La scelta Pt.7

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Le tasche piene di sassi - Costruttori di Mondi


La scelta Pt.7


Roberta era una ragazza pratica e dotata d'iniziativa, trovò il modo di porre rimedio a quella situazione di incontri onerosi dal punto di vista economico, o precari da quello della tranquillità.
Mi annunciò che aveva affittato una casa.
Disse che parte dell'affitto glielo avrebbero coperto i suoi, quindi nonostante la moderata cifra della sua retribuzione, non avrebbe avuto problemi né abitativi, né per il suo sostentamento.
Era felice e trionfante come avesse guadagnato una medaglia olimpica.
C'era da comprenderla, quella era la sua prima abitazione indipendente, una sorta di promozione all'età adulta, il sentirsi una giovane donna: essersi realizzata.
L'alloggio era piccolo e arredato come una bomboniera: un ampio soggiorno, una camera da letto e un bagno discretamente vivibile.
Me ne fece parte solo quando ne aveva completato la sistemazione,
entusiasta mi portò a visitarla, non era molto lontana dalla sua casa paterna, meno di un chilometro in linea d'aria.
L'arredo era minimale e di quel gusto moderno da grandi magazzini del mobile, dove, a confronto, le proposte di Ikea risultavano troppo raffinate e pretenziose.
Ma tutto questo non aveva alcuna importanza, la cosa straordinaria era d'avere un nostro nido d'amore.
Non potei fare a meno di pensare che, come avviene in natura per certi uccelli, il nido lo confeziona la femmina e al maschio non resta che abitarlo a cose fatte e pensare alla futura procreazione.
Era molto orgogliosa, se le avessi offerto di concorrere alle spese si sarebbe certo offesa, per cui preferii dotare la casa d'una serie di utili elettrodomestici e qualche bella stampa d'autore per decorare le pareti, nonché di un ottimo TV-color SONY e un videolettore VHS da posizionare in camera da letto.

Ogni tanto tornavo a chiedermi del perché stessi tradendo mia moglie.
Oggettivamente non ricavavo da quella relazione clandestina qualcosa che mi mancasse nella relazione matrimoniale.
Anche il sesso fatto fuori casa non aveva aspetti più motivanti di quello domestico, era solo sesso con un corpo diverso, ma non potevo dire di trovarlo più appagante.
Per taluni la ragione del tradimento stava nella poca intesa a letto, nei desideri insoddisfatti, o nella mancanza d'amore.
A me non mancavano né l'uno né l'altro, quindi non avevo giustificazioni a cui appellarmi per la mia infedeltà: era solo un'esperienza diversa, da vivere con una donna diversa.
Un tradimento puro e cristallino, senza tortuosità o alibi morali: non mi sentivo per questo particolarmente abietto.
Era qualcosa che forse aveva a che vedere con la “banalità del male”, se essere infedeli lo si considerasse universalmente un “male” oltre che un peccato capitale.
Mi veniva da pensare che in fondo, il male compiuto in un tradimento fisico era, a guardarci dentro, un fatto tanto banale da non risultare poi così grave come male in sé.
Di certo mi stavo affinando nel mestiere del fedifrago: curavo i particolari, perché essere un traditore a tempo pieno è un impegno costante, assai simile a un lavoro.
Una delle cose di cui andavo orgoglioso era l'idea avuta per il problema del profumo.
Quello del profumo era davvero un serio problema, l'olfatto della mia signora era sensibilissimo, avrebbe potuto insegnare il mestiere ai segugi e ai cani da tartufo, nessun alito estraneo sfuggiva alle sue infallibili narici.
Inutile cercare di coprire il profumo di Roberta con litri del mio dopobarba, non c'era verso di nascondere quella conturbante essenza, dalle note di indubbia natura femminile.
Del resto non era facile cercare di imporre alla propria amante di rinunciare alla sua usuale toilette, potevi chiederle una o due volte di non profumarsi, ma alla terza, ovviamente, ti mandava a fare in quel posto.
Mia moglie usava “Angel” di Thierry Mugler, mentre Roberta il “Jean Paul Gaultier Classic”, non trovai di meglio che regalarne una confezione a ognuna incrociando le marche.
In questo modo qualunque delle due essenze fosse incidentalmente rimasta su di me, mia moglie non si sarebbe né sorpresa né insospettita.

Questo semplice colpo di genio, del quale m'ero stupito per non averci pensato prima, m'aveva restituito una serenità che mi mancava da mesi.
Quasi ogni sera passavo da lei per un'oretta o poco più dopo il lavoro, la trovavo ad attendermi con la gioia dipinta in viso.
Non sempre si faceva l'amore, ormai non ne sentivamo l'urgenza sapendo di poterlo fare comodamente e senza affanni quando ne avevamo voglia.
Ogni volta si premurava come una sollecita geisha di farmi trovare un aperitivo con due tartine, o una bibita fresca per dissetarmi, coccolandomi come una chioccia col suo pulcino, ci teneva a farmi stare bene nei momenti trascorsi insieme.
Queste attenzioni mi davano la misura di quanto tenesse a me.
Talvolta mi mettevano in imbarazzo, mi sentivo quasi in colpa, come se stessi prendendo più di quanto mi fosse dovuto, dando poco in cambio, alla stregua d'un profittatore o un ladro.
Quelle attenzioni si erano manifestate da subito, fin da quando ci si incontrava per scopare in macchina.
Quando alla sera la riaccompagnavo, scendeva dall'auto poi girava intorno dal retro e mi raggiungeva al finestrino sul mio lato. Allora dovevo calare il vetro per ricevere il suo ultimo bacio di saluto
che si prolungava per diversi minuti.
Era una sciocchezza, un vezzo, un gioco, ma dava l'idea di quanto desiderasse prolungare il momento del nostro distacco.
Da lei passavamo il tempo "casto" discorrendo di varie cose o guardando un film su cassetta davanti alla TV, come una coppia legale.
Siccome tendevo a parlare poco della mia vita familiare, in quei frangenti, poiché la cosa non richiedeva assoluta discrezione, risposi volentieri alle sue domande su mia moglie, mia figlia e la nostra vita di famiglia.
Lei ascoltava con un velo malinconico nello sguardo, credo che le piacesse pensare a come sarebbe stata la sua vita al mio fianco, al posto della mia metà, con una casa e una vita nostra.
Così le raccontai come con mia moglie ci fossimo conosciuti molto giovani al tempo del liceo e di come il nostro rapporto fosse durato, dando vita a nostra figlia e al matrimonio che ancora ci teneva saldamente insieme.
Lei non mostrava alcun sentimento di rivalsa o di invidia verso la prima donna della mia vita, anzi pareva felice che avessimo un rapporto sereno e duraturo, cosa che nelle nuove coppie d'oggi non era sempre così.
Quindi le descrissi che tipo di donna fosse la mia consorte, le dissi del suo impiego amministrativo in un noto nosocomio cittadino di cui le feci il nome.
In ogni caso il sesso non mancava quasi mai, quella nostra storia prendeva il colore della stabilità, della certezza di averci quando lo desideravamo, liberi da problemi o costrizioni.

Durante le nostre chiacchierate a letto una volta mi chiese:
- Ami sempre tua moglie anche se continui a venire a letto con me?
La domanda era delicata, ma non potevo eluderla:
- Sì, lo sai. Te l'ho sempre detto, la amo. Che noi si faccia l'amore insieme non cambia la cosa.
Rimase in silenzio, poi continuò:
- E per me cosa provi? - disse in un soffio.
Dovetti muovermi con attenzione nel formulare la risposta, la domanda era insidiosa.
- A te tengo, è evidente. Del resto sarebbe impossibile dopo tutto il tempo in cui scopiamo di non provare un sentimento verso di te.
- Quindi vuoi dire che ami anche me?
- No. Amore è una parola che uso solo con mia moglie, con te è un sentimento diverso, importante ma diverso.
Ci fu nuovamente del silenzio.
- Allora posso dire che mi vuoi bene? - chiese titubante.
- Certo, se ti fa piacere, ti voglio bene.
- Sai – disse a bassa voce - alle volte un “ti voglio bene” può nascondere un “ti amo”.
Si strinse a me accoccolandosi tra le mie braccia, sembrava aver ottenuto un dono desiderato a lungo.
- Io posso chiamarti “amore”? - chiese con insinuante dolcezza.
La cosa mi pareva stesse prendendo una china pericolosa.
- Ok, se ti fa piacere chiamami come vuoi.
La baciai per chiudere l'argomento.
- Me lo fai un regalo? - chiese.
- Certo, se posso, molto volentieri. Cosa desideri?
- Non molto. Solo che ogni tanto potessi dirmi un “ti amo”. Lo so che non è così e non importa che lo pensi davvero. Ma sentirtelo dire, col suono della tua voce, mi farebbe felice.

(Continua)

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