dietro in ogni occasione, e soffriva l'assenza di libertà che il fare da balia al fratellino comportava. Gli sembrava che la sua presenza costante lo definisse, e nel profondo del suo cuore sognava di essere teletrasportato in un nuovo paese dove nessuno lo conoscesse, dove avrebbe potuto ricominciare da capo. Non che considerasse suo fratello antipatico o sgradevole, la sua compagnia gli piaceva, ma si vergognava di lui davanti ai suoi amici di scuola, soprattutto si vergognava del suo ruolo di fratello maggiore: il dover prestare attenzioni continue al fratello, anche quando era con altri ragazzi; il dover preoccuparsi non solo di sé, ma anche che Antonio non fosse escluso o deriso. Se solo Antonio avesse avuto un suo gruppo d'amici... avrebbe potuto essere sé stesso e stare con chi voleva, senza dover sempre vigilare su di lui.

Quel giorno erano usciti a passeggiare dopo pranzo, su richiesta della mamma, che aveva bisogno della casa libera per fare le pulizie. Avrebbero percorso la pista ciclabile per circa una mezz'ora e poi sarebbero tornati indietro per le 14. Scherzavano sulla scuola e sui loro amici del paese. A vederli da fuori, sembravano felici. Antonio lo era davvero. La scuola non gli dava particolari problemi, riusciva a cavarsela bene senza troppi sforzi. Quel pomeriggio, avendo già fatto tutti i compiti il giorno precedente, aveva intenzione di giocare alla playstation. Purtroppo suo fratello Giovanni non avrebbe potuto giocare con lui, perché aveva la media del cinque in matematica e doveva prendere ripetizioni. Non vedeva l'ora di luglio, quando, dopo l’esame di terza media del fratello, avrebbero potuto giocare di nuovo insieme. Mentre passeggiavano, un po' scherzando un po' fantasticando, ciascuno perso nei suoi pensieri, videro spuntare all'orizzonte un grosso cane nero, che correva all'impazzata verso di loro. Per un momento rimasero fermi, bloccati come se avessero i piedi in una colata di cemento. Si guardarono. Il cane non si fermava, anzi, correva più forte di prima e sembrava puntare su di loro. "Scappa!" disse Giovanni, poi si voltò ed iniziò a correre lungo il sentiero sterrato, seguito presto da Antonio. Giovanni era più veloce, e Antonio lo vedeva allontanarsi sempre di più. Si voltò, il cane si stava avvicinando pericolosamente. Chiamò il fratello, ma dalla gola, per assenza di fiato, gli uscì solo uno spasimo disarticolato. Preso dal panico si voltò nuovamente a cercare il cane e, così facendo, non vide un piccolo gradino e vi inciampò, andando a ruzzolare a terra. Cadendo sbatté la faccia sulla ghiaia, e quando si rialzò, spaventato, sentì sulla lingua un sapore amaro e si accorse che gli usciva sangue dalla bocca. Poi arrivò un dolore lancinante ai denti. Provò a trattenere le lacrime, che avevano preso a sgorgare copiose. Il cane era ormai a pochi passi da lui. Si voltò verso la via di fuga, di suo fratello non v'era traccia, era inutile provare a chiamarlo. Avrebbe affrontato il cane, e se necessario, la morte: essa occupava completamente la sua mente, si era dimenticato il suo nome, il volto dei suoi genitori e di suo fratello, la scuola e la playstation; la sua intera esistenza era occupata dalla morte, che aveva il volto di un grosso cane nero e si avvicinava furiosa come il destino. In un impeto di coraggio alzò le braccia per difendersi e chiuse gli occhi, accecato dalla paura. Si aspettava di sentire il cane saltare e azzannargli le braccia, invece udì un fischio acuto e fortissimo. Non successe niente per qualche secondo. Racimolò il coraggio che gli era rimasto ed aprì gli occhi. Il cane era davanti a lui, ma gli dava le spalle e guardava un uomo vestito con una salopette grigia da lavoro e un cappello da contadino per proteggersi dal sole.
- Non ti preoccupare! Non fa nulla. È un buon cane. Ricorda, non correre la prossima volta. Sennò lui ti insegue per gioco.
- Ok - Rispose timidamente. Cercando di non sembrare spaventato tese la mano ad accarezzare il cane, ma quello si ritrasse, mostrando i denti. Antonio fece un balzo indietro.
- Ah ah! - rise il contadino - quando ho detto che è un buon cane, intendevo che non fa del male, ma non che si lascia accarezzare da chiunque. Deve prima fidarsi di te.
Antonio non rispose nulla. Il contadino, fischiettando, proseguì per la sua strada.
Si ricordò di suo fratello. Doveva andare a cercarlo? Pensò che probabilmente, a forza di correre, fosse già arrivato a casa. E se non a casa, chissà dov’era andato a finire. Cercarlo non aveva senso, non l’avrebbe più ritrovato. Decise quindi di proseguire ancora un po’ per conto suo. Si tastò i denti con le dita. Uno dei denti davanti gli sembrava scheggiato, e poi aveva sangue in tutta la bocca. Mamma non sarebbe stata contenta. Era meglio aspettare un po' prima di tornare a casa. Più avanti c'era una fontanella, con cui avrebbe potuto perlomeno sciacquarsi. Bisognava sperare che il dente non fosse davvero scheggiato. Per quello non c'era nulla che potesse fare.
 
 
 
 
 

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