[MI183] L'ultima estate del mondo - Costruttori di Mondi
La scelta Pt.9
Ero sconvolto.
A parte che, date le condizioni fisiche in cui versavo, fare del sesso, per giunta a tre, non mi stuzzicava per niente.
Mi sentivo quasi risentito che avesse preso quell’iniziativa senza nemmeno consultarmi.
E che diavolo! Non è che si possa andare a letto con uno sconosciuto come se si prendesse un caffè al bar.
Posto che in teoria fossi disposto all’esperienza, avrei voluto che la scelta del “terzo” si fosse concordata insieme.
Al limite, se proprio si fosse fatta la cosa, avrei optato per il mio vecchio amico, quello che m’aveva indirizzato all’alberghetto in collina.
Lui era un esperto nel settore, di quelle cose ne aveva macinate a iosa; inoltre, sarebbe stata una presenza rassicurante e piacevole sotto ogni aspetto.
A osservarlo, il tipo dava l’idea d’essere più o meno un mio coetaneo, bruno e snello di corporatura, una faccia tanto anonima quanto lunga.
Nell’insieme appariva abbastanza civile, con uno sforzo d’eleganza affidato alla giacca blu abbinata a pantaloni in flanella grigia.
Eleganza che crollava tragicamente nei calzini marrone scuro, spuntanti dal collo dei mocassini neri che aveva ai piedi, e dalla cravatta, in maglina di lana grigio topo, che oltre al colore improbabile era fuori moda da un decennio.
Il colorito del viso era intonato al grigiore della cravatta, per altro annodata malamente, che teneva al collo.
A “pelle” mi risultò empatico come un morto di due settimane.
Nel vedermi entrare, mi aveva salutato con un “ciao” smozzicato, non si era alzato per stringermi la mano né io avevo fatto gesto di porgergli la mia. L’unica nota rasserenante era che, nel complesso, non lasciasse sospettare di allevare piattole nelle mutande.
Roberta, per dare una nota lieta al festino, aveva acquistato dei salatini: stavano sul tavolo nel vassoio della pasticceria; aveva poi approntato tre calici e stappato una bottiglia di Brut estratta dal frigo.
Io sentivo brividi lungo il corpo e le estremità gelate, segno certo che la mia temperatura da infermo stava salendo.
Non avevo alcun intento d’ingerire alcunché di solido, per cui non toccai i salatini, anche se vidi che lei se ne dispiacque un po’.
Il tipo sembrò invece gradirli molto: ne mangiò una quantità consistente, che certamente gli avrebbe consentito di sopportare lo sforzo fisico a cui si apprestava, anche se avesse saltato la cena.
Li annaffiò con più bicchieri colmi di spumante; io riuscii a deglutirne appena un sorso, non riuscendo neppure a percepirne il gusto.
Quando il piccolo party giunse al termine, Roberta ci invitò a seguirla nella stanza da letto.
Mise una cassetta musicale sul mangianastri e la stanza fu invasa dal sax di Fausto Papetti, nella sua suadente cover del brano “Samba pa ti” di Santana. Ci fece accomodare uno per lato sul letto, poi, su quella musica, inscenò un lento spogliarello.
Una buona esecuzione: del resto, l’avevo conosciuta per questa sua dote; fu un peccato che non fossi nello spirito più adatto ad apprezzarlo.
Quello che seguì lo vissi in uno stato di estraniazione, come se non fossi presente alla scena, ma la vedessi proiettata da un punto remoto.
L’uomo, a cui non avevo neppure chiesto il nome, si portò avanti iniziando a denudarsi.
Tolse gli abiti e li posò ordinatamente sulla poltroncina accanto al letto, rimase con una canotta e dei boxer di un giallo sgargiante a losanghe azzurre, le quali, in ogni riquadro, contenevano il disegno d’una farfalla azzurra anch’essa.
Un capo tanto insolito di cui non avrei mai supposto l’esistenza, neppure negli acidi psichedelici che m’ero fatti al tempo del liceo.
Ma lo sconcerto più grande lo provai nel vedere che intendeva tenersi i calzini a letto.
Lei, giunta al termine dello show, tenendo su solo le autoreggenti fumé che portava, con fare seduttivo e, ovviamente, per fare gli onori di casa, aveva rivolto le sue attenzioni all’ospite.
Io mi ero liberato degli abiti, restando nei miei slip rigorosamente blu notte, e, nonostante la confortevole temperatura della stanza, provavo un freddo micidiale.
Fu nello spogliarmi che constatai un fatto sgradevole e imbarazzante: il mio deodorante ascellare della mattina, a causa dello stato febbrile e sudaticcio della giornata, mi aveva piantato in asso.
Puzzavo di sudore marcio come una capra morta.
Era qualcosa che odiavo profondamente mi accadesse, mi procurava un enorme disagio; l’igiene personale era una cosa che aveva caratterizzato tutta la mia esistenza, fin dal momento in cui mia madre aveva smesso di farmi il bagno.
Oltre alla prostrazione influenzale, l’aggiunta del puzzare di sudore mi sprofondò nel desiderio che la terra m’inghiottisse.
Lui era già su di giri, benché non manifestasse particolare emozione o coinvolgimento nella cosa.
Dava l’idea d’un contabile che stesse espletando il proprio lavoro e lo eseguisse con l’automatismo dei gesti dovuti, mentre la mente si estraniava pensando ai fatti suoi.
Roberta iniziò a fargli un lavoro di bocca, mentre con la mano cercava di risvegliare il mio sesso, mentre giacevo al suo fianco, nella più totale ignavia.
Dopo un po’, lei si mise a carponi sul letto e lui, dopo essersi munito di profilattico, la prese da dietro.
Io mi posizionai a gambe larghe davanti al suo volto e lei mi accolse in bocca, mentre lui procedeva in affondi tenendole le mani sui fianchi.
Lei si impegnava al meglio delle sue capacità fellatoire nell’impiego di labbra, lingua e mani.
La cosa continuò in quella sorta di catena di montaggio umana per un certo tempo, poi lui fu scosso dal piacere, si accasciò col lamento di un topo in fin di vita sulla schiena di lei.
Vi sostò in surplace per qualche attimo, infine si staccò dal suo corpo e si gettò esanime sul suo lato del letto, dove rimase ansante con l’avambraccio a coprirsi gli occhi, esausto come avesse corso la maratona della Stratorino fra gli atleti professionisti.
Io non davo segni di vita, restavo inerte nonostante l’impegno estenuante di Roberta; vidi un lampo di tristezza e delusione nel suo sguardo.
Le chiesi di fermarsi perché avevo pena di quella sua inutile fatica e anche perché avevo necessità di andare al bagno.
Lì mi diedi una robusta lavata alle ascelle, ma, in realtà, per smettere di puzzare avrei avuto bisogno d’una intera doccia.
Dovetti anche sedere qualche momento sul bordo della vasca, perché una forte vertigine stava per farmi stramazzare al suolo.
Pensai che ero un idiota, che mi stavo procurando una sincope perché, nello stato in cui versavo, non sarei neppure dovuto essere lì.
Fare sesso a tre con la febbre alta era una stupidaggine imperdonabile: oltre a rischiare di collassare, avevo guadagnato anche una figura schifosa.
Avere ceduto a esserci era stato peggio che rinunciare: avevo rovinato la sua sorpresa e distrutto il mio amor proprio.
L’unico a divertirsi era stato quel tizio con l’aria da pesce lesso che bivaccava sul letto.
Fortuna che avesse un membro più corto del mio, il che non compensava la cilecca che m’ero giocato, ma almeno la rendeva meno drammatica da digerire.
Tornai nella camera: lui sedeva con le spalle alla testiera del letto e stava fumando; lei sedeva ai piedi del giaciglio e mi osservava con apprensione.
– Dio, amore, ma quanto sei pallido, non è che mi svieni?
– Ci sto andando vicino, tesoro, per cui scusatemi entrambi, ma io vi lascio. Ho bisogno di mettermi a letto – dissi.
Presi rapidamente a rivestirmi, mentre quella faccia d’idiota mi osservava con un sorrisetto ebete; uscendo, non lo salutai e lui fece lo stesso.
Sulla porta abbracciai Roberta, non la baciai per non attaccarle l’influenza.
– Scusami – dissi – ti ho rovinato la festa, ma non ce la faccio proprio.
– Perdonami tu – rispose – ho sbagliato il momento, avrei dovuto parlartene prima senza pensare di farti una sorpresa.
Le diedi un buffetto sulla guancia e uscii dalla casa.
Fuori si gelava, battevo i denti e forse stavo toccando i trentanove e mezzo di febbre.
In auto accesi il riscaldamento a palla e guidai in uno stato prossimo al delirio; ero d’umore pessimo.
Raggiunsi tra pensieri nefasti il mio nido domestico, come un naufrago che cerchi salvezza su uno scoglio sperduto nell’oceano.
(Continua)
Return to “Racconti a capitoli”
- Ingresso
- - Presentazioni
- - Bacheca
- - Assistenza e Guide
- Officina creativa
- - Narrativa
- - - Racconti
- - - Racconti lunghi
- - - Racconti a capitoli
- - - Contenuti Over 18
- - Frammenti
- - Poesia
- - - Le migliori poesie di CDM
- - Teatro e sceneggiature
- - Fumetto
- - Contaminazioni
- Gare e tornei
- - Contest estivo 2025
- - Mezzogiorno d'Inchiostro - Versione originale
- - Labocontest
- - Mezzogiorno d'Inchiostro Extra Long
- - Contest di poesia
- - Contest di Pasqua '25
- - Contest di Carnevale 2025
- - Lampi di poesia
- - Attraverso le Stagioni
- - Contest di Natale 2024
- - Contest di Halloween 2024
- - Gare concluse
- - - Lettere di Natale
- Scrivere
- - Parliamo di scrittura
- - - Ricerche
- - - Generi letterari
- - Trame & Dintorni
- - Questioni di lingua
- - Le nostre pubblicazioni
- Leggere
- - Parliamo di lettura
- - - Libri e fumetti
- - - Manuali di scrittura
- - Recensioni
- - Blog letterari
- Editoria
- - Case editrici Free
- - - Case Editrici Ex Free
- - Agenzie
- - Concorsi letterari
- - - Concorsi Letterari Scaduti
- - - Parliamo di Concorsi
- - Liberi professionisti
- - - Annunci di Lavoro
- - Sportello assistenza
- - - Dubbi Editoriali
- - - Parliamo di Agenzie
- - Discussioni varie sul mondo editoriale
- - Case Editrici da valutare
- Quattro chiacchiere
- - Agorà
- - Cosa ci piacerebbe avere?
- - Giochi di ruolo