(1) [MI 183] Saluto all'Autunno - Costruttori di Mondi
Atrax robustus – Parte 9
La telefonata con David Anderson era andata meglio di quanto Lorenzo Maria avesse osato sperare.
Da buon amico – e da professore emerito avvezzo a richieste insolite – Anderson non si era minimamente stupito.
Si era anzi mostrato subito disponibile, pur rammentandogli che procurare un Atrax robustus da Sydney e farlo arrivare in Italia non era esattamente come ordinare un peluche con le sembianze di un canguro.
Lorenzo Maria lo sapeva, ma non si aspettava una tale valanga di ostacoli.
In Australia i funnel-web vengono allevati solo in pochissimi laboratori autorizzati per la produzione di antidoto e per studi tossicologici.
L’esportazione è regolata da norme ferree: convenzione CITES, permessi del Department of Agriculture australiano, certificati veterinari, nulla osta del Ministero della Salute italiano, protocollo di ricerca firmato da un’istituzione accademica…
Un privato non ha alcuna possibilità reale.
Anche un docente universitario può richiederlo solo a nome del dipartimento, con tempi di attesa fra uno e tre mesi.
A quel punto Lorenzo Maria aveva cominciato a scoraggiarsi.
Troppe tracce, troppa burocrazia, troppi nomi sui documenti.
Se qualcosa fosse andato storto, se il ragno avesse fatto il suo dovere e poi fossero sorti sospetti, tutta quella carta bollata avrebbe condotto dritta a lui.
L’idea, che fino a un minuto prima gli era parsa diabolicamente raffinata, gli appariva improvvisamente goffa, quasi infantile.
Avrebbe dovuto inventarsi un altro modo per liberarsi di Ginevra.
Non ne aveva uno pronto. Si diede dell’idiota.
Fu allora che Anderson, intuendo la sua frustrazione, gli propose la via alternativa.
"C’è un sistema" disse, con il tono di chi sta per confessare un peccato veniale. "Non proprio ortodosso, ma fattibile. E solo perché sei tu."
Spiegò che ogni esemplare vivo nel suo laboratorio era tracciato: microchip, foto, data di cattura, sesso, stato di salute.
Quando un ragno moriva – e ne morivano sempre qualcuno per lo stress da mungitura – veniva congelato o messo in formalina e il registro aggiornato.
"Prendo un maschio adulto, lo dichiaro morto per “eccesso di estrazione del veleno” e lo sostituisco con un cadavere già in archivio.
Il mio è uno dei pochi laboratori ancora autorizzati a mantenere una colonia stabile in cattività; nessuno verrà a controllare."
Il pacco sarebbe stato piccolo – 390 grammi – etichettato come "Colonia di Pleurotus ostreatus, ceppo sperimentale, dei funghi in sostanza".
"Sotto i 500 grammi e con substrato organico da fuori UE li fermano di rado" proseguì Anderson.
"Il contenitore avrà un doppio fondo schermato da un foglio di piombo da radiografia, sottilissimo.
Ai raggi X vedranno solo micelio e terriccio.
Dentro, il ragno starà in un box con pannelli PCM a 19 °C: tengono la temperatura stabile per sei giorni anche in stiva."
Lorenzo Maria si sentì rinascere.
Anderson era un amico prezioso, di quelli rari nella vita.
Lo sommerse di ringraziamenti, giurò che si sarebbe sdebitato in qualunque modo, poi lo pregò di fare attenzione, di non cacciarsi nei guai per lui.
"Tranquillo” lo rassicurò l’australiano. "È tutto sotto controllo.”
Aggiunse che avrebbe infilato nel pacco anche tre fiale di CSL Funnel-web Antivenom, l'antidoto al morso dell'Atrax con le istruzioni: "In caso di morso iniettare endovena due fiale entro 15 minuti".
"Così, se per sfortuna qualche doganiere curioso apre il contenitore e si fa mordere, tu rispondi soltanto di importazione illegale di specie pericolosa. Niente omicidio colposo."
Si salutarono con la promessa di risentirsi appena il pacco fosse pronto ad essere spedito.
Prima di riagganciare, Lorenzo Maria lo esortò a mezza voce: "David… di questo non una parola con Ginevra, ti prego. Voglio farle una sorpresa."
Anderson rise. "Muto come una tomba, amico mio. Non le rovinerò certo il regalo.”
Lorenzo Maria dopo aver chiuso la chiamata sentiva il cuore insolitamente leggero, provava una sorta di sottile euforia.
Il piano era salvo, il ragno sarebbe arrivato, Ginevra sarebbe morta come aveva immaginato.
La mattina in cui doveva occuparsi del cane di Luigi si era svegliato di buon’ora, aveva puntato la sveglia alle sei meno un quarto del mattino.
Fatta la doccia si era sbarbato accuratamente.
Quando si presentò in cucina per prendersi un caffè, trovò sua moglie già in piedi.
- Come mai ti sei alzata così presto amore – le chiese.
Ginevra aveva l’aria assonnata – Mi ha svegliato la tua sveglia, dopo non sono più riuscita a prendere sonno – rispose con tono svogliato.
- Mi spiace davvero, non avevo intenzione di disturbarti. Vuoi un caffè anche tu?
- Ormai è fatta, non badarci – rispose lei – Sì, grazie per il caffè.
Lui introdusse la prima cialda nella caffettiera elettrica e azionò il meccanismo. Il ronzio della macchinetta riempì la stanza, mentre il liquido cremoso cresceva lento nella tazzina e l’aroma del caffè colmava le loro narici.
Le passò il caffè ripetendo poi l’operazione per produrre il proprio.
Mentre consumavano la bevanda lei chiese: - Ma che ci fai a quest’ora in piedi, sei cascato dal letto o hai qualche impegno?
Lui finì il caffè poi con tono neutro rispose: - Avantieri ho avuto la spia del raffreddamento del motore dell’auto che si è accesa per un momento per poi spegnersi. Allarmato ho subito accostato e spento il motore. Dopo una ventina di minuti l’ho riacceso e il fenomeno non si è ripresentato. Ma mi è venuto il sospetto ci sia da rabboccare il liquido refrigerante. Così ho subito chiamato l’officina che usiamo sempre e poiché siamo ormai al numero di chilometri in cui è previsto il tagliando periodico, ho preso appuntamento per lasciargli la macchina questa mattina. Colgo l’occasione per far verificare il problema e effettuare anche la manutenzione generale.
Lei annuì – Hai fatto bene, anche io dovrò fare la stessa cosa per la mia, prenderò un appuntamento la prossima settimana. Se vuoi questa sera passo a prenderti a fine lavoro e ti riporto a casa.
- Non c’è bisogno tesoro, mi riconsegneranno l’auto intorno alle diciotto e trenta, quindi rientro col mio mezzo.
Ormai sapeva di riuscire a mentire senza mostrare incertezza, la cosa inoltre iniziava a piacergli, non aveva mai pensato di possedere capacità recitative tali nello sparare impunemente menzogne.
Un’abilità che, in quello che si apprestava a fare, sarebbe stata assai preziosa. Alle sette meno un quarto la sua BMW trovava posto nel parcheggio a spina di pesce sul lato destro del controviale di corso Matteotti, a meno di dieci metri dal toretto verde dell’acqua posto sul bordo dell’aiuola spartitraffico.
Da quella posizione poteva tenere d’occhio la fontanella e il cane senza essere visto da Luigi che sedeva sempre sulla solita panchina quindici metri più avanti, ma in una posizione di spalle a lui.
Scese dall’auto, aprì il portello del cofano e recuperò la vaschetta in plastica per alimenti con il suo contenuto.
Il toretto era imbullonato a una base di cemento con lo scavo e la griglia per ricevere il getto continuo dell’acqua:
La base sporgeva sui fianchi di una spanna, un utile scalino per adagiarci il plumcake intriso di parflu.
Tirò fuori il dolce dalla vaschetta e lo posò su uno degli scalini laterali alla fontanella, poi tornò a sedere in macchina osservando che nessun altro cane capitasse lì e si avvicinasse alla sua esca.
Se fosse disgraziatamente avvenuto prima dell’arrivo di Leopoldo, sarebbe immediatamente corso fuori dall’auto per scacciarlo.
Si accese una sigaretta e rimase in vigile attesa.
Quante volte Luigi gli aveva raccontato ridendo di quel rituale mattutino col suo cane: lui arrivava si sedeva col suo pacco di giornali, sganciava il guinzaglio a Leo e il cane correva a fare il suo giro di minzioni alla base degli alberi, poi trotterellava fino alla fontanella, a dissetarsi dopo aver fatto colazione con lui nella raffinata caffetteria di Gerla.
Solo che quella mattina la colazione avrebbe avuto un supplemento di dolce: l’ultimo mangiato nella sua breve esistenza.
Il tempo d’attesa sembrava dilatarsi, provava un’ansia crescente che gli accelerava le pulsazioni, uccidere una creatura vivente non era un’esperienza rilassante, ma avrebbe dovuto abituarsi, non era che all’inizio.
Alle otto meno dieci vide spuntare Luigi e il cane dalla traversa proveniente dal corso Vittorio Emanuele II, entrarono insieme sull’aiuola spartitraffico del controviale.
Lui indossava un’elegante grisaglia scura con camicia a collo francese e cravatta regimental, raffinato e austero come si conveniva a un avvocato della sua levatura.
Leopoldo in splendida forma, col suo pelo voluminoso con riflessi dorati, lo accompagnava col suo incedere regale.
Luigi prese posto alla consueta panchina, posò i quotidiani al suo fianco, poi sganciò il guinzaglio di Leo.
Il cane partì a compiere il suo giro rituale delle piante.
Lorenzo Maria osservava la scena dall’interno dell’auto.
Aveva le mascelle serrate e sentiva il cuore pulsargli in gola.
(Continua)
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