[CPQ 25] Cambiamenti
"La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo."
Basta così. Vi piacerebbe leggerlo tutto, a turno? Due teste dagli occhi scintillanti annuiscono.
Vanno avanti per un capitolo, coinvolti nella trama.
Ma il tempo corre, e il signor Arrigo chiude il libro e spiega:
"Durante il terribile uragano che imperversò sul Pacifico dal 18 al 26 marzo del 1865, e che devastò foreste, città, spiagge, lungo le coste d’America, d’Asia e d’Europa, un pallone si librava in balìa del ciclone, sopra la vastità tempestosa del Pacifico.
Pareva una festuca, sbattuto spaventosamente da ogni banda, in balìa d’una tromba d’acqua marina turbinosa.
Una leggera navicella di vimini pendeva dalla sua appendice inferiore e recava a bordo cinque passeggeri, le cui vite oramai potevano dirsi perdute.
— Il mare è sotto di noi!
— Il mare! il mare! a non più di duecento piedi!
— Giù la zavorra!
— Presto!
— Il pallone si risolleva?
— No!
— Sì!
— Buttate giù tutta la zavorra e che Dio ci guardi!"
Rinascita
In un mondo statico, la vita scorre lenta,
Tra le pieghe del tempo, la speranza si smorza,
Difficile è vedere oltre la polvere densa,
Quando il presente si aggrappa al passato con forza.
Ma nel cuore di ogni notte, un barlume risplende,
Come stella solitaria nel cielo della mente,
E mentre il vento sussurra, il destino si prende,
Le sfide dell'oblio, l'anima si fa corrente.
Difficile che le cose cambino, è vero,
Ma nell'oscuro labirinto, la via si fa chiaro,
Basta un seme di sogno, per far fiorire il desiderio,
E nella danza dell'incerto, il cambiamento è mistero.
Così nell'ombra dell'incertezza, ci si perde e si ritrova,
Tra le pieghe del destino, si tessono nuove trame,
Difficile che le cose cambino, ma la vita si rinnova,
E nell'eterna danza dell'esistenza, nulla resta uguale.
James Green
In un mondo statico, la vita scorre lenta,
Tra le pieghe del tempo, la speranza si smorza,
Difficile è vedere oltre la polvere densa,
Quando il presente si aggrappa al passato con forza.
Ma nel cuore di ogni notte, un barlume risplende,
Come stella solitaria nel cielo della mente,
E mentre il vento sussurra, il destino si prende,
Le sfide dell'oblio, l'anima si fa corrente.
Difficile che le cose cambino, è vero,
Ma nell'oscuro labirinto, la via si fa chiaro,
Basta un seme di sogno, per far fiorire il desiderio,
E nella danza dell'incerto, il cambiamento è mistero.
Così nell'ombra dell'incertezza, ci si perde e si ritrova,
Tra le pieghe del destino, si tessono nuove trame,
Difficile che le cose cambino, ma la vita si rinnova,
E nell'eterna danza dell'esistenza, nulla resta uguale.
James Green
"Vai a lavorare! Mica credi che ti teniamo gratis, eh?"
La voce di zia Carla, la sorella del padre, gli risuonava monocorde e crudele nella mente, ripetuta ogni giorno dalla data della morte dei genitori. Ed erano mesi, ormai.
Giorgio aveva dovuto smettere di andare a scuola, dove frequentava la quinta, e lavorare duramente nella fattoria degli zii che lo avevano accolto, ammirati per questo dalla comunità rurale del paese. Lui era uno dei tanti orfani di guerra (per il padre) e della povertà (per la madre morta di parto col fratellino di Giorgio).
Pur nella sua limitata esperienza, il ragazzo sentiva l'ingiustizia di non poter studiare e giocare, frequentare i suoi coetanei. Rimpiangeva l'amore di una famiglia che aveva perso di colpo, per essere catapultato in un'altra che vantava solo legami di sangue vicini ma freddi: di più, lo sfruttavano al lavoro sino a farlo crollare, in cambio di una minestra e un pezzo di pane. Non era il loro caro nipote, come lo presentavano agli altri.
Così aveva deciso di scappare: da solo, perché non aveva amici nelle sue condizioni, anzi, non ne aveva più perché non usciva dalla fattoria.
Nella notte, abbracciato a un fascio di paglia, umida delle sue lacrime, si era poi assopito, vinto dalla fatica del giorno e del tempo, nel fienile in cui aveva trovato riparo la prima sera. Aveva sognato la mamma che lo teneva dolce tra le braccia e lo accarezzava.
Il mattino seguente, rinfrancato, aveva ripreso il cammino verso sud, una direzione scelta per andare nel clima più caldo, dove almeno avrebbe avuto almeno il sole per scaldarsi, dato il niente che possedeva.
Seguiva, quel mattino, lo stesso torrente che gli dava acqua fresca dalla partenza, le sponde su cui crescevano alberi da frutto che gli riempivano la pancia, quando vide un ragazzo aggrappato a un masso che si lamentava. Era caduto malamente mentre attraversava in orizzontale le sponde, e non riusciva a rimettersi in piedi. "Ti aiuto io" gli aveva gridato, mentre si guardava intorno a cercare un bastone, un ramo, una corda.
Con una liana legata al tronco di un albero e come cintura, si era immerso con l'acqua alle cosce e aveva raggiunto il ragazzo in difficoltà. Lo aveva liberato da un masso sulle gambe.
Teresio sta scappando anche lui da una vita grama peggio della sua. Ha dodici anni come Giorgio, ma è più alto e muscoloso. Lasciato in un orfanotrofio all'età di un anno circa, crescendo, le suore lo hanno via via "affittato" alle aziende agricole del posto, dove, nel periodo estivo, riceve anche vitto e alloggio. Ma quella vita gli va stretta, e la voglia di avventura ha prevalso.
Mentre camminano, si riconoscono, da subito sulla stessa onda di pensieri: le loro solitudini vanno d'accordo.
Si trovano a costeggiare un muretto che fa da recenzione a una villa circondata da prati con alberi da frutta. Adocchiano delle pere e si arrampicano, tramite le fessure nelle pareti del muretto, sino in cima. Da seduti comodi, spiccano una pera dal ramo e la consumano sul posto.
"Non ci sono cani da guardia" fa notare Teresio.
" La casa è abitata, però" replica Giorgio, che indica una finestra aperta al primo piano.
"Il padrone deve essere buono, visto che non ha messo i vetri qui in cima ai muretti".
Nello stesso momento, proprio da quella si affaccia un uomo calvo, con barbetta grigia e occhiali, appoggiato a un bastone:
"Volete guadagnarvi un pasto più ricco? Scendete da lì e aspettate che vi apro".
I due saltano dal muretto e in un attimo sono davanti alla porta della villa. Non ricca all'apparenza, ma ben tenuta, come vedono anche entrando, ricevuti dal proprietario, presentatosi come Attilio Barra, storico di professione.
Il divano dove li fa accomodare il padrone di casa è di pelle, ricoperto da un copridivano di stoffa azzurra, in un salone-libreria le cui pareti sono tappezzate di libri, su mensole a muro o in scaffali di legno. Ovunque volgano lo sguardo, libri: libri vissuti, sfogliati più volte perché amati.
Arriva una signora che si presenta come Anna, e li accompagna in cucina dove offre loro una tazza di latte con due fette biscottate e un grande sorriso.
Il signor Barra si appoggia alla credenza e, mentre mangiano, felici dell'inaspettato dono, racconta di sé ai ragazzi che gli hanno fatto una buona impressione.
Lui ha insegnato nelle scuole superiori, poi si è dedicato alla pubblicazione di saggi storici: "Roba noiosa" ride strizzando l'occhio.
Da qualche anno, ha un problema alla vista che gli impedisce, di fatto, di dedicarsi alle sue passioni letterarie, o anche semplicemente di leggere.
"Purtroppo" spiega meglio "andrà sempre peggio, finché diventerò cieco, immagino.
Giorgio e Teresio lo guardano tristi mentre finiscono il pasto.
La signora Anna sorride ai loro ringraziamenti, mentre il signor Arrigo li riaccompagna nel salone, dove troneggia un mappamondo tra i libri.
Lui domanda ai ragazzi che scuole hanno fatto e se a loro piaccia leggere.
"Io andavo bene a scuola, finché sono stato costretto a smettere in quinta: a parte quelli di scuola, libri da leggere in casa non ne ho mai avuto, ma mi piacciono tanto le storie e so che ce ne sono di belle!" dice Giorgio.
"Io sono stato cresciuto dalle suore (mai piaciute) che mi hanno insegnato a leggere e a scrivere e a fare di conto fino in terza, e poi hanno cominciato a mandarmi a lavorare nelle fattorie: me la cavo a leggere perché ci sono i manifesti sui muri e così non perdo l'abitudine e me la cavo." risponde Teresio.
"Parlatemi meglio di voi" chiede il padrone di casa con un sorriso. Messi a loro agio in quella confortevole casa, di fronte alla benevolenza dell'uomo, a turno Giorgio e Teresio si raccontano, e coi gesti, con le espressioni del viso, con gli occhi umidi, esce dai loro cuori la tristezza di una vita difficile, ma anche la voglia di riscatto e di avventura che li ha accomunati in una diversa fuga che li ha portati entrambi in quella casa, quella mattina.
Il signor Attilio si alza e va a cercare tra i libri del settore "Avventura".
Torna con "La tigre di Mompracem" di Salgari, e indica ai ragazzi di portargli il mappamondo girevole e con le ruote.
"Dov'è la nostra Italia? In che continente? Bene. Adesso l'Asia... Sì... l'India sembra un triangolo, hai ragione, Giorgio. Sotto l'India, qui, nel mar della Malesia, ci sono tante isole: quella che ci interessa qui è solo un puntolino, l'isola del Borneo. Qui vicino, fra tante piccole isole vere, lo scrittore Salgari si è inventato l'isola di Mompracem, un covo di pirati dove si svolge questa avventura, a metà del 1800.
Leggi, Giorgio.""La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo."
Basta così. Vi piacerebbe leggerlo tutto, a turno? Due teste dagli occhi scintillanti annuiscono.
Vanno avanti per un capitolo, coinvolti nella trama.
Ma il tempo corre, e il signor Arrigo chiude il libro e spiega:
"Posso offrirvi un patto: io vi faccio conoscere tante grandi storie di avventure e ci guadagno il piacere di riviverle. Come vi ho spiegato, la mia vista sta calando e il piacere della lettura diventa ogni giorno più difficile da raggiungere".
I due giovani applaudono dal piacere, ma sono anche timorosi:
"E gli zii? Prenderò cinghiate e punizioni" fa Giorgio
"Le suore mi staranno cercando da due giorni e mi aspettano solo guai..."
Intanto, parlerò con le tue suore, Teresio, e coi tuoi zii, Giorgio, per vedere se posso aiutarvi a farvi trattare meglio e a finire gli studi fino alla sesta."
Intanto, parlerò con le tue suore, Teresio, e coi tuoi zii, Giorgio, per vedere se posso aiutarvi a farvi trattare meglio e a finire gli studi fino alla sesta."
I due ragazzi sono entusiasti della doppia offerta. Il signor Attilio, addirittura, li riporta col suo calesse, guidato dal suo fac totum Geremia, il marito di Anna, alle loro rispettive destinazioni in due paesi vicini al suo, fermandosi appunto il tempo necessario a presentarsi e a concordare un appuntamento per la causa dei suoi amici.
E fu così che, qualche tempo dopo, si poteva udire riecheggiare dal frutteto quest'altro uragano, in quest'altro incipit.
"Durante il terribile uragano che imperversò sul Pacifico dal 18 al 26 marzo del 1865, e che devastò foreste, città, spiagge, lungo le coste d’America, d’Asia e d’Europa, un pallone si librava in balìa del ciclone, sopra la vastità tempestosa del Pacifico.
Pareva una festuca, sbattuto spaventosamente da ogni banda, in balìa d’una tromba d’acqua marina turbinosa.
Una leggera navicella di vimini pendeva dalla sua appendice inferiore e recava a bordo cinque passeggeri, le cui vite oramai potevano dirsi perdute.
— Il mare è sotto di noi!
— Il mare! il mare! a non più di duecento piedi!
— Giù la zavorra!
— Presto!
— Il pallone si risolleva?
— No!
— Sì!
— Buttate giù tutta la zavorra e che Dio ci guardi!"
letto nell'alternarsi di due giovani voci sicure e appassionate.
spoiler
Jules Verne - L'isola misteriosa