Annetta Pt.1

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(1) [Lab 15] Minuetto celeste - Costruttori di Mondi



Annetta Pt.1


Annetta aveva otto anni e quella mattina teneva la mano al papà, mentre si recavano al cimitero del piccolo paese di Selargius in Sardegna, dove la sua famiglia si era trasferita da qualche anno. Lei si chiamava Anna, ma Annetta era il suo vezzeggiativo perché era la più piccola di casa: l'ultima nata d'una famiglia di cinque maschi e tre femmine.
Era felice di accompagnare suo padre, per lei era una piccola festa, infatti non accadeva quasi mai che lui la portasse con sé e stessero insieme da soli.
La giornata estiva era di un caldo secco e ventosa, come sovente accadeva nell'isola, dove il vento aveva levigato per secoli rocce e montagne facendo crescere il pino marittimo della macchia mediterranea inclinato dalla sua veemenza.
In quelle giornate il vento portava i profumi della lavanda, del timo, del mirto e del rosmarino, che inebriavano i sensi.
Bisognava però, come ribadiva sua madre, tenersi al largo dai cespugli di “figumorisca”, che crescevano più alti di un uomo e davano i deliziosi “fichi d'India”.
Frutti dalla consistenza densa, succosa, gelatinosa, simile a un’anguria molto compatta; dal colore arancione, rosso intenso o viola e il sapore dolce-acidulo, con note di anguria, kiwi e lampone.
Ma avevano le larghe foglie costellate di spine finissime che il vento ti spingeva addosso come piccole frecce urticanti ed era un tormento liberarsene.
Sua madre doveva immergerle le mani in acqua calda per lunghi minuti, poi aggiungere detersivo per piatti e infine, strofinare delicatamente la pelle con una spugnetta ruvida o uno spazzolino morbido, ripetendo la procedura fino a eliminarle tutte.
Meglio evitare di passare nei pressi dei fichi d'India nelle giornate di vento.
Annetta quella mattina si trovava bella, si sentiva elegante per la passeggiata col suo papà.
La mamma l'aveva vestita col suo vestito leggero più raffinato: quello “alla marinara”, come quando la domenica, tutti insieme, andavano alla messa.
Portava in capo il suo cappellino di “paglia di Firenze” nuovo, acquistato in un grande negozio di Cagliari; teneva molto al suo cappello, ricordava di averne sempre avuto uno fin da piccola.
Appena la paglia si sfilacciava per l'uso, sua madre gliene comprava uno nuovo, ma di uguale modello: era a falda larga, con un nastro di gros-grain blu che cingeva la cupola.
Doveva tenerlo sul capo con la mano, per impedire che il vento glielo portasse via.

Annetta non era nata in Sardegna, come alcuni dei suoi fratelli più anziani, infatti, era venuta alla luce a Sfax in Tunisia. La sua famiglia trenta anni prima, in cerca di lavoro, si era trasferita in quel paese del Nord Africa, dove il colonialismo aveva lasciato un protettorato francese e nel quale l'Italia possedeva rilevanti interessi economici.
Suo padre, infatti, vi svolgeva un lavoro come sorvegliante di una miniera di fosfati.
Di quel paese lei ricordava il calore di un sole non diverso da quello della nuova terra italiana, molto diversi erano invece i sapori e i profumi.
Rammentava l’esperienza sensoriale del Souk di Tunisi, un luogo d'esplosione per i sensi: menta fresca, spezie, essenze, oli, incensi, saponi e i dolci come il Makroud: ripieno di pasta di datteri speziata, poi fritto e immerso in sciroppo di miele e acqua di fiori d’arancio, che rilasciava all'intorno un intenso profumo di arancia, dattero e sesamo tostato.
Ma lei, pur ancora piccola, aveva impressi in mente i colori e la moltitudine di uomini, donne e bambini, che riempivano d'una vitalità visiva e sonora quello spazio brulicante d'umanità.
Quando i moti per l'indipendenza della Tunisia portarono a rivendicazioni di piazza assai accese, sempre represse con durezza dal governo di Parigi, si era creata una situazione instabile e poco sicura per la permanenza degli europei.
La sua famiglia era tornata in Sardegna e suo padre si era impiegato con un uguale ruolo all'interno della Carbonsarda.
Era la società che gestiva il complesso delle miniere del Sulcis, il maggior bacino estrattivo del carbone nel paese.
Nel Sulcis, a sud-ovest della Sardegna, la principale risorsa mineraria estratta era il carbone di lignite: il bacino carbonifero era esteso su circa 100-400 km² tra Carbonia, Gonnesa, Iglesias e zone limitrofe.
Al ritorno in Italia lei aveva avuto qualche problema con la scuola: in Tunisia aveva iniziato le elementari in una scuola di lingua francese, mentre in casa aveva sempre sentito parlare il dialetto campidanese. In Italia le era toccato d'apprendere rapidamente la lingua, c'era voluto un po' di impegno e pratica, ma Annetta, dotata di un'intelligenza brillante oltre che di un carattere assai vivace e determinato, si mise rapidamente al passo con i propri compagni di classe.
La loro era una grande casa, con numerose stanze e un'ampia aia con diversi animali da cortile: galline, conigli e maiali, ma soprattutto era una casa da ricchi, perché aveva la muratura in laterizio intonacato ed era di nuova edificazione.
Infatti, solo i più agiati in paese possedevano case con tali caratteristiche; le altre erano erette con mattoni di “ladiri”, come si usava in antichità: in sostanza terra cruda, in un impasto di paglia e acqua che veniva essiccato al sole senza bisogno di cottura, dando comunque vita a case solide e resistenti.

In casa con tutti quei fratelli il caos era continuo, talvolta pareva di stare all'interno d'una allegra festa di paese, altre volte di un campo di battaglia.
Sua madre piccola di statura, ma autorevole e severa nella gestione della casa e della prole, rispettata come un generale inflessibile o un rigido domatore circense.
Comandava tutti a bacchetta, e si inviperiva quando i figli più grandi si burlavano di lei rifacendole il verso.
Il fratello più vecchio aveva trentacinque anni, portava il nome di Paolo, di mestiere era falegname con un'attività in proprio.
Già sposato e con due figli, l'unico che già vivesse in una casa propria con una sua famiglia.
I due maschi intermedi di nome Emilio e Piero avevano scelto di trasferirsi dalla Tunisia in Francia, erano provetti elettricisti e meccanici e vivevano lì con la loro famiglia.
I due più giovani, si chiamavano Dante ed Eliseo: il primo intorno ai vent'anni, era un tecnico meccanico con la passione per la prestidigitazione e l'illusionismo.
Il secondo, più giovane di due anni era un valente artista.
Dante, come illusionista, si esibiva in locali e teatri dell'isola.
Un vero personaggio: portava capelli lunghi fino alle spalle, che teneva raccolti in una coda legata con un nastro di velluto.
Aveva baffi e mosca che gli conferivano fascino, era dotato d'eleganza e profumava di mistero.
Annetta lo guardava ammirata quando vestiva la marsina di gala sulla camicia immacolata col colletto rigido, fermato da un papillon di uguale colore del nastro che gli cingeva la coda. Questo fratello si era sempre interessato di esoterismo e tale passione lo aveva condotto a iscriversi alla “Federazione francese degli artisti prestigiatori”, dalla quale aveva conseguito il diploma di prestidigitatore e illusionista professionale.
La bambina lo osservava incantata quando era intento ai suoi esercizi di meditazione: sedeva sotto il patio della casa a torso nudo, nella posizione yoga del “Loto”.
Praticava le tecniche yoga del maestro Swami Kuvalayananda, apprese all'interno del corso per divenire prestidigitatore. Compiva quelle pratiche impegnative durante le ore in cui la giornata era più ardente per acquisire resistenza e forza di volontà.
Davanti a sé, su un piccolo piedistallo, teneva una palla di cristallo che risplendeva abbagliante al sole, su di essa concentrava lo sguardo in una fissità simile a una trance, senza battere le ciglia per intere ore.
Erano esercizi per rafforzare la forza mentale e aumentare la capacità extrasensoriali.
Il più giovane dei maschi: Eliseo, era diciottenne.
Assai dotato per il disegno, un vero artista, progettava di divenire in futuro un bozzettista per i giornali o la réclame. Influenzato dal lavoro e dai libri esoterici del fratello, si sentiva affascinato dall'occultismo, infatti, incoraggiato da lui, già intorno ai sedici anni aveva scoperto di possedere quello che si definiva “il dono”.
Eliseo era un medium e un veggente. Possedeva una stanza della casa adibita a suo studio, nella quale lavorava ai suoi disegni e sovente, riceveva gente del posto, proveniente dal paese, le zone limitrofe e altre parti dell'isola dove erano giunte voci delle sue capacità.
Opportunamente interrogato, entrava in stato di trance ed era in grado di mettere in contatto persone che avevano perso qualcuno, con l'amato defunto.
Riusciva, inoltre, a leggere fatti del passato o del futuro attraverso l'uso degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, per chi lo consultava.
Era un'attività svolta senza fini di lucro: attuata solo per recare conforto a chi aveva perduto persone care o fosse in ansia per fatti gravi che ne turbavano l'esistenza.
Era noto che non accettasse mai denaro, ma i consultanti, sovente gente semplice e di modeste condizioni, desideravano per principio sdebitarsi, quindi recavano, in regalo a sua madre, ceste di generi alimentari: colme di frutta, formaggio, dolci tipici o vino di loro produzione.

Eliseo era dolce e sensibile di carattere: sicuramente il fratello prediletto di Annetta, poiché era l'unico a essere stato ancora bambino quando lei, ultima nata di due genitori già maturi, era venuta al mondo.
Aveva ricordi di lui che la teneva in braccio e la faceva giocare, quando nei primi anni di vita vivevano ancora in Tunisia.
Quell'attaccamento infantile continuava immutato, perché era lui a coccolarla, a regalarle dolciumi, mostrandosi sempre disponibile e tenero verso di lei, cosa che i fratelli e le sorelle più grandi, troppo impegnati nelle mansioni quotidiane, non le dedicavano, anzi, essendo lei di temperamento vivace, sovente la invitavano a non stare tra i piedi mentre erano affaccendati.


(Continua)

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