[Lab18] Disvangelo
1Ed ecco la fine del mio peregrinare. Qui, da sopra l’ultimo colle che guarda giù verso la valle, il fiume Giordano scorre docile. Quarant’anni dispersi nel deserto, terra ostile e senza vita, possono diventare un triste ricordo.
Quello che ci era stato promesso è ora sotto i nostri occhi. Il paese dove scorre latte e miele e lì, di fronte a noi, oltre quel fiume. Non sarà difficile attraversarlo, non è il mare morto e profondo che attraversammo per fuggire agli egiziani. Non ci sarà bisogno del braccio potente di Lui.
Non so cosa stia facendo ora, forse riposa, chissà. Non l’ho mai capito di cosa viva, di cosa si nutra e come faccia a vivere in solitudine distaccato da tutto. Ci è stato sempre accanto in questi difficili anni tra le sabbie ostili e sterili. Senza mai presentarsi a nessuno: tranne che a me. Ma non sono mai riuscito a guardarlo in faccia. Il terrore è stato sempre così forte da farmi abbassare lo sguardo alla sua presenza. Annunciata dal movimento leggero dell’aria mentre attraversava il mio corpo come lo spavento per qualcosa di tremendo e impercettibile. Mi è sempre bastata la sua voce per capire il suo stato d’animo. Profonda e tagliente, possente come il rombo del tuono quando ci voleva ammonire e castigare. E non potrei neanche contare le volte che lo fece, adirato e deciso a piegarci alla sua legge. Quella che mi fece scolpire tanti anni fa, appena fuggiti dall’Egitto, costringendoci a vivere di insetti e di speranze. Ma queste non sono mai bastate a soddisfare la mia gente…
Sono diventato vecchio e sazio di giorni. Tra non molto tornerò dai miei padri. Spero di incontrare mia madre, quella che mi abbandonò tra le sponde del Nilo. Non saprei che dirle, non saprei l’effetto nel mio cuore nel vederla assieme a mio padre. Ma sono certo che ne avrei pietà e compassione, amore. Come ho fatto con questo popolo che Lui mi ha messo a governare e che mai sono riuscito a farlo con successo: sono uomini difficili. E per mezzo della sua compassione, quella che lo mosse sin dal principio, che permise a noi di essere ancora una volta annoverati come il suo popolo prediletto. Ma questa protezione dovevamo meritarla e aveva un costo considerevole; niente era dato gratuitamente. Persino questa terra tanto promessa ha avuto un costo per tutti, me compreso.
Mai io questa terra vedrò, così ha deciso Lui, per via del mio cedere nella fede. Una punizione che ho sempre ritenuto ingiusta, in considerazione di una vita di privazioni, condivisa con questa proselite di uomini inclini alla disubbidienza. Quante volte ho discusso con Lui semmai questa legge sarebbe stata utile a istruire della gente umile e dedita al bestiame, alla terra. E Lui, testardo più di me, non ne ha mai voluto discutere. Era così e basta. E io alla fine ho fatto quello che era nelle mie capacità. Ho messo persino in dubbio la sua potenza, nonostante l’avessi conosciuta e vista con i miei stessi occhi.
Che giorni incredibili ho vissuto. Se fossi rimasto nella condizione di figlio della regina avrei avuto una vita diversa. Avrei vissuto nell’agio e lontano dalle sofferenze del popolo di Abramo.
Ma vedere i prodigi di chi con braccio teso ci ha liberati ha valso tutte queste pene. Anche se spesso mi sono ribellato alla sua volontà, pensando, desiderando di non voler più a che fare con loro.
E adesso mi godo questo panorama. Tanti sono già sulla riva del fiume. Esultano tra le acque limpide e ricche di vita. I bambini giocano e le donne lavano le vesti. Alcuni uomini pescano.
Assiso su questo scranno compagno di vita, non posso tenere lontano i ricordi su quando tutto iniziò.
Impossibile dimenticare il fuoco che avvolgeva l’arbusto senza consumarlo e il luogo santo in cui Lui mi parlò per la prima volta. O di quando preannunciai le piaghe al faraone e le vidi realizzarsi.
Il giorno in cui uscimmo dalla terra che ci aveva oppresso carichi di argento e oro. O di quando vidi le acque aprirsi al comando del mio bastone. Fatti maestosi che mai avrei pensato di assistere.
Ma non posso dimenticare gli anni duri del deserto. I lamenti della gente, le loro rivendicazioni che mi toccava presentare a Lui col la paura della sua reazione. L’incisione sulle pietre di quanto mi ordinò di scrivere a riguardo della legge. Ricordo che non fu facile. Salii sul monte dopo giorni di cammino sospinto dal suo richiamo; senza una meta certa, ma sicuro che lo avrei trovato lì ad aspettarmi. Lui mi attendeva accanto al fuoco, oramai verso imbrunire. Mi parlò del suo progetto di darci una legge da rispettare, che avrebbe garantito la giustizia tra la gente. Io gli feci osservare che sarebbe stato difficile dato le inclinazione naturali alla disubbidienza. Forse esagerai pure nel manifestare certi pensieri. Il modo per capire il suo dissenso stava dietro il suo silenzio. E così feci come da Lui ordinato. Trovai con fatica le quattro scaglie di pietra calcarea ricavandole da un blocco. Lo colpì con forza per mezzo di un sasso sino a quando questo si divise a strati. Scelsi le più regolari e levigate e con la punta di un’altra pietra dura, incisi sulla superficie tenera le dieci regole del vivere secondo Lui. Quando le mostrai alla gente avvertii la loro disapprovazione.
Al posto di pane, dimore sicure, terra fertile, questo era ciò che veniva dato loro. Ma non mi meravigliai, d’altronde già immaginavo come avrebbero reagito, considerando la dura condizione del deserto. Spaccai quelle pietre il giorno che li vidi disobbedire alla prima regola, quella di non avere altro Dio all’infuori di Lui. E fui costretto a ripetere l’opera di scrittura dopo che li castigò duramente. Ricavai altre lastre calcaree per incidere nuovamente la legge e la pace ritornò tra di noi. Ma poi sopraggiunsero gli incubi notturni. Mi colpivano nelle notti gelide passate sul monte quando sentivo allontanarsi la sua presenza. Qualcosa di tremendo e spaventoso mi trascinava per luoghi mai visti, tanto fu difficile capire cosa fossero. Nel primo di questi incubi mi trovai come dentro a un immensa città di strani edifici che raggiungevano il cielo. Erano fatti di ferro lucente e splendevano come cristalli di sabbia fusa nella soda. E sopra di questi templi immagini di donne affascinanti come le donne egizie, adorne d’oro e di monili di ogni sorta. Parevano catturarti e ammaliarti con lo sguardo languido. E queste immagini si alternavano ad altre di diversa natura. Uomini vestiti con indumenti mai visti, anche loro come se fossero Dei, impugnare oggetti misteriosi e puntare il dito verso la gente come se volessero imporre la loro volontà. E in mezzo a questi maestosi edifici la gente camminava su pavimenti neri, simili a bitume. Avevano lo sguardo perso nel vuoto e percorrevano su file ordinate il loro andare e venire ai margini di queste strade.
Difficile pure descrivere come fossero vestiti e cosa portassero dentro alle loro strane sacche di pelle lucida. Ma la cosa più che mi sconvolse fu vedere quelle che mi apparvero come delle enormi cavallette. Queste avevano il ventre di ferro e corazze. Avevano un lungo pungiglione da cui usciva un terribile fumo che impregnava l’aria rendendola irrespirabile. Avevano occhi di uomo e aspetto aggressivo. Avevano capelli di donna e portavano scritto effigi misteriose i cui caratteri mai avevo visto. Si muovevano emettendo un rumore come di carri trainati per la battaglia ma senza che la gente si spaventasse. Quando mi svegliai dall’incubo, madido di sudore, Lui stava lì a osservarmi. Mi fu naturale parlargli del sogno fatto che tanto mi aveva sconvolto.
Disse. Un giorno gli umani vivranno in questo modo. Si costruiranno templi simili a quello di Nimrod che io distrussi a Babele. Saranno prepotenti e temerari, orgogliosi e superbi, senza amore e amanti del lusso. Quelle cavallette di ferro dal rumore possente che hai visto, le costruiranno gli uomini per devastare la terra. Le useranno per postarsi nelle loro infernali città, costruite a loro origine e somiglianza.
Ascoltato che ebbi la spiegazione, chiesi a Lui in quale terra mai questo sarebbe successo: il suo silenzio mi bastò per capire.
Il secondo degli incubi non fu meno terribile. Ero salito come al solito sul monte per cercare pace.
Oberato dal duro compito ricevuto di pascere il popolo, cercavo a volte di esserne esonerato da Lui.
Ma il mio vacillare finiva sempre per trasformarsi in sentimento di colpa. E così, verso sera, accanto al fuoco, mi assopii e mi trovai trasportato in cielo. Là vidi come degli uccelli possenti simili a gabbiani lasciare al loro passaggio una linea sottile bianca. Ma quando fui vicino a loro, mi resi conto che erano di ferro e si muovevano nell’alto dei cieli a una velocità miriade di volte superiore a quella del leopardo. Questi uccelli volavano emettendo un rumore assordante, ancora più forte di quello delle cavallette che avevo sognato. Poi vidi anche altri strani oggetti. Mi parvero come simili a enormi frecce dalla punta affilata. Queste trafiggevano l’aria alla velocità della folgore, e il fuoco stesso le sospingeva. E poi vidi che vi fu una guerra in cielo e un esercito assediare la luna. Ma vidi che questo esercito veniva sbaragliato dagli angeli del cielo e fatto ricadere sulla terra. Vidi come un enorme serpente strisciante, anch’esso fatto di ferro e fuoco, divorare gli esseri umani. Ma anche questo incubo cessò e mi svegliai, sempre con Lui intento a osservarmi. Immaginai da subito che mi avrebbe dato la spiegazione di quanto avevo visto. Verranno giorni, mi disse, in cui la superbia degli uomini raggiungerà la soglia di voler conquistare il cielo e quanto è in mio possesso. Ma non prevarranno e la loro insana sete di potere ricadrà sui popoli che ne subiranno le conseguenze.
E fu che io chiesi in quale terra sarebbe mai successo questo; e ancora il suo eloquente silenzio mise fine alla discussione. Fu così anche quando mi assopii ancora una volta e sognai. Questa volta non vidi animali strani, fatti grandiosi e terribili. Ma rimasi lo stesso sorpreso e dubbioso. Mi trovai come in una grande piazza. Ai lati di questa la gente. Era come se i popoli fossero stati divisi con la precisione della lama di un coltello. Nel centro rimasto deserto, una specie di enorme porta di pietra sopra cui una quadriga di cavalli veniva condotta da una donna alata.
Nessuno poteva passare per la porta e due uomini vestiti di lino ne negavano l’accesso. Avevano un aspetto terribile e incutevano il terrore a tutti i popoli assiepati ai bordi della piazza. Erano intenti a dividersi il mondo e minacciavano di distruggerlo. Poi vidi che qualcuno andò incontro a loro e li uccise. Vidi le urla festanti della gente a causa della morte dei due uomini vestiti di lino e tutti quanti i popoli invadere la piazza. Ma mentre facevano festa, i due uomini ripresero vita e si rialzarono in piedi scatenando il terrore tra la gente. Poi salirono verso il cielo e sparirono per sempre.
Quando mi svegliai Lui mi disse che i due uomini che avevo visto, li avrebbe mandati lui come testimoni di una epoca dove le pretese di potere si sarebbero scontrate con le forze del bene. Avrebbero diviso il mondo a metà terrorizzandolo per quarant’anni, minacciando di distruggerlo assieme a tutti gli abitanti della terra. Poi, alla fine del loro compito assegnato, i popoli avrebbero sperato inutilmente di vivere in pace.
Dopo la sua spiegazione, che non capii nella sostanza, gli domandai cosa ancora avessi dovuto vedere di tanto terribile. Questa notte sognerai ancora, mi disse: per l’ultima volta.
E ancora il sonno mi prese, ancora una volta trasportato dove mai ero stato nel mio infinito vagare.
E mi trovai a percorrere strade di pietra, simile a quelle che ben conoscevo. Stavo dietro a tanta gente agitata che pareva del mio popolo. C’erano donne in lacrime e uomini che imprecavano, altri invece ridevano e schernivano qualcuno: non so chi. Per questo mi affrettai a raggiungere la cima di questo corteo vociferante e quando fui arrivato, vidi un uomo con le vesti insanguinate, una corona di spine sul capo, a stento trascinava un pesante legno fatto da due travi incrociate e, dietro a lui, uno che sembrava un soldato frustarlo per farlo camminare. Quest’uomo per diverse volte si piegò sulle ginocchia dallo sforzo, e alla fine del tragitto, arrivati su di un colle, fu spogliato e inchiodato a questo legno e lasciato morire. Ma poi, lo vidi riprendere vita e anche lui salire in cielo, così come era stato per i due testimoni vestiti di lino.
Finirono così gli incubi, come annunciato da Lui. La spiegazione di quello che vidi non mi ha mai lasciato e a distanza di tanti anni, mi appare ancora pesare nell’anima mia come un macigno. Cosa attende questa povera umanità? É questo l’unico pensiero che mi tormenta anche se, secondo quello che Lui mi disse al risveglio, a riguardo l’uomo inchiodato al legno, ci sarebbe da gioire. Manderò mio figlio ad annunciare la buona novella e i popoli spereranno in lui. Vincerà la morte e dimostrerà che è possibile ritornare a vivere. Annuncerà un regno eterno di pace e giustizia tra i popoli e la condivisione dell’universo e di quanto è di mia proprietà. Parole sue. Vivere in pace con il popolo egiziano? Mi domando. Nessun faraone a ordinare e schiavizzare? Ma io guardando con gli occhi stanchi della vecchiaia a quel giorno glorioso, non posso che pensare che dovrò aspettare tanto nella tomba, prima di vedere il mondo sconvolto visto nelle mie visioni, quel mondo messo a dura prova, in perenne conflitto, nelle mani del male di pochi uomini. Penso con amaro al senso della legge che ho cercato di inculcare nei cuori del mio popolo che spesso dovrà vacillare. E quante volte Lui ha dovuto riprenderci tra le sue cure, come la chioccia fa con i suoi pulcini. Questo sarà sempre così, questo mi è stato fatto capire. Io continuo a pensare allo scopo della legge e come essa agisca negli uomini. Lui mi disse che sarebbero arrivati tempi in cui gli uomini ne scriveranno a migliaia per soggiogare le genti. Sorrido pensando a quelle sole dieci righe che incisi sulle scaglie calcaree, consumandomi le unghie pure. Penso alla buona novella che l’uomo sulla croce verrà a divulgare ma che assieme al buono porterà tempi di grande tribolazione. Una buona novella che serba anche un inquietante futuro per l’umanità.
Ecco, sento che la stanchezza si sta facendo sentire. Bello morire con la dolce melodia del fiume Giordano che scorre. Dolce morire ascoltando la gioia di tutti per la terra promessa ricevuta. Latte e miele conforteranno degli anni di sofferenza nel deserto. Per i nuovi cieli dovrò attendere.
Viaggio sconsolato tra i ricordi dello Stato.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio.
Io malata in fuga.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio.
Io malata in fuga.