[MI 187] Oltre i nostri confini

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Traccia n° 3 "La galleria dei quadri silenziosi"

Commento: Fofò si porta i guai
Commento: Replica di un Mondrian

Oltre i nostri confini

Era una piccola galleria d’arte, nascosta in una viuzza laterale tra le più antiche della città. Esponeva un’insegna d’altri tempi: uno stemma di ferro arrugginito con un nome curioso:  Spazi Vuoti.
Antonio non sapeva spiegare perché tornasse sempre lì. Forse per il silenzio. O per quell’odore di pareti appena tinte, mescolato al profumo del legno vecchio. Nessuna delle opere aveva un titolo, nessun autore era citato, nessuna spiegazione accompagnava le tele. Solo scatole di legno ai piedi dei quadri, contenenti blocchetti e matite. Una richiesta semplice: “Lascia qualcosa di tuo”.
Non si era mai fermato a scrivere. Non era il tipo da condividere pensieri, men che meno emozioni. Ma un giorno si bloccò davanti a una nuova tela, più ampia del solito, dipinta con una cura quasi crudele nei dettagli: un cielo grigio, quasi nero; sulla sinistra, un muro bianco interminabile, che pareva dissolversi nell’orizzonte. A fianco, un sentiero sterrato scendeva lentamente verso un mare agitato, scuro, impietoso. Nessuna figura umana. Nessun animale. Solo il muro, il sentiero, il mare.
Antonio si sedette su una panca, rimanendo a lungo a fissare il quadro, con il respiro affannoso. Il muro lo affascinava. Non per la sua bellezza, non era bello, anzi: spoglio, persino banale, ma sembrava custodire qualcosa. Un confine, forse. Un limite che conosceva fin troppo bene. Era cresciuto in cortili simili. In un piccolo paese di pietra bianca, calcinata dal sole; in una casa vicino al mare, circondata da vigne e uliveti, con il vento che urlava tra i cardini delle finestre e muri odorosi di sale e muffa. Un luogo senza bambini, senza giochi, solo il suono del vento, il rumore delle onde e le voci degli adulti che parlavano sottovoce. Non gli era mai stato vietato uscire, ma nessuno lo aveva mai invitato a farlo.
E lui aveva imparato a restare dentro. Aveva fatto del muro un alleato, un rifugio. Ma col tempo quel confine era diventato una prigione sottile, una paura senza nome: quella di attraversarlo. Di vedere cosa ci fosse oltre.
Davanti a quel quadro, Antonio sentì qualcosa muoversi dentro di sé. Come se il muro gli parlasse. Come se lo sfidasse. Prese la matita e scrisse, per la prima volta: “Sono cresciuto dentro un muro. Liscio, bianco, silenzioso. Il mare era fuori, e mi faceva paura. Avrei voluto qualcuno accanto per attraversarlo. Io sono Antonio”
Piegò il foglio e lo lasciò nella scatola. Mentre usciva dalla galleria, una leggera pioggia batteva sulle strade, portando con sé quasi l’odore della salsedine sul catrame bagnato. Sentì che qualcosa dentro di lui, qualcosa di vecchio e chiuso, si era finalmente aperto. 
Passarono alcuni giorni prima che Antonio tornasse alla galleria. Era rimasto con una sensazione inesprimibile addosso, come una febbre sottile, una nostalgia senza oggetto. Camminava per le strade con la testa piena di pensieri che non riusciva a scrollarsi di dosso. Il muro del quadro lo seguiva ovunque: nei sogni, nei riflessi delle vetrine, nei rumori del mare che percepiva anche a chilometri dalla costa. Entrò in galleria un venerdì pomeriggio. 
L’aria era più calda, come se l’estate avesse deciso di affacciarsi in punta di piedi. Si avvicinò al quadro. Qualcosa nella scatola dei biglietti era cambiato. Un foglietto piegato, color crema e diverso dalla carta standard della galleria, attirò la sua attenzione. Lo prese con mani tremanti, come se si aspettasse qualcosa scritto solo per lui. Le dita gli tremavano mentre lo apriva. Il cuore gli batteva forte, ancora prima di leggere.
“Anch’io ho conosciuto muri. Ma li ho scalati per fuggire, non per restare. Il mare mi ha sempre fatto paura, perché mi ricorda quanto siamo piccoli. Ma a volte essere piccoli insieme è la cosa più grande che possiamo fare. Sono Eleonora”.

Passarono alcuni giorni. Antonio nutriva delle remore a tornare in galleria, non sapeva spiegarsi bene il motivo, ma ci tornò comunque, sempre di venerdì. Vide una donna leggere i biglietti davanti a quel quadro. Vestita come tante ragazze di oggi, ma con un’aria d’altri tempi nel taglio dei capelli, nella forma del viso, nella piega austera delle labbra, persino nel modo in cui teneva i foglietti tra le mani. Antonio sentì un impulso strano. Non la conosceva. Eppure...
— Anche tu pensi che sia il mare… Eleonora? — chiese quasi senza volerlo, stupito dalla propria sfacciataggine. Lei si voltò. Occhi profondi, scuri, intensi. Un sorriso incerto. — O il cielo. O l’anima. Dipende dal giorno... Antonio?
Iniziarono a parlare. Del quadro, dei messaggi, di tutto ciò che non veniva detto. Eleonora era un’insegnante di sostegno, amante dei silenzi e delle cose che non si spiegano. Tornarono insieme più volte. Guardavano il quadro in silenzio, rimanendo vicini. Eleonora gli raccontò di un padre e di un fratello morti in un incidente d’auto. Lui, di una madre svanita lentamente dietro una malattia che l’aveva resa un’ombra, e di un padre che si era lasciato andare per il dolore. Gli parlò della sua infanzia solitaria. Dietro un muro. Poi, Eleonora smise di farsi vedere. Una, due, tre settimane. La scatola accanto al quadro restava vuota.
Antonio continuava a tornare, sperando di trovarla. Nulla. Pensò a ogni possibilità: che fosse partita, che avesse cambiato idea, che tutto fosse stato solo una casuale intersezione di solitudini, e niente più.
Un giorno, Antonio la rivide. Sempre davanti al quadro. Le si avvicinò piano alle spalle, ma lei non sussultò: sembrava aspettarlo. Eleonora gli sorrise, un sorriso triste, uno sguardo che gli attraversava l’anima. — Sai — gli disse — ho pensato che i muri si attraversano in due. Se andassimo a vedere la tua vecchia casa? Quella vicino al mare?
Un vuoto improvviso attraversò Antonio. La guardò come se parlasse una lingua che non conosceva. Scosse la testa, per riflesso. Fra tutte le possibilità del mondo, non aveva mai preso in considerazione quella di mostrare a qualcuno i luoghi della sua sofferenza.
— Ti farò sapere — le aveva detto, poi, stringendole le mani con tenerezza: — Scusami. Ti farò sapere. Devo andare.

Qualche giorno dopo, rientrò in galleria. Si guardò attorno con cautela, sperando che non ci fosse. E infatti non c’era: di solito veniva il venerdì.
Scrisse un messaggio breve: “Va bene. Ma non entrare se non te la senti”.

La casa di Antonio si trovava alla periferia di un piccolo paese costiero, mezza abbandonata, con le persiane chiuse da anni e la ruggine che divorava il cancello. Quando arrivarono, il vento portava con sé l’odore di alghe e paglia marina. Eleonora lo aiutò ad aprire il cancello, ostacolato dalle erbacce cresciute tutt’intorno. Poi lo osservò mentre rimaneva immobile, quasi rapito, a guardare quel cortile che da bambino gli era sembrato immenso: il suo mondo, ora soffocato dalla gramigna e incredibilmente piccolo. Eppure, il muro esterno, quello vero, era ancora lì: bianco, consumato dal sale, alto abbastanza da impedire lo sguardo oltre. Antonio si avvicinò piano, affondando nell’erba alta fino alle ginocchia, e toccò il muro con delicatezza, come se temesse di svegliare un severo e inesorabile guardiano addormentato. Poi si voltò verso Eleonora.
— Qui ci parlavo, da piccolo. A bassa voce. Credevo che dall’altra parte ci fosse qualcuno ad ascoltarmi. Sai... Una specie di amico immaginario, qualcuno, insomma.
Eleonora si avvicinò e gli prese la mano.
— Magari c’era davvero qualcuno. Solo che ci ha messo un po’ a trovarti.
Antonio sorrise. Un sorriso stanco, ma sincero. Rimasero lì, in silenzio, per qualche minuto.
Poi, senza dire nulla, si avviarono verso la casa.
All’interno, tutto era rimasto come lo ricordava: i mobili coperti, la polvere ovunque, la luce filtrata dai vetri opachi. Salì lentamente le scale, seguito da Eleonora, e si fermò davanti alla stanza che un tempo era stata la sua. Il letto, il comodino. Una finestra affacciata sul mare, che da lì non si vedeva, ma si sentiva. Aprì il cassetto cigolante di un tavolino, prese una piccola tartaruga di gesso colorato, sorrise, poi la ripose. Aprì finalmente l’anta. Il vento entrò come un respiro trattenuto per anni.
— È strano — disse — per tanto tempo ho avuto paura di tornare. Ma ora... non fa più male.
Eleonora gli si avvicinò e gli posò una mano sulla schiena, con dolcezza. Leggera, come si fa con chi ha appena corso a lungo.
— Forse perché non sei più solo.
Antonio la guardò. E fu lì, in quella stanza spoglia, che capì davvero cosa aveva trovato. Non solo l’amore. Ma qualcuno capace di stare in silenzio accanto a lui, di ascoltare il suo silenzio, e di leggere i suoi muri senza giudicarli.
Prima di andare via, Eleonora tirò fuori dalla borsa una piccola scatola di legno, simile a quelle della galleria. Ne avevano parlato tempo prima: raccogliere le loro parole, i pensieri lasciati lungo il cammino. La posò sul davanzale della finestra e, su un foglietto color crema, scrisse: “Non ti ho trovato dall’altra parte del muro. Ti ho trovato vicino a me. E questo basta”.

Antonio sorrise. Poi ne scrisse uno anche lui: “Non ho più paura di uscire. Non perché il mondo sia cambiato. Ma perché ora so che tu ci sei”.
Poi prese con delicatezza le mani di Eleonora e avvicinò il suo viso al suo. Si baciarono. E Antonio sentì, per la prima volta nella sua vita, che poteva essere come gli altri: felice, leggero, libero. Con la forza di poter fare qualsiasi cosa al mondo. Aveva trovato la sua donna, la sua casa.
Chiusero la scatola. Non per nascondere. Ma per custodire.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Alberto Tosciri wrote: Il vento entrò come un respiro trattenuto per anni.
Segno solo questa, ma in realtà non c'è un paragrafo che non sia degno di essere citato.

La tua scrittura è sempre avvolgente e piena di vissuto. Questo racconto ne è l'emblema. Mi sono venuti i brividi.  Delicato e fortemente sensoriale, con gli odori, il vento e le immagini del mare, questo testo trascina il lettore dentro una storia di liberatoria rinascita. Il quadro rappresenta la porta per evadere da un vissuto non vissuto; è  l'incontro di due solitudini, un crescendo che porta alla guarigione dell'anima, capace, infine, di trasformarsi in amore. 
Alberto Tosciri wrote: Antonio sorrise. Poi ne scrisse uno anche lui: “Non ho più paura di uscire. Non perché il mondo sia cambiato. Ma perché ora so che tu ci sei”.
Poi prese con delicatezza le mani di Eleonora e avvicinò il suo viso al suo. Si baciarono. E Antonio sentì, per la prima volta nella sua vita, che poteva essere come gli altri: felice, leggero, libero. Con la forza di poter fare qualsiasi cosa al mondo. Aveva trovato la sua donna, la sua casa.
Chiusero la scatola. Non per nascondere. Ma per custodire.
Volendo cavillare per forza  (che se no siamo troppo buoni) ti direi che, nella chiusa, avrei evitato di spiegare ciò che è già condensato nella frase in corsivo
Alberto Tosciri wrote: “Non ho più paura di uscire. Non perché il mondo sia cambiato. Ma perché ora so che tu ci sei”.
Pertanto, a mio giudizio,  la parte che ho evidenziato in grassetto è superflua, rende meno incisiva la conclusione, 

Grazie per questa bella lettura  :rosa:

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Ciao @Alberto Tosciri.
Come mi capita spesso quando leggo qualcosa di tuo lo trovo sempre ben curato e denso di immagini e/o sensazioni, tipo questa
Alberto Tosciri wrote: Un luogo senza bambini, senza giochi, solo il suono del vento, il rumore delle onde e le voci degli adulti che parlavano sottovoce.
o questa
Alberto Tosciri wrote: era un’insegnante di sostegno, amante dei silenzi e delle cose che non si spiegano
quindi non dico nulla sotto questo punto di vista, perché non mi viene in mente qualcosa da appuntarti o consigliarti in tal senso. Anche perché il racconto è molto denso pur restando un racconto scorrevole e intrigante a lettura. Dal punto di vista del tema, tra l'altro, l'hai reso molto meglio di me e, anzi, potresti rientrare anche nella traccia relativa alla scelta.
Giusto questo passaggio
Alberto Tosciri wrote: Antonio non sapeva spiegare perché tornasse sempre lì. Forse per il silenzio. O per quell’odore di pareti appena tinte, mescolato al profumo del legno vecchio. Nessuna delle opere aveva un titolo, nessun autore era citato, nessuna spiegazione accompagnava le tele. Solo scatole di legno ai piedi dei quadri, contenenti blocchetti e matite. Una richiesta semplice: “Lascia qualcosa di tuo”.
Dove mi hai mostrato un modo migliore per iniziare il mio racconto.  (y) 

Alla prossima lettura. :libro: 
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Alberto, complimenti davvero, scrivi in maniera egregia
e poi questi cortili, questo tema ricorrente come le formiche nei quadri di Dalì e Castle Rock nei libri di King 
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Ti ringrazio per le tue belle parole,  @Adel J. Pellitteri
Concordo con te sulla frase alla fine, in effetti poteva bastare senza aggiungere ulteriori spiegazioni.
A volte certe costruzioni mi sembrano belle e le inserisco, poi dopo magari mi accorgo che erano superflue... 

Ti ringrazio @bwv582
Ora che mi ci fai pensare, mentre scrivevo  non avevo del tutto presente la traccia. Cioè: l'avevo letta e avevo un'idea, poi, come spesso mi capita, l'idea è cambiata.

Ti ringrazio @NanoVetricida
NanoVetricida wrote: questi cortili, questo tema ricorrente come le formiche nei quadri di Dalì e Castle Rock nei libri di King 
I cortili ricorrono spesso in molto di quello che scrivo. Fin da bambino ne ho conosciuti tanti; abitavo in una caserma dei Carabinieri e il suo cortile, al piano di sotto della casa, è stato il mio solitario, fantastico parco giochi, scandito da una austera e rigida vita di caserma che m'incantava. Potrei parlarne per ore. Poi cortili di asili, di vecchie scuole... più felicemente popolati ma sempre sormontati da mura, a delimitare due mondi diversi.
Poi, con una divisa anche io, da allievo e in servizio, per tutta la vita altri cortili di caserme, pure sorvegliati...
Non dico che sia stato un bellissimo sogno raccomandabile e auspicabile per tutto il mondo, ma di sicuro ha accentuato in me una particolare sensibilità descrittiva, un vederci cose che magari altri, passando di sfuggita e in fretta in un cortile, non ne sospettano nemmeno l'esistenza.
Sono un collezionista accanito di foto e quadri di cortili, di tutte le epoche: cortili di case, palazzi, castelli... caserme, e in ogni immagine ci vedo una storia, una sorta di viaggio di Ulisse, sia dal punto di vista di Omero che di Joyce.

A questo punto potresti dirmi che dovrei farmi vedere da uno davvero bravo...  :D
Potrei capirlo  :D
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Cioa @Alberto Tosciri 

Bello davvero e suggestivo questo tua racconto.
Un valore che da sempre è la cifra delle tue produzioni letterarie.
Mi complimento e ti lascio questo mio breve commento.

   
Il racconto è un’opera delicata e profondamente introspettiva che intreccia una narrazione intimista con una riflessione universale sul tema dei confini, della solitudine e della connessione umana.
Attraverso una prosa sobria ma evocativa, costruisce un percorso emotivo che accompagna il lettore nel mondo interiore di Antonio, un personaggio segnato da un passato di isolamento e dalla paura di oltrepassare i propri “muri”.
La galleria d’arte, con il suo nome simbolico, diventa il teatro di un’esperienza trasformativa, dove l’incontro con Eleonora e il confronto con il passato permettono al protagonista di riscoprire la propria capacità di aprirsi al mondo. Il racconto si distingue per la sua capacità di bilanciare la dimensione personale con quella universale, utilizzando un linguaggio poetico ma mai eccessivo e una struttura narrativa che alterna momenti di introspezione a dialoghi essenziali.


Struttura e stile


La struttura del racconto è lineare ma arricchita da un ritmo che alterna momenti di contemplazione a snodi narrativi significativi, come l’incontro con Eleonora e il ritorno alla casa d’infanzia.
La narrazione si sviluppa attraverso una focalizzazione interna su Antonio, che permette al lettore di accedere ai suoi pensieri, ricordi e turbamenti.
Tuttavia, l’autore evita un’eccessiva introspezione esplicita, lasciando che il paesaggio interiore del protagonista emerga attraverso immagini sensoriali (l’odore di salsedine, il suono del vento, la polvere sui mobili) e dettagli simbolici (il muro, il mare, la scatola di legno).
Questo approccio crea una narrazione densa di atmosfera, che invita il lettore a “sentire” il peso emotivo della storia.


Lo stile è caratterizzato da una prosa lirica ma controllata, capace di evocare immagini potenti senza cadere nel sentimentalismo.
Frasi brevi e incisive si alternano a passaggi più descrittivi, creando un equilibrio tra immediatezza e riflessione.
I dialoghi, pur limitati, sono essenziali e carichi di significato: le battute tra Antonio ed Eleonora, come quella iniziale davanti al quadro, sono sintetiche ma dense di implicazioni, suggerendo una connessione che va oltre le parole.
L’uso del simbolismo, in particolare del muro e del mare, è centrale: il primo rappresenta la chiusura e la protezione, il secondo l’ignoto e la possibilità.
La scatola di legno, con i suoi messaggi, diventa un dispositivo narrativo che collega i personaggi e incarna il tema della condivisione silenziosa.


Temi principali
  1. I muri come metafora della solitudine e della protezione: Il muro, elemento ricorrente nel racconto, è una metafora potente della barriera emotiva che Antonio ha eretto intorno a sé. La sua infanzia, segnata da un isolamento fisico e affettivo, lo ha portato a considerare il muro non solo un confine, ma un rifugio. Tuttavia, il racconto suggerisce che ciò che protegge può anche imprigionare. Il confronto con il quadro e l’incontro con Eleonora rappresentano il momento in cui Antonio inizia a interrogarsi sulla possibilità di “attraversare” quel confine, un processo che richiede coraggio e vulnerabilità.
  2. La connessione umana come redenzione: L’incontro con Eleonora è il fulcro emotivo del racconto. La loro relazione non è narrata come un amore romantico convenzionale, ma come un incontro di anime che condividono un’esperienza di solitudine e perdita. Eleonora, con la sua storia di lutti e la sua capacità di “scalare” i muri, rappresenta una guida discreta per Antonio, che impara a fidarsi e a condividere. Il gesto finale di lasciare messaggi nella scatola di legno simboleggia un atto di fiducia reciproca, una promessa di custodire l’uno i sentimenti dell’altro.
  3. Il ritorno al passato come catarsi: Il ritorno alla casa d’infanzia è un momento cruciale, che richiama il concetto di “ritorno al luogo originario” tipico di molte narrazioni psicologiche. La casa, con i suoi oggetti immutati e la polvere che la ricopre, è uno spazio sospeso nel tempo, che costringe Antonio a confrontarsi con i ricordi e con la paura che lo ha tenuto prigioniero. La presenza di Eleonora durante questo ritorno trasforma l’esperienza da traumatica a catartica, permettendo al protagonista di rielaborare il passato e di aprirsi al futuro.
  4. L’arte come specchio dell’anima: La galleria Spazi Vuoti e il quadro senza titolo fungono da catalizzatori per l’introspezione. L’assenza di titoli, autori o spiegazioni riflette l’idea che l’arte non debba imporre significati, ma offrire uno spazio per l’interpretazione personale. Il quadro, con il suo muro e il mare, diventa uno specchio per Antonio, che vi proietta i propri conflitti interiori. La richiesta di “lasciare qualcosa di tuo” invita a un atto di vulnerabilità, che Antonio compie scrivendo il suo primo messaggio, segnando l’inizio del suo percorso di apertura.
Punti di forza
  • Atmosfera evocativa: L’autore riesce a creare un’atmosfera densa di significati attraverso descrizioni sensoriali che immergono il lettore nel mondo emotivo di Antonio. L’odore di salsedine, il suono del vento e la polvere sui mobili sono dettagli che rendono la narrazione vividamente tattile.
  • Simbolismo efficace: Il muro, il mare e la scatola di legno sono simboli ben integrati nella narrazione, che arricchiscono il testo senza appesantirlo. La loro presenza è costante ma mai didascalica, lasciando spazio all’interpretazione.
  • Personaggi credibili: Antonio ed Eleonora sono delineati con pochi tratti, ma risultano autentici e complessi. La loro connessione si basa su silenzi e gesti più che su parole, rendendo la loro relazione profondamente umana.
  • Equilibrio tra introspezione e narrazione: Il racconto bilancia abilmente i momenti di riflessione interiore con l’avanzamento della trama, evitando di scadere in un’eccessiva introspezione o in una narrazione troppo esplicativa.
Limiti
  • Mancanza di contesto per Eleonora: Sebbene Antonio sia ben caratterizzato attraverso i suoi ricordi e pensieri, Eleonora rimane una figura più sfuggente. La sua storia personale, accennata solo brevemente, potrebbe essere approfondita per dare maggiore spessore al suo ruolo nella narrazione.
  • Rischio di sentimentalismo: In alcuni passaggi, come il finale con il bacio e la scatola di legno, il racconto sfiora il rischio di cadere in un sentimentalismo eccessivo. Tuttavia, l’autore riesce a mantenere un tono sobrio, evitando di scivolare nel melodramma.
  • Linearità narrativa: La struttura lineare, pur efficace, potrebbe risultare prevedibile per alcuni lettori, specialmente nella progressione verso il ritorno alla casa d’infanzia, che segue uno schema narrativo tradizionale di confronto con il passato.
Confronto con altri autori


Il racconto richiama autori come Cesare Pavese o Natalia Ginzburg per il modo in cui esplora la solitudine e il rapporto con il passato attraverso un linguaggio essenziale e immagini legate alla natura (il mare, il vento).
La galleria d’arte come spazio di riflessione ricorda le ambientazioni di certi racconti di Kafka, dove luoghi apparentemente ordinari diventano scenari per interrogativi esistenziali.
L’uso del dialogo essenziale e carico di significato evoca, invece, il minimalismo di Raymond Carver, con la sua attenzione alle connessioni umane fragili ma profonde.


Conclusione


Spazi Vuoti è un racconto che colpisce per la sua capacità di trasformare un’esperienza personale in una riflessione universale sul superamento dei propri limiti interiori. Attraverso una prosa evocativa e un simbolismo ben calibrato, l’autore esplora il tema della solitudine, della paura e della possibilità di redenzione attraverso la connessione umana.
La galleria d’arte, il quadro e la scatola di legno diventano dispositivi narrativi che amplificano il significato della storia, mentre la relazione tra Antonio ed Eleonora offre un’immagine di speranza discreta ma potente.
Nonostante qualche limite, come la caratterizzazione parziale di Eleonora, il racconto riesce a toccare corde profonde, lasciando il lettore con un senso di catarsi e la consapevolezza che i muri, per quanto alti, possono essere attraversati, soprattutto se non si è soli.
Un’opera che, nella sua semplicità, dimostra la forza della narrativa breve nel raccontare l’umano con delicatezza e verità.

A si biri amigu meu (y)

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Ma grazie  davvero @Nightafter  :)
Caspiterina che analisi.

Che commentone! :) Mi hai superato di molto in alcuni miei commenti del passato e del presente.
Nightafter wrote: Rischio di sentimentalismo: In alcuni passaggi, come il finale con il bacio e la scatola di legno, il racconto sfiora il rischio di cadere in un sentimentalismo eccessivo. Tuttavia, l’autore riesce a mantenere un tono sobrio, evitando di scivolare nel melodramma.
Non aver paura: non cadrò mai in un sentimentalismo eccessivo. Per me descrivere che un uomo e una donna si baciano è già troppo.  Magari sarò eccessivo in altre cose, di sicuro, ma non in queste.  L'influenza della cattolicissima Spagna (di una volta)  che è rimasta da noi per quattrocento anni, permea ancora il mio mondo.

A si biri amigu meu  (y)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Grazie @Poeta Zaza

Sì, una storia d'amore. Dopo una ricerca dei protagonisti, alla fine lo è.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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@Alberto Tosciri 
Stile asciutto e preciso, denso di descrizioni. L'incontro di due solitudini è ben descritto, con Eleonora (nome che evoca la storia) che prende per mano Antonio e lo induce a superare il proprio passato. 
Forse è tutto troppo facile, sia per lui che per lei: incontrarsi, intendersi, risolversi e risolvere.
Ma forse involontariamente qull'Eleonora mi fa capire molto e mi induce altre riflessioni. Non è solo un incontro, ma anche un ritorno. I luoghi, la casa. Avrei messo più l'accento su quello. 
Uno dei migliori racconti in gara. 
Sempre un piacere leggerti. 

Re: [MI 187] Oltre i nostri confini

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Ciao @Simona M. e grazie delle tue belle parole.
Hai ragione: potevo dire qualcosa di più, approfondire. Ma da un po' di tempo cerco di semplificare, assumere un tono minimalista. Per istinto ho invece la tendenza a dilungarmi, mi piacciono i barocchismi, specie in argomenti che mi vanno a genio e mi sembra talvolta di scrivere cose belle. Ma con il tempo una cosa ho imparato, anche a mie spese: in quello che scriviamo, sono proprio le cose che a noi sembrano più belle, che dobbiamo tagliare per prime.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

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