Il calore nel gelo. Cap.1

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1. Quel che resta
Due figure fanno capolino ai margini della città, una alta e una piccolina, si tengono per mano e camminano combattendo contro il vento, persone di passaggio, se ne vedono ogni tanto. Quella alta ha lunghi capelli castano-rossicci raccolti in una treccia, occhi di un marrone così scuro da sembrare quasi neri, ha 28 anni e si chiama Veronica. La figura piccolina, invece, si chiama Mia, ha 8 anni, lunghi capelli neri e occhi azzurri, di quelli che quando ti guardano sembra ti leggano l’anima.
Fa freddo per la città, il cielo è bianco e compatto, il vento soffia gelido. Le poche persone in giro si affrettano a tornare al riparo. Nessuno parla con nessuno, non un “ciao”, non un “buongiorno”, niente.  
Sono le 10 di mattina, un tempo a quest’ora la piazza sarebbe stata piena di gente allegra e conviviale, chi va al lavoro, chi va a fare spesa, chi va a passeggio, qualche turista di passaggio. Ma i tempi sono cambiati, ora nessuno ha voglia di passeggiare, nessuno va a lavorare e di certo non ci sono turisti.  
Una decina di persone sparse in tutto, corrono a testa bassa ognuno verso i suoi scopi. In un angoloun gatto randagio, uno dei pochi sopravvissuti, malgrado siano anni che nessuno gli rifili una carezza crede ancora negli umani, li guarda e piange, spera che almeno uno di loro si fermi, lo tocchi, gli allunghi del cibo, ma non succederà. Un tempo doveva essere un bel micio, pelo lungo, probabilmente grassoccio e coccolato, ora è un mucchietto di ossa che vive nell’ombra. Nessuno è interessato a lui, desolato se ne torna nell’angolo di piazza dove ha scelto la sua cuccia, una panchina con sopra i resti di un vecchio giubbotto.
In realtà è sbagliato dire che ci sia ancora una piazza, o una città. Ci sono degli edifici, alcuni abbandonati, alcuni ancora abitati, altri occupati da qualche disperato che non aveva più una propria casa e necessitava urgentemente di un surrogato di tetto sopra la testa. Senza più un sistema di giustiziala violazione di domicilio non è più un reato. Alcune case sono integre, altre distrutte e altre ancora una via di mezzo, probabilmente resteranno così finché non crolleranno Nessuna ditta di costruzioni ci metterà le mani, non verranno finanziate riqualificazioni, né progetti per rinascere. Tutto è fermo, tutto è morto.
I sopravvissuti sono rassegnati ormai, si sono adattati agli eventi sfruttando l’istinto di sopravvivenza. Alla fine, hanno imparato a vivere senza una civiltà, tornando un po’ selvaggi, in fondo l’uomo è un animale, una volta sicuri di essere ancora vivi, del resto della specie non interessa niente a nessuno. 
Non che siano tutti così, qualcuno ha provato a rimediare, a fare leva sul senso di appartenenza, sulla comunità. Alcune famiglie che vivevano ai margini della città sono state poco colpite dal disastro che ha distrutto il mondo, con i terreni in campagna qualche fortunato è riuscito a mantenere animal ie un orticello, quanto basta per sopravvivere. Due o tre gruppetti si sono adoperati per il bene di tutti, almeno in questa città, la nazione è, anzi era, grande, senza più vie di comunicazione è difficile sapere cosa succede altrove. Questi benefattori tutti i giorni vanno in quella che una volta era la piazza e mettono su dei piccoli stand con del cibo a disposizione per chi ne ha bisogno. Tolto il necessario per sé non resta molto a disposizione e gli affamati sono tanti, qualcuno però mettendosi in fila presto riesce a portarsi a casa un pezzo di pane o un uovo, non un gran pranzo ma meglio di niente, di questi tempi. Ovviamente non mancano le lotte, la fame vera non vede ragioni.
E il governo? Non è che non esiste, è che non ha potere. C'è un esercito che fa delle ronde, i militari chissà come sono sempre panciuti e dall’aspetto florido, hanno a disposizione macchine e benzina, e quando vogliono sanno incutere terrore. Dove trovano le risorse? Nessuno lo sa, e di certo non c’è qualche pazzo che si azzarda a chiedere. 
La maggior parte del tempo se ne stanno a bighellonare, poi ogni tanto puntano qualcuno che secondo loro sta infrangendo la legge e lo puniscono a modo loro. Solitamente, più alto è il livello di[noia dei militari in quel dato momento, maggiore è la possibilità che la persona da loro accusata non venga mai più vista in giro. 
Un paio di leggi esistono ancora, sono state messe in vigore dopo il disastro. Per la ricostruzione della nazione dicevano. La prima prevede l’accesso alla leva militare a chiunque abbia almeno 14 anni, indipendentemente dal sesso, purché si passi un test attitudinale. Nessuno sa bene in cosa consista , in quanto chi lo passa diventa parte dell’élite militare, distaccandosi dal resto dei poveracci, chi non ce la fa ]invece, non viene mai più rivisto.
C'è un’altra legge poi, considerata la più crudele ma definita la più necessaria, quella sui bambini. Dopo il disastro quando si è fatta la conta dei sopravvissuti ci si è accorti che si avevano tra le mani un sacco di orfanelli, e senza una civiltà non c’era tempo né voglia di provar pena per loro. I bambini urlavano, piangevano, avevano fame, sete, sonno, volevano la mamma, il papà, il cagnolino, insomma una vera seccatura.
La soluzione?case di lavoro per bambini, destinate ad accogliere tutti i minori di 14 anni senza genitori
Lo scopo? Creare forza lavoro per ricostruire la civiltà. Con le loro manine e i loro corpicini i piccoli orfani avrebbero dovuto ricostruire edifici per riportare allo splendore le varie città, roba da non credere, eppure è successo veramente.
 I primi mesi dopo il disastro i militari hanno controllato ogni angolo per scovare bambini senza famiglia, e se non si fosse potuto provare di essere il genitore non ci sarebbe stato niente da fare, il piccolo sarebbe stato portato via con la forza. Tantissimi zii, nonni e fratelli maggiori si sono visti strappare dalle braccia i loro amati piccoletti, le loro urla si sono sentite per mesi. Alcuni hanno provato a nasconderli, a darsi alla fuga, a creare documenti falsi, ma la maggior parte sono stati scovati, e chi è stato beccato a nascondere figli non suoi è stato accusato di alto tradimento per intralcio alla giustizia, incarcerato e giustiziato.
Quale giustizia? Nessuno lo sa.
Ormai dopo 3 anni si sono praticamente tutti rassegnati, passata la disperazione iniziale molti si sono resi conto che non avere una piccola bocca in più da sfamare non è poi così male. In fondo non è meglio illudersi che i bambini stiano lavorando e vivano in un posto che garantisca loro un letto, un riparo e del cibo, piuttosto che vederseli morire di fame sotto agli occhi
Poi cosa ne è stato di loro nessuno veramente lo sa, inizialmente se ne vedevano molti in giro, raccoglievano detriti, pulivano le strade. Dovevano ricostruire ma materia prima per ripartire non esisteva al momento; quindi, piano piano sono scomparsi dalla circolazione. Trasferiti all’interno di casermoni adibiti a dormitori dai quali non sono mai usciti. Qualche zio o fratello particolarmente affezionato ha provato a entrare per liberarli, ma la sorveglianza era al massimo e quasi nessuno è mai riuscito ad avvicinarsi, e chi ce l’ha fatta,poi non ha avuto possibilità di raccontare la sua impresa.
Una cosa è certa, per essere posti pieni di bambini traumatizzati uno si aspetterebbe di sentire un sacco di urla e pianti nel passarci vicino, eppure se capita da quelle parti si sente solo un infinito silenzio. 

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