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Traccia di mezzogiorno
Il Menstron, il dottor Carciuf e il signor Barb
[align]Il dottor Carciuf si fermò nonappena fu in grado di scorgere nella nebbia sottile il muro sconfinato che chiudeva la via più in fondo. Con un sospiro sconsolato, estrasse dalla tasca una penna e un foglio e vi tracciò una linea perpendicolare a via Verdi, che aveva disegnato mezz’ora prima: anche via dei Pomi: esplorata.
Tornò su via Verdi deciso a perlustrarne le infinite traverse, quand’ecco spuntare da dietro un edificio i fratelli Zucchin urlando. Carciuf sobbalzò. “Si è spaventato il dottore!” fece uno sghignazzando.
“Cosa ci fa uno così brutto qui da noi? Sembri un alieno.” infierì l’altro.
“Già, perché non te ne torni da dove sei venuto?”
Piccoli idioti. Erano proprio loro il motivo per cui non se ne poteva andare da lì, loro e tutti gli altri che non volevano dirgli come uscire da quella stramaledetta città. Dove può arrivare la crudeltà umana…
Era giunto su Menstron a tredici anni dopo il naufragio della nave con cui, dall’Egitto, la sua famiglia cercava di raggiungere la Grecia e poi suo padre nella cittadina di Flan, in Francia. Per i primi anni, sua madre aveva cercato la spiaggia su cui erano approdati per tornare indietro, ma quando ogni sforzo si era reso vano, la buon’anima si era arresa all’inesorabile destino: aveva fatto istruire i figli su quella strana isola formata da una profonda depressione del terreno in mezzo al mare e da una più profonda depressione dei cuori dei suoi abitanti. E Carciuf, alla fine, nonostante le vessazioni, era diventato un medico prestigioso: l’epatologo che aveva salvato così tante vite. Ma le cattiverie non erano cessate. Per questo continuava a cercare la strada per il mare, perlustrando giorno dopo giorno le infinite e interminabili vie. Perchè il mare c’era, quanto è vero Allah, altrimenti da dove arrivavano le inondazioni che funestavano l’isola?
Fu quel giorno, mentre attraversava pigramente l’incrocio con via Porro Lambertenghi, che sentì qualcosa scattare dentro di sè. La signora Cepa era affacciata al balcone al secondo piano: “Dottor Ciccione, non ti vogliamo qui, quand’è che te ne vai!” Se c’era qualcuno in grado di farti piangere, quella era proprio la signora Cepa. E infatti Carciuf corse in un vicolo e scoppiò a piangere come un bambino, accucciato a terra, la fronte premuta contro la roccia vitrea dell’isola, senza nemmeno la forza di pregare.
“Psss.” Una voce dall’interno, flebile, sinuosa. “Perché non la smetti di piangere?”
“Cosa?” era troppo stanco persino per aver paura. “Chi sei? Dove sei?”
“Sono proprio qui!” Carciuf sobbalzò, si trascino a sedersi contro il muro.
“Non è divertente!” chiamò il dottore, “uscite allo scoperto!”
“Ma sono proprio qui dentro di te, mio caro sciocco dottore. Anzi, sono te” fece sempre più suadente la voce.
“C-cosa...?”
“Ma lascia che mi presenti: sono il signor Barb, il tuo coinquilino, e ho deciso che io e te abbiamo finito di soffrire.”
“Ma di cosa diavolo parli!” sbottò Carciuf portandosi le mani alla testa.
“Questa gente di Menstron… Li abbiamo accettati, perdonati, curati. Ed è così che ci ripagano?” Carciuf ascoltava lasciandosi trascinare dalle spire di quelle verità inoppugnabili. Ci fu una pausa prima dell’orrore: “Devono morire, dottore, devono morire tutti.”
Carciuf lanciò un urlo: “Io? Un medico… uccidere?” Si infilò entrambe le mani nel petto e ne strappò con tutte le forze la vecchia, nera, marcia barba. Perché è la barba il cuore dei carciofi.
Il dottore gettò il signor Barb a terra, ma quello si rialzò subito, mentre il nostro già prendeva a scappare. “Puoi strapparmi via,” gli gridò Barb rincorrendolo, “puoi scappare quanto vuoi, ma alla fine ricrescerò sempre dentro di te”.
“Va’ via, lasciami in pace!”
“Sono parte di te, tu questo lo sai”.
Carciuf svoltò a sinistra in via Cornetti, e poi a destra in viale degli Oranges. Ma proprio all’incrocio, nella frenesia della fuga, andò a scontrare nel crocchio del signor Carot, della signora Zucc e di Cavol Black. Caddero tutti e quattro a terra, Carciuf non chiese nemmeno scusa, si rialzò e… il signor Barb si parò davanti a lui in tutto il suo orrore: dalla massa informe e filamentosa spuntavano solo pochi peli ancora grigiastri, tutto il resto era putridume.
“Ma tu… tu sei cornuto!” esclamò il dottore in lacrime, puntando un dito verso le due grosse corna di barba che sporgevano ai lati della testa della creatura.
Una risata malefica si propagò dalla fessura distorta in mezzo al pelame. “Io ho le mie corna, tu le tue spine: facciamoli tutti a pezzi, dottore... una strage, a partire da loro!” Il dottor Barb si gettò sul signor Carot, ributtandolo a terra: “In nome di Allah!” Poi si avventò su Carciuf inorridito, impadronendosi di lui, quando ad un tratto la più spaventosa inondazione che si fosse mai vista si abbattè su Menstron.
Case e alberi furono sradicati, zucche e fagioli vorticavano ovunque lungo gli immani muri d’acqua. “Siamo al centro di un maelstrom…” gridava qualcuno.
“Cosa? Lo so che siamo su Menstron” rispondeva qualcun altro.
Ma il signor Barb era sempre lì, attaccato alle calcagna del dottor Carciuf, come aveva promesso.
“Infermiere al-Buf in sala quattro,” chiamò la voce al microfono. Smisi per un attimo di mangiare il minestrone, poi decisi di non rispondere all’annuncio. Con un sorriso amaro, mi compiacqui della mia sfrenata immaginazione e della mia vena di bambino anche nella tragedia della mia vita. Ero giunto a Milano nel 2013, a sedici anni, in fuga da Aleppo, la mia città natale. Gli orrori della guerra siriana mi avevano instillato il desiderio di curare, così, finita quell’atrocità che è la scuola in Italia per uno straniero tracagnotto, mi ero iscritto ad infermieristica. Solo per finire, a ventiquattro anni, a vivere in un monolocale in affitto, e a consumare la pausa pranzo da solo in un buio sgabuzzino, pur di sfuggire alle battute dei colleghi che sghignazzavano nell’area relax all’estremo opposto del reparto.
“Infermiere al-Buf in sala quattro!” Per un momento, mi parve la voce di Irene. Il mio grande amore inconfessato, l’unica dottoressa che mi era stata amica, l’unica che conosceva la mia storia e il mio cuore. Irene che era morta in un’incidente stradale una sera mentre tornava dal lavoro. “Come finisce la storia, Faruq?” mi avrebbe sussurrato la sua voce dolce, sensibile, e insieme severa. “Come finisce?”
Molte ore dopo, quando il mare rifluì, Carciuf stava quasi per cedere alla sua metà oscura. “Perché non mi lasci?” implorò pigramente. “Voglio solo tornare a casa, in Egitto”.
“Tu sai cosa vuoi davvero, dottore. Vuoi uccidere.”
“Carciuf…” intervenne una voce dolce di donna. La giovane si palesò in tutta la sua bellezza in mezzo alle rovine dell’isola.
“Ma… chi sei?” chiese il dottore estasiato. Sentiva che quella donna bellissima era come lui, che poteva capirlo, entrargli nelle vene. Cioè, nella linfa.
“Mi chiamo Carda Mariana, sono il tuo angelo custode” disse sorridendo. “Accettalo, Carciuf, accetta il tuo cuore, portalo con te. È parte di te.”
“Ma io non voglio… non voglio essere questo.”
“Sì, dottore,” disse la voce suadente di Barb dall'interno, “portami con te.”
“Ascolta il tuo cuore, persino le sue parti più dolorose, più ferite… solo così uscirai da questo labirinto.”
“Ma io non so affatto come uscire di qua!” sbottò in lacrime.
“Oh, ma lo sai: non cercare la via per tornare indietro: è avanti che devi andare.” Lo accarezzò con la corolla purpurea. “Lo so che perdonare non basta: il male che ti hanno fatto lo porterai sempre dentro. Ma se ascolti il tuo dolore e vai avanti, e continui a essere chi sei, a fare il bene che sai, ti prometto che sarai felice.”
Fu allora che compresi cosa mi aveva donato un meraviglioso angelo di nome Irene. Feci scorrere un’ultima volta il dito sul lungo e affilato punteruolo che avevo estratto dalla tasca dell’uniforme, guardai il sacco della pattumiera lì accanto, poi riposi l’arma nello zaino. L’avrei portata con me, come avrei portato con me un signor Barb. Stavo piangendo. “In nome di Allah,” sussurrai.
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Re: [MI145 - Fuori concorso] Il Menstron, il dottor Carciuf e il signor Barb
2Ciao @AquilaGialla
Abbiamo scritto i nostri fuoriconcorso e in tutti e due c'è un Angelo custode.
Il labirinto è dentro ognuno di noi, ci vuole tanto coraggio, astuzia e amore per venirne fuori.
Il tuo racconto è molto bello, profondo.
È stato un piacere leggerlo.
Abbiamo scritto i nostri fuoriconcorso e in tutti e due c'è un Angelo custode.
Il labirinto è dentro ognuno di noi, ci vuole tanto coraggio, astuzia e amore per venirne fuori.
Il tuo racconto è molto bello, profondo.
È stato un piacere leggerlo.
Re: [MI145 - Fuori concorso] Il Menstron, il dottor Carciuf e il signor Barb
3“Ascolta il tuo cuore, persino le sue parti più dolorose, più ferite… solo così uscirai da questo labirinto.”
“ non cercare la via per tornare indietro: è avanti che devi andare.” Lo accarezzò con la corolla purpurea. “Lo so che perdonare non basta: il male che ti hanno fatto lo porterai sempre dentro. Ma se ascolti il tuo dolore e vai avanti, e continui a essere chi sei, a fare il bene che sai, ti prometto che sarai felice.Bello il succo del racconto! Mi è piaciuto tanto!
Lieta di conoscere la tua penna, @AquilaGialla

Re: [MI145 - Fuori concorso] Il Menstron, il dottor Carciuf e il signor Barb
4AquilaGialla wrote: Tue Feb 23, 2021 12:09 am Commento: viewtopic.php?p=9290#p9290A parte i piccoli appunti, la tua scrittura è molto gradevole. Un racconto che parla di come un angelo si trasformi in coscienza (o viceversa). Gli angeli esistono e sono la nostra guida morale.
Traccia di mezzogiorno
Il Menstron, il dottor Carciuf e il signor Barb
[align]Il dottor Carciuf si fermò nonappena (refuso: non appena) fu in grado di scorgere nella nebbia sottile ( virgola) il muro sconfinato che chiudeva la via più in fondo. Con un sospiro sconsolato, estrasse dalla tasca una penna e un foglio e vi tracciò una linea perpendicolare a via Verdi, che aveva disegnato mezz’ora prima: anche via dei Pomi: esplorata.
Tornò su via Verdi deciso a perlustrarne le infinite traverse, quand’ecco spuntare da dietro un edificio i fratelli Zucchin urlando. Carciuf sobbalzò. “Si è spaventato il dottore!” fece uno ( qui sarebbe meglio specificare uno dei due, oppiure il più giovane dei die, perchè così potrebbe intendersi anche un altro esterno ai frateli) sghignazzando.
“Cosa ci fa uno così brutto qui da noi? Sembri un alieno.” infierì l’altro.
“Già, perché non te ne torni da dove sei venuto?”
Piccoli idioti. Erano proprio loro il motivo per cui non se ne poteva andare da lì, loro e tutti gli altri che non volevano dirgli come uscire da quella stramaledetta città. Dove può arrivare la crudeltà umana…
Era giunto su Menstron a tredici anni dopo il naufragio della nave con cui, dall’Egitto, la sua famiglia cercava di raggiungere la Grecia e poi suo padre nella cittadina di Flan, in Francia. Per i primi anni, sua madre aveva cercato la spiaggia su cui erano approdati per tornare indietro, ma quando ogni sforzo si era reso vano, la buon’anima si era arresa all’inesorabile destino: aveva fatto istruire i figli su quella strana isola formata da una profonda depressione del terreno in mezzo al mare e da una più profonda depressione dei cuori dei suoi abitanti (bella espressione, mi piace). E Carciuf, alla fine, nonostante le vessazioni, era diventato un medico prestigioso: l’epatologo che aveva salvato così tante vite. Ma le cattiverie non erano cessate. Per questo continuava a cercare la strada per il mare, perlustrando giorno dopo giorno le infinite e interminabili vie. Perchè il mare c’era, quanto è vero Allah, altrimenti da dove arrivavano le inondazioni che funestavano l’isola?
Fu quel giorno, mentre attraversava pigramente l’incrocio con via Porro Lambertenghi, che sentì qualcosa scattare dentro di sè. ( qui devi andare a capo perché introduci un altro personaggio) La signora Cepa era affacciata al balcone al secondo piano: “Dottor Ciccione, non ti vogliamo qui, quand’è che te ne vai!” Se c’era qualcuno in grado di farti piangere, quella era proprio la signora Cepa. (anche qui, a capo) E infatti Carciuf corse in un vicolo e scoppiò a piangere come un bambino, accucciato a terra, la fronte premuta contro la roccia vitrea dell’isola, senza nemmeno la forza di pregare.
“Psss.” Una voce dall’interno, flebile, sinuosa. “Perché non la smetti di piangere?”
“Cosa?” era troppo stanco persino per aver paura. “Chi sei? Dove sei?”
“Sono proprio qui!” (pure qua, a capo e continui con la battuta di dialogo) Carciuf sobbalzò, si trascino a sedersi contro il muro.
“Non è divertente!” chiamò il dottore, “uscite allo scoperto!”
“Ma sono proprio qui dentro di te, mio caro sciocco dottore. Anzi, sono te” fece sempre più suadente la voce.
“C-cosa...?”
“Ma lascia che mi presenti: sono il signor Barb, il tuo coinquilino, e ho deciso che io e te abbiamo finito di soffrire.”
“Ma di cosa diavolo parli!” sbottò Carciuf portandosi le mani alla testa.
“Questa gente di Menstron… Li abbiamo accettati, perdonati, curati. Ed è così che ci ripagano?” ( a capo) Carciuf ascoltava lasciandosi trascinare dalle spire di quelle verità inoppugnabili. (a capo) Ci fu una pausa prima dell’orrore: “Devono morire, dottore, devono morire tutti.”
Carciuf lanciò un urlo: “Io? Un medico… uccidere?” Si infilò entrambe le mani nel petto e ne strappò con tutte le forze la vecchia, nera, marcia barba. Perché è la barba il cuore dei carciofi.
Il dottore gettò il signor Barb a terra, ma quello si rialzò subito, mentre il nostro già prendeva a scappare. “Puoi strapparmi via,” gli gridò Barb rincorrendolo, “puoi scappare quanto vuoi, ma alla fine ricrescerò sempre dentro di te”.
“Va’ via, lasciami in pace!”
“Sono parte di te, tu questo lo sai”.
Carciuf svoltò a sinistra in via Cornetti, e poi a destra in viale degli Oranges. Ma proprio all’incrocio, nella frenesia della fuga, andò a scontrare nel crocchio del signor Carot, della signora Zucc e di Cavol Black. Caddero tutti e quattro a terra, Carciuf non chiese nemmeno scusa, si rialzò e… il signor Barb si parò davanti a lui in tutto il suo orrore: dalla massa informe e filamentosa spuntavano solo pochi peli ancora grigiastri, tutto il resto era putridume.
“Ma tu… tu sei cornuto!” esclamò il dottore in lacrime, puntando un dito verso le due grosse corna di barba che sporgevano ai lati della testa della creatura.
Una risata malefica si propagò dalla fessura distorta in mezzo al pelame. “Io ho le mie corna, tu le tue spine: facciamoli tutti a pezzi, dottore... una strage, a partire da loro!” Il dottor Barb si gettò sul signor Carot, ributtandolo a terra: “In nome di Allah!” Poi si avventò su Carciuf inorridito, impadronendosi di lui, quando ad un tratto la più spaventosa inondazione che si fosse mai vista si abbattè su Menstron.
Case e alberi furono sradicati, zucche e fagioli vorticavano ovunque lungo gli immani muri d’acqua. “Siamo al centro di un maelstrom…” gridava qualcuno.
“Cosa? Lo so che siamo su Menstron” rispondeva qualcun altro.
Ma il signor Barb era sempre lì, attaccato alle calcagna del dottor Carciuf, come aveva promesso.
“Infermiere al-Buf in sala quattro,” chiamò la voce al microfono. Smisi per un attimo di mangiare il minestrone, poi decisi di non rispondere all’annuncio. Con un sorriso amaro, mi compiacqui della mia sfrenata immaginazione e della mia vena di bambino anche nella tragedia della mia vita. Ero giunto a Milano nel 2013, a sedici anni, in fuga da Aleppo, la mia città natale. Gli orrori della guerra siriana mi avevano instillato il desiderio di curare, così, finita quell’atrocità che è la scuola in Italia per uno straniero tracagnotto, mi ero iscritto ad infermieristica. Solo per finire, a ventiquattro anni, a vivere in un monolocale in affitto, e a consumare la pausa pranzo da solo in un buio sgabuzzino, pur di sfuggire alle battute dei colleghi che sghignazzavano nell’area relax all’estremo opposto del reparto.
“Infermiere al-Buf in sala quattro!” Per un momento, mi parve la voce di Irene. Il mio grande amore inconfessato, l’unica dottoressa che mi era stata amica, l’unica che conosceva la mia storia e il mio cuore. Irene che era morta in un’incidente stradale una sera mentre tornava dal lavoro. “Come finisce la storia, Faruq?” mi avrebbe sussurrato la sua voce dolce, sensibile, e insieme severa. “Come finisce?”
Molte ore dopo, quando il mare rifluì, Carciuf stava quasi per cedere alla sua metà oscura. “Perché non mi lasci?” implorò pigramente. “Voglio solo tornare a casa, in Egitto”.
“Tu sai cosa vuoi davvero, dottore. Vuoi uccidere.”
“Carciuf…” intervenne una voce dolce di donna. La giovane si palesò in tutta la sua bellezza in mezzo alle rovine dell’isola.
“Ma… chi sei?” chiese il dottore estasiato. Sentiva che quella donna bellissima era come lui, che poteva capirlo, entrargli nelle vene. Cioè, nella linfa.
“Mi chiamo Carda Mariana, sono il tuo angelo custode” disse sorridendo. “Accettalo, Carciuf, accetta il tuo cuore, portalo con te. È parte di te.”
“Ma io non voglio… non voglio essere questo.”
“Sì, dottore,” disse la voce suadente di Barb dall'interno, “portami con te.”
“Ascolta il tuo cuore, persino le sue parti più dolorose, più ferite… solo così uscirai da questo labirinto.”
“Ma io non so affatto come uscire di qua!” sbottò in lacrime.
“Oh, ma lo sai: non cercare la via per tornare indietro: è avanti che devi andare.” Lo accarezzò con la corolla purpurea. “Lo so che perdonare non basta: il male che ti hanno fatto lo porterai sempre dentro. Ma se ascolti il tuo dolore e vai avanti, e continui a essere chi sei, a fare il bene che sai, ti prometto che sarai felice.”
Fu allora che compresi cosa mi aveva donato un meraviglioso angelo di nome Irene. Feci scorrere un’ultima volta il dito sul lungo e affilato punteruolo che avevo estratto dalla tasca dell’uniforme, guardai il sacco della pattumiera lì accanto, poi riposi l’arma nello zaino. L’avrei portata con me, come avrei portato con me un signor Barb. Stavo piangendo. “In nome di Allah,” sussurrai.
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Ti rileggerò volentieri
Re: [MI145 - Fuori concorso] Il Menstron, il dottor Carciuf e il signor Barb
5@Adel J. Pellitteri , @Alba359 , @Poeta Zaza , grazie per i vostri commenti, sono contento che il racconto vi sia piaciuto.
Adel, grazie anche per le correzioni che mi hai suggerito, ne accoglierò molte a testo!
Adel, grazie anche per le correzioni che mi hai suggerito, ne accoglierò molte a testo!