[H25] L'hotel alla fine del mondo

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L’HOTEL ALLA FINE DEL MONDO
 
 
Quando riaprii gli occhi il mondo sembrava scomparso, soffocato da una nebbia fitta e pesante come tende di velluto grigio.
Ciò che ne restava erano soltanto rumori inquietanti e versi spettrali di animali selvatici.
Un ululato riecheggiava tra gli alberi come un richiamo di morte imminente, sussurri sordi e minacciosi mi sibilavano sulla testa, il canto di una civetta si perdeva tra i rami invisibili come il lamento di un’anima dannata, grugniti gutturali raspavano famelici il terreno attorno a me.
Vagai a tentoni, le mani protese nel tentativo di orientarmi, guidato da un istinto irrazionale, i passi incerti che soppesavano il crepitare delle foglie secche e dei ramoscelli spezzati sotto i piedi, mentre ogni ombra si trasformava in un volto deformato, ogni suono in un richiamo sinistro.
D’improvviso la nebbia si diradò, giusto per un breve tratto, rivelando tra la boscaglia il profilo semidiroccato di un vecchio hotel, avvolto in un intreccio confuso di rampicanti; sparute luci, fioche come lampare, barcollavano dietro i vetri martellati, mentre gli ultimi avanzi di un cupo tramonto incenerivano il cielo smagliato da nuvole nere.
Come attratto da un richiamo ancestrale, mi avvicinai al fatiscente ricovero. Primi che potessi percuotere il batacchio dalla foggia luciferina, il pesante portone cigolò sui cardini arrugginiti aprendosi lento davanti a me.
Ne fece capolino il portiere, un anziano dai tratti spigolosi e lo sguardo ruvido, che reggeva una lanterna in una mano e allungò l’altra verso di me come una condanna.
– Ti aspettavamo, viandante dell’oscurità. Io sono Caronte.
Lo fissai incerto.
– Che facciamo, ci parliamo in endecasillabi?
Quello tagliò il viso con un ghigno malefico.
– Devi solo seguirmi: ti accompagnerò nel tuo girone.
– Sono dunque morto? – chiesi indugiando alle sue spalle.
– Non ancora. Il tuo destino si deciderà durante il soggiorno.
Mi arresi, seguendolo nel silenzio angosciante attraverso un dedalo deserto di scale scricchiolanti e corridoi stretti e tortuosi. Dalle finestre incrinate filtravano lame di luce lunare che creavano ombre danzanti sulle pareti screpolate. Ogni porta pareva custodire un segreto oscuro, e dall’interno delle stanze chiuse arrivava la musica di vecchie canzoni, come un richiamo a tormenti rimasti intrappolati tra le mura.
Mi parve di riconoscerne una, e accostai l’orecchio alla porta.
– Ehi! – mi lasciai sfuggire – Ma questa è “Heartbreak Hotel”, è Elvis!
Caronte mi rispose senza fermarsi.
– Quello è il girone degli eccessivi.
- E qui dietro? - dissi fermandomi davanti a un’altra porta – Questa è “Stupido hotel” di Vasco!
- Quello è il girone di chi non si lascia stare – spiegò ancora Caronte, procedendo senza tentennamenti.
Stordito ma affascinato, disorientato ma attratto come da una calamita irresistibile, continuai a seguirlo ondeggiando tra note e versi, fino a sentire sfumare “Hotel California” dal girone dei malinconici.
Prima di salire l’ultima rampa di scale Caronte si arrestò, voltandosi verso di me e fissandomi con uno sguardo strano, come fosse sorpreso che mi trovassi ancora lì. Non aveva occhi di brace, ma un bagliore altrettanto sinistro gli ardeva nelle iridi. Alzò la mano verso il piano superiore, indicandolo con l’indice. Ancora una volta ebbi la sensazione che emettesse una sentenza di condanna per un reato che non conoscevo.
O forse il solo e unico reato era la mia stessa vita.
– I gironi finali, quelli per coloro che non hanno mai avuto pace.  
Annuii, consapevole che era ciò che mi attendeva.
– Senti, ma tu che ci fai qui?
– Espio le mie colpe, come tutti – rispose abbassando lo sguardo sui piedi e riprendendo a salire le scale. – Lavoravo all’Hotel Supramonte.
Superato l’ultimo gradino la musica dei piani inferiori scomparve d’incanto, e davanti a me si aprì un palcoscenico di incubi dimenticati, con il pavimento cosparso di frammenti di specchi rotti e vecchi costumi consunti. Alle pareti quadri senza cornice con le tele lacere e macchiate di muffa immortalavano scene di film che avevo visto. In un angolo, una sedia a dondolo scalcagnata iniziò a oscillare lentamente, come spinta da una forza invisibile.
Un enorme sipario polveroso copriva l’accesso alle ultime stanze. Lo scostai, ritrovandomi sbigottito davanti alla doccia del Bates Motel. Un brivido di freddo sudore scese a fendermi la schiena.
– È qui? – balbettai impaurito.
Caronte si fermò accanto a me, alzando la lanterna e allungando la mano per mostrarmi la mia condanna: una porta nera.
– No, è quella, l’ultima. E io non posso seguirti. O trovi la pace o finisci d’impazzire.
Non ci pensai nemmeno un secondo.
Aprii la porta nera.
Un lunghissimo pavimento a scacchi obliqui si perdeva nel fondo buio di un interminabile corridoio.
Tesi l’orecchio per ascoltare le voci, ma il silenzio dell’Overlook Hotel era rotto solo dal ronzio dalle ruote del triciclo di Danny.
Mi voltai verso Caronte: alle mie spalle era rimasto soltanto il vuoto.

Re: [H25] L'hotel alla fine del mondo

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Bentrovato, @Jack Cupo (scusa ma da cellulare non mi fa taggare).
Un racconto, il tuo, in cui l'aspetto orrorifico è demandato, principalmente, ai dettagli d'atmosfera. E però, questo il mio pensiero, quando le descrizioni di ululati, soffi, rantoli emergenti da un panorama indistinto si accatastano uno sull'altro, il tutto diventa eccessivo e l'effetto rischia di diventare macchiettistico, qualcosa tipo: "era una notte buia e tempestosa..."
E poi, all'improvviso, la storia finisce. Quando ci aspettavamo che iniziasse...

Re: [H25] L'hotel alla fine del mondo

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Ciao, @Jack Cupo 
Bentrovato in questo bellissimo contest!
Jack Cupo wrote: Sun Nov 02, 2025 11:22 pmQuando riaprii gli occhi il mondo sembrava scomparso, soffocato da una nebbia fitta e pesante come tende di velluto grigio.
Un incipit che funzione benissimo. L'atmosfera è ben costruita, con  dettagli sensoriali che immergono il lettore. 

La struttura a gironi danteschi reinterpretata con canzoni sugli hotel è un'intuizione brillante. Il contrappasso musicale (Elvis per gli eccessivi, Vasco per chi non si lascia stare, Eagles per i malinconici) mostra capacità di giocare con i registri. Lo stacco ironico ("Che facciamo, ci parliamo in endecasillabi?") è perfetto: spezza la tensione gotica senza tradirla.

Ma intravedo alcune criticità: 
Il primo paragrafo, dopo l'incipit, accumula troppo. "Un ululato riecheggiava tra gli alberi come un richiamo di morte imminente, sussurri sordi e minacciosi mi sibilavano sulla testa..." – sono quattro elementi sonori in rapida successione. Uno o due basterebbero.
Attenzione alle descrizioni allungate e spiegate con la parola Come. Ne accumuli undici in un testo di neanche 5000 caratteri.
Jack Cupo wrote: Sun Nov 02, 2025 11:22 pmrivelando tra la boscaglia il profilo semidiroccato di un vecchio hotel, avvolto in un intreccio confuso di rampicanti; sparute luci, fioche come lampare, barcollavano dietro i vetri martellati, mentre gli ultimi avanzi di un cupo tramonto incenerivano il cielo smagliato da nuvole nere.
Usi troppi aggettivi, vecchio hotel, semi diroccato, avvolto in un intreccio confuso" o "Sparute luci, fioche come lampare, barcollavano" – tre aggettivi/immagini per un solo elemento. 
Jack Cupo wrote: Sun Nov 02, 2025 11:22 pm
– Ti aspettavamo, viandante dell’oscurità. Io sono Caronte.
Lo fissai incerto.
– Che facciamo, ci parliamo in endecasillabi?
Quello tagliò il viso con un ghigno malefico.
– Devi solo seguirmi: ti accompagnerò nel tuo girone.
– Sono dunque morto? – chiesi indugiando alle sue spalle.
– Non ancora. Il tuo destino si deciderà durante il soggiorno.
Mi arresi
Qui leggo e mi chiedo: Il protagonista passa da ironico ad "arrendersi," senza un po' di gradualità emotiva? Non ha fatto una piega davanti al vecchio Caronte, sembrava un tipo tosto e poi…

Mi è mancata  una parte fondamentale, Chi è il protagonista? Perché si trova lì? Un paio di righe, un ricordo per ancorare la vicenda, avere un legame con la trama. Non ho nulla che mi stimoli l'empatia col personaggio.
Jack Cupo wrote: Sun Nov 02, 2025 11:22 pmMi voltai verso Caronte: alle mie spalle era rimasto soltanto il vuoto.
Dopo aver costruito così bene, concludere  così, delude. Il triciclo di Danny è evocativo, ma poi? Cosa succede quando entra? Il finale aperto può funzionare, ma qui sembra più interrotto che aperto.
È un racconto che si legge volentieri, con un'idea centrale solida e una buona padronanza dell'atmosfera. Ma è sovrascritto in alcuni punti e sottoscritto nel finale. 
Mi ha fatto piacere leggere questa storia che ritengo ricca di potenziale.
Alla prossima lettura.

Re: [H25] L'hotel alla fine del mondo

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@Jack Cupo ciao!
  wrote:Primi che potessi percuotere
Refuso: "Prima"
  wrote:Non aveva occhi di brace, ma un bagliore altrettanto sinistro gli ardeva nelle iridi.
L'unico pezzo dell'Inferno che ancora ricordo a memoria! 
  wrote:Tesi l’orecchio per ascoltare le voci, ma il silenzio dell’Overlook Hotel era rotto solo dal ronzio dalle ruote del triciclo di Danny.
Eccallà! Tutto il racconto me l'aspettavo e finalmente...
L'idea è buona, l'ironia anche. Come ti hanno già detto forse però è troppo puntato sulle descrizioni, mentre magari con un po' di lavoro sulla trama dietro gli avrebbe reso giustizia e dato un po' di ritmo. 
Comunque mi piace come scrivi, ma ricorda, Hemingway, quel fulminato dall'alcool diceva:
"La prima bozza è uno schifo"
Ovviamente non è assolutamente il tuo caso, ma ho l'impressione che lavorandoci di più i difetti li avresti limati. Ecco ora mi son fatto capire meglio!" Magari l'hai riscritto 39 volte... se è così scusami, fai finta che non abbia nemmeno commentato!
A rileggersi!

Re: [H25] L'hotel alla fine del mondo

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Ciao @Strikeiron, grazie di essere passato.
Non mi ero mai cimentato con l'horror, sebbene ne abbia letto parecchio, partendo da Poe e Lovecraft per finire con Stephen King, ed ero consapevole che il mio scritto avrebbe presentato diverse magagne. In effetti il racconto è stato partorito in fretta in furia, come si può intuire anche dalla pubblicazione in extremis, e porta con sé tutti i difetti del caso, oltre a quelli che ho già normalmente. Sono comunque contento che qualche considerazione positiva l'abbia raccattata, magari alla trentanovesima stesura potrebbe diventare un buon racconto!

 

Re: [H25] L'hotel alla fine del mondo

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@Jack Cupo scrivevo trentanove perché quel pazzoide di Hemingway ne faceva trentanove che è una follia per me. Sai dove parti ma non dove arrivi 😂 
Guarda, difetti ne possiamo trovare in ogni cosa anche nella divina commedia. Personalmente io (che faccio un casino di errori) intasco, prendo nota e come dicono a Trieste va là e po bon. Secondo me rimane comunque un bel racconto il tuo 

Re: [H25] L'hotel alla fine del mondo

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Ciao @Jack Cupo vi è qualcosa di tentato che magari non è ben riuscito. Forse i continui riferimenti agli Hotel, tutti di memoria sonora. Ho sorriso su hotel Supramonte, pensando a qualche bandito della anonima sarda. Ma a questo punto, mi domando come mai Caronte?
Il finale mi piace proprio. Il triciclo di Danny appare come l'inizio dell'inferno di Shinning! Questa sarebbe la pazzia che attende il protagonista?
Ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
Io malata in fuga.https://www.facebook.com/raffaele.manca.90/

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