[CN24] Pietre feconde - Costruttori di Mondi
La scelta Pt. 15
Quella sera uscimmo a cena, scegliendo un buon ristorante di pesce assai noto nel posto per la qualità della cucina. Fu una scelta felice: una lasagna al pesto, gamberoni croccanti, polpo rosticciato e calamari in umido alla norma; ci accompagnammo con del Vermentino, uno dei vini bianchi liguri freschi e vivaci, ideali per accompagnare piatti di pesce. Resi allegri e distesi dall’abbondante vino bevuto, dopo un caffè ce ne andammo a rilassarci su una panchina del lungomare, contemplando la distesa notturna, nella quale, tra lo sciabordio di placide onde, si specchiava una luna quasi piena.
La temperatura era tiepida; sul passeggio presenziavano tenere coppie di anziani e gruppi di giovani intenti a girovagare, seguiti dalla musica di un portatile o di cuffie collegate a lettori musicali.
Stavamo abbracciati e fumavo il mio mezzo sigaro; si chiacchierava e ogni tanto ci scappava un bacio.
Baciare le labbra di qualcuno che fuma l’Antico Toscano è un’impresa da pochi audaci: il sapore amaro e forte del tabacco alberga in tutta la bocca.
Infatti, mia moglie non lo gradiva e, se volevo limonare con lei, dovevo prima lavarmi la bocca con del collutorio alla menta, ma Roberta non ci faceva caso e non mostrava alcun fastidio per il gusto della mia lingua.
Mentre si parlava, disse che era il momento di rivelarmi una novità. Per un attimo restai col respiro sospeso; mi salì un moto d’angoscia temendo che volesse annunciarmi d’essere incinta.
Vero che facevamo sesso protetto, ma, con la confidenza delle nostre effusioni, era più volte capitato che nei preliminari strusciassi il mio glande sulle sue grandi labbra, carezzandole la clitoride per farla bagnare.
Solo quando era pronta indossavo il profilattico per penetrarla e dare inizio al coito.
Poteva succedere, benché in casi assai rari, che del liquido pre-eiaculatorio, malauguratamente, scivolasse all’interno del sesso, creando un danno serio.
Ma quanto mi disse in seguito fugò subito ogni timore di pericolo imminente. Disse che non me ne aveva ancora accennato poiché non era certa della cosa, ma il giorno prima della nostra partenza per quella breve vacanza aveva ricevuto la conferma ufficiale.
Si trattava del fatto che il comune avesse aperto un concorso interno, cercando tra il proprio personale chi fosse qualificato per posti rimasti vacanti all’interno dei nosocomi cittadini.
Erano figure da inserire nelle funzioni amministrative, nei settori contabili, dell’approvvigionamento, dei rapporti con i fornitori.
Lei, forte del suo diploma e dell’esperienza di lavoro acquisita in ruoli analoghi, aveva partecipato al concorso e si era guadagnata la nuova assunzione.
Ora era solo in attesa di conoscere il nosocomio a cui era destinata: l’Ospedale Molinette, il Martini Nuovo, l’Ospedale Amedeo di Savoia, il Mauriziano Umberto I, oppure il Centro Traumatologico Ortopedico. Probabilmente, disse, lo stipendio iniziale non sarebbe stato diverso da quello percepito attualmente all’Istituto di Medicina Legale, ma vi erano prospettive future d’avanzamento e, inoltre, era stufa di lavorare dove ci si occupava di morti ammazzati o suicidi; aveva voglia di un impiego in mezzo ai vivi.
Non potevo certo darle torto: il suo posto di lavoro attuale era sicuramente lugubre e non invitava ad alzarsi dal letto la mattina per arrivarci.
Mi mostrai felice per lei e mi complimentai per la sua continua ambizione di migliorare la propria condizione, mostrando di possedere grinta e di non adagiarsi sugli allori.
In ogni caso, sapevo che quel tipo d’impiego fosse gradevole e si svolgesse in un ambiente che motivava l’impegno.
Mia moglie stessa era impiegata da anni nella struttura del Centro Traumatologico Ortopedico, detto più usualmente CTO di Torino.
Quella notte facemmo l’amore diverse volte, fino ad addormentarci paghi e sfiniti uno nelle braccia dell’altra.
Fu una vacanza breve ma intensa, che al nostro rapporto, ormai divenuto una gradevole e soddisfacente consuetudine per entrambi, giovò molto.
Dal canto mio, non le facevo mancare qualche pensiero: dalla ricca confezione di cioccolatini all’omaggio floreale in occasione di date significative, a piccoli gioielli o libri che ritenevo formativi per la sua cultura generale.
Lei aveva messo da parte il bisogno di stupirmi con fantasie trasgressive; era entrata nella modalità della felice mogliettina morganatica.
La cosa non mi dispiaceva affatto. Sulla pericolosa china della ricerca di emozioni sempre più spinte, non sapevo a cosa ci avrebbe condotti: magari a trovarci in piccole orge, in un club per scambisti o a pratiche sadomaso.
Non credo che avrei retto ancora per molto il ritmo di esperienze estreme che, oltre all’impegno fisico, potevano comportare rischi di incappare in incidenti che portassero alla luce la mia doppia vita di fedifrago.
Ogni tanto, sapendo che le facesse piacere per l’intimità che si creava, la conducevo a pranzare in qualche ameno ristorante della collina, dove, lontani da occhi indiscreti, poteva sentirsi come una moglie a pranzo col proprio consorte.
A lei faceva piacere e a me non dispiaceva vederla felice. In quei momenti mi faceva tenerezza e sentivo sinceramente di volerle bene, desideravo per lei il massimo delle cose che, nella mia condizione, potevo offrirle. Trascorsero alcuni mesi; l’estate scivolò via e ci ritrovammo col nuovo autunno che incendiava di rosso e oro antico la collina e i viali alberati della città.
Iniziarono le prime precipitazioni autunnali, che bloccavano il traffico degli imbranati e trasformavano in torrenti i controviali cittadini, coi tombini di scolo perennemente otturati dall’incuria cronica offerta dal comune.
Fu in una sera d’ottobre, a cena, che mia moglie mi informò che l’ufficio in cui lavorava aveva avuto un’infornata di nuovi elementi, provenienti da altri comparti della macchina amministrativa comunale.
La notizia non mi giunse nuova; mi mostrai interessato, ma non potevo certo dirle che avevo già ricevuto l’informazione diversi mesi addietro. ^
Si lamentava che i nuovi arrivati fossero più d’impiccio che d’utilità.
Bisognava spiegare loro nel dettaglio le procedure e molti apparivano lenti nell’apprendere, procurando anche qualche casino che, a loro, anziani del lavoro, toccava di rimediare, facendo il doppio della solita fatica.
Naturalmente un po’ ne risi, dichiarandomi spiacente, canzonandola che ogni tanto le toccasse anche di lavorare seriamente.
Ma non possedeva il mio stesso senso dell’umorismo; infatti, mi mandò a quel paese con una certa veemenza.
La rabbonii dicendo che bisognava avere pazienza: i nuovi elementi in un lavoro, in prima battuta, erano sempre inesperti e improduttivi, ma l’impegno nell’istruirli alla fine veniva ripagato, divenendo un valido aiuto nell’impegno quotidiano.
Aggiunsi poi che il diavolo non fosse mai così brutto come lo si dipingeva e che fossi certo vi fosse, tra i nuovi assunti, qualche elemento meno peggio dell’insieme.
Fu d’accordo: non si poteva fare di ogni erba un fascio o gettare il bambino con l’acqua sporca.
Infatti, tra i vari novizi, si distingueva una giovane assai sveglia e preparata, della quale poteva solo parlare bene. Si era subito accorta delle qualità della ragazza, quindi se l’era accaparrata come aiutante personale.
Ne fui felice ed evitai altre battute, disse che la giovane possedeva anche notevoli qualità umane: era cortese, sollecita e decisamente affabile; si era guadagnata rapidamente la sua simpatia, era davvero una personcina interessante e di vivida intelligenza.
Aggiunse che magari, alla prima occasione, me l’avrebbe fatta conoscere.
Non pensai più alla cosa; continuai a vedermi con Roberta e m’informai su come si trovasse col nuovo lavoro. Lei mi confermò che tutto andava a gonfie vele.
Era assai contenta d’aver incontrato colleghi coi quali si lavorava con piacere: l’avevano accolta come una di loro, aiutandola a inserirsi nella nuova operatività, mostrandosi sempre pazienti e disponibili.
Ero felice che si trovasse bene; ultimamente tutto sembrava andare per il verso giusto, lasciando prospettare un futuro di radiose giornate, piene di tranquillità e un sesso vivace e rasserenante.
Era trascorso quasi un mese da quei discorsi.
Venne un giorno in cui l’auto di mia moglie dovette essere lasciata dal meccanico per il solito check-up annuale. Quando capitava questa evenienza, per non costringerla a raggiungere il lavoro impiegando i mezzi pubblici e quaranta minuti di tempo di percorso, l’accompagnavo di prima mattina con la mia macchina, per passare poi a riprenderla la sera, a fine lavoro.
Infatti, ero in sosta sul tratto di marciapiede che costeggiava il muro di cinta del CTO, in attesa che uscisse dal portale alle mie spalle.
Fumavo un mezzo toscano e ascoltavo della musica alla radio.
Distratto dal volume della musica, non l’avevo sentita arrivare: aveva aperto la portiera posteriore alle mie spalle, diffondendo nell’abitacolo le risate allegre e il chiacchiericcio suo e d’un’altra donna.
Lei si era affacciata all’interno, mostrandomi il viso nello specchietto sopra il cruscotto.
Aveva esordito con una richiesta: – Amore, ho qui con me quella nuova collega simpatica di cui ti ho parlato. Intanto che si va nella stessa direzione, le diamo un passaggio, ok?
La collega era ancora fuori dall’auto e stava dietro lei, senza che ne potessi vedere altro che una porzione della persona.
– Volentieri, micetta – risposi pronto. – Salite che partiamo.
Mia moglie prese posto al mio fianco, mentre la nostra ospite si accomodò sul sedile alle sue spalle.
A quel punto mi voltai per salutarla e rimasi muto e quasi fulminato.
La giovane mi porse la mano e io la presi con vivo disagio.
– Piacere – disse. – Mi chiamo Roberta.
(Continua)
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